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Metodi di sinodalità - 7 -
Per iniziare
Il primo passo per essere e fare Chiesa in modo sinodale è riunirsi. Durante la
lunga fase dell’emergenza più dure per la pandemia da Covid 19 ne abbiamo un
po’ persa l’abitudine. Questo giustamente preoccupa i nostri vescovi, ma
dovrebbe preoccupare anche noi. Senza la gente non si può essere sinodali,
perché la sinodalità è un modo per
cooperare con altre persone nella vita di fede.
Il secondo passo è convincersi di poter fare
qualcos’altro, nella vita di fede, oltre alle devozioni personali e ad andare
a messa.
Il terzo passo è quello di essere consapevoli
non solo di poter prendere l’iniziativa di fare quel qualcos’altro, ma
anche di avere il dovere religioso di farlo, secondo le esortazioni che ci
vengono dal Papa e dai vescovi.
Qualche volta si pensa che, oltrepassato il sagrato,
ci sia la società fuori della Chiesa, che va come va, e allora lì non
ci resta che adattarci, per barcamenarci e sopravvivere. E, anche, che, quando
si è al di qua del sagrato,
dunque in chiesa, ciò che c’è fuori non deve entrare, perché dentro regnano la teologia e la storia sacra, una
specie di mondo fatato, campo degli
angeli e dei preti, e a tutta l’altra gente che c’è competa solo di ascoltare e,
nelle liturgie, di recitare a tono. Se si fa entrare ciò che c’è fuori, si comincerebbe a questionare, perché fuori si è su fronti opposti nelle questioni civili.
Non bisognerebbe far entrare le divisioni dentro, lì dove ci si
manifesta come Chiesa. Fuori potrebbero agire esplicitamente come Chiesa
solo il Papa e i vescovi, al più anche l’altro clero e i religiosi secondo un
loro mandato ecclesiastico, insomma la gerarchia, che essendo ordinata dà l’immagine di unità,
mentre noi, che non siamo né clero né parti di un istituto di consacrati, si sarebbe ridotti a persone laiche, che rappresentano solo se stesse, il molteplice da cui originano le
divisioni e le discordie che, solo se ridotto a gregge devoto e docile,
potrebbe mantenersi unito (e ciò contro il dato storico che ci rimanda la
narrazione di efferate lotte all’interno della stessa gerarchia).
Dunque poi,
quando ci raduniamo tra noi per animare la Chiesa in modo sinodale, non
sappiamo che fare e che dire, perché la
gran parte di quello che avremmo in animo di dire è costituito da cose di fuori, e dentro ci sentiamo un po’ sempre come
ospiti tollerati. Va detto che, fino a
qualche decennio fa, anche i preti sapevano parlare della società civile,
insomma delle cose di fuori, ma ora, in genere, non più tanto,
specialmente i più giovani, che sono pochi e tirati su in un’atmosfera
circondata da muri d’incenso che mira a separarli dagli altri fedeli.
Durante il
Concilio Vaticano 2° ci si propose di abolire questa distinzione tra fuori e dentro nell’essere
Chiesa. E’ memorabile, in questo senso,
il brano iniziale della Costituzione pastorale sulla Chiesa
nel mondo contemporaneo La gioia e la speranza
- Gaudium et spes:
La loro comunità, infatti, è composta di
uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo
nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un
messaggio di salvezza da proporre a tutti.
Perciò la comunità dei cristiani si sente
realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.
Nella nostra Chiesa si chiamano Costituzioni
i documenti contenenti le leggi più
importanti. La Costituzione La gioia e la speranza lo è, ed è definita pastorale non
perché destinata ad una certa fase storica, passata la quale debba essere necessariamente aggiornata, ma
proprio perché si occupa di ciò che c’è fuori. Organizzare il lavoro che
si fa collettivamente nella società da cristiani è infatti parte della pastorale,
insieme a quello per la formazione delle persone di fede, ai sacramenti e alle
liturgie. Vi rientra ciò che in religione definiamo carità - agàpe, che significa praticare un mondo nuovo.
Il Concilio, svoltosi a Roma tra il 1962 e il
1965, dopo un decennio di vivissimi fermenti religioni, in particolare in
merito al ruolo ecclesiale delle persone
laiche e alla loro dignità, definì il principio che «è dovere permanente della Chiesa di scrutare
i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo
adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli
uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni
reciproche. Bisogna infatti
conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue
aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. » [paragrafo n.4] Esso fu
anticipato, ad esempio, da Lorenzo Milano, il quale, nella sua scuola di
montagna a ragazzini destinati a rimanere dentro la società del loro tempo da persone laiche,
faceva leggere un quotidiano. Non seguono questa via, ad esempio, i preti che,
invece, trasformano i gruppi di laici solo in gruppi di preghiera. Questo
metodo potrebbe andare bene, al limite, per formare dei monaci, non dei preti
che devono guidare la gente nel mondo, e tanto meno per persone laiche
sulle quali si conta molto per riuscire a ordinare le cose del loro tempo, del
loro mondo, secondo Dio. Non
è che questo lavoro non possa interessare anche un monaco, nella misura in cui
non se ne sta appartato in un romitorio. Ai preti interessa certamente, ma da
soli riescono a poco, innanzi tutto perché sono pochi, poi perché hanno molto
da fare con la pastorale di formazione, sacramentale e liturgica, e poi in quanto si devono rassegnare a molte limitazioni del loro spirito d’iniziativa, perché
spesso si trovano la strada sbarrata dai superiori, che liberamente hanno
accettato di avere. Solo con la partecipazione di tutto il resto del popolo si
può agire su vasta scala.
Una volta che si sia riusciti a
riunirsi, se non si sa che dire o che fare, si può iniziare commentando insieme
un quotidiano. I vescovi ci esortano a
inserire quello che si fa in una cornice anche liturgica, di preghiera, perché
si sia ben consapevoli che ciò che si fa, lo si fa come Chiesa, al
cospetto del Signore, come è scritto:
«[…] E ancora vi assicuro che se due di voi,
in terra, si troveranno d’accordo su quel che devono fare e chiederanno aiuto
nella preghiera, il Padre mio che è in cielo glielo concederà. Perché, se
due o tre si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro».
[dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 18,
versetti 19 e 20 - Mt 18,19-20]
Ricordate
bene questo detto del Signore che ho sopra trascritto, perché lo si è posto a
base della sinodalità che ora si vorrebbe diffondere in tutta la nostra
Chiesa, anche tra noi persone laiche.
Ma come
andare d’accordo? Sulle cose della società ci dividiamo. Eppure qualcosa
che ci unisce ci deve pur sempre essere, se ci definiamo cristiani, perché
abbiamo avuto il comandamento dell’agàpe, che significa benevolenza,
solidarietà e sollecitudine reciproca nel vivere insieme. E’ un comandamento,
non solo un consiglio:
«Il mio comandamento è questo: amatevi
gli uni gli altri come io ho amato voi [in greco antico: Àute estìn e entolè emè ìna agapàte
allèlous katòs egàpesa umàs - Αὕτη ἐστὶν ἡ ἐντολὴ ἡ ἐμὴ ἵνα ἀγαπᾶτε ἀλλήλους καθὼς ἠγάπησα ὑμᾶς - ho
evidenziato l’agàpe che c’è nel
comando]. Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete
miei amici se fate quel che io vi comando. Io non vi chiamo più schiavi,
perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici,
perché vi ho fatto sapere tutto quel che ho udito dal Padre mio.
«Non siete voi che avete scelto me, ma
io ho scelto voi, e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo.
Allora il Padre vi darà tutto quel che chiederete nel nome mio. Questo io
vi comando: amatevi gli uni gli altri».
[dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 15,
versetti da 12 a 17 - Gv, 12-17]
Per
interiorizzare il comandamento dell’agàpe sinodale, i nostri vescovi ci
consigliano di iniziare le riunioni come gruppo sinodale con questa antica preghiera, usata proprio per
queste occasioni, e anche all’inizio delle sessioni dei lavori del Concilio
Vaticano 2°, l’Adsumus - Siamo qui davanti a te:
Siamo
qui dinanzi a te, Spirito Santo:
siamo
tutti riuniti nel tuo nome.
Vieni
a noi,
assistici,
scendi
nei nostri cuori.
Insegnaci
tu ciò che dobbiamo fare,
mostraci
tu il cammino da seguire tutti insieme.
Non
permettere che da noi peccatori sia lesa la giustizia,
non
ci faccia sviare l’ignoranza,
non
ci renda parziali l’umana simpatia,
perché
siamo una sola cosa in te
e
in nulla ci discostiamo dalla verità.
Lo
chiediamo a Te,
che
agisci in tutti i tempi e in tutti i luoghi,
in
comunione con il Padre e con il Figlio,
per
tutti i secoli dei secoli. Amen
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli