RIUNIONE
IN PARROCCHIA – IN SALA ROSSA E MEET - DI AC SANCLEMENTE!
27 NOVEMBRE 2021 ORE 17
Azione
cattolica è missione!
OGGI, SABATO 27 NOVEMBRE
2021, ALLE ORE 17:00, CI RIUNIREMO IN PARROCCHIA, IN SALA ROSSA, PER CONTINUARE
IL PERCORSO FORMATIVO DELL’AZIONE CATTOLICA QUESTIONE DI SGUARDI E, IN
PARTICOLARE, LA SUA 2° TAPPA SGUARDI CHE GIOISCONO. DI SEGUITO INSERIAMO
DOCUMENTI UTILI PER IL DIBATTITO.
Si potrà partecipare
anche in videoconferenza Meet, con link e codice di accesso che sono stati comunicati. Chi non li abbia ricevuti e voglia partecipare in videoconferenza Meet, può richiederli con una email a mario.ardigo@acsanclemente.net, indicando il proprio nome, la parrocchia di residenza e i temi di interesse. Questi dati saranno utilizzati solo al fine di consentire la partecipazione alla riunione di stasera e dopo la sua conclusione verranno cancellati. Chiunque, invece, parteciperà in sala rossa, in parrocchia, sarà il benvenuto. E' prescritto di indossare la mascherina facciale per la prevenzione del contagio da Covid 19.
Il percorso formativo di
AC si articola in quattro tappe:
Sguardi che rileggono
Sguardi che gioiscono
Sguardi che ridanno dignità
Sguardi che contemplano
Ciascuna tappa si articola in tre passi:
La Vita si racconta
La Parola illumina
La Vita cambia
Per ogni tappa vengono suggeriti:
una canzone
un libro
uno o due film
un’opera d’arte
un salmo per la preghiera
Sono previsti tre percorsi
trasversali
Sguardi moltiplicati: una proposta di spiritualità
Con gli occhi di…Vivian Maier e la Street
Photography: un percorso sulla
fotografia di strada
Dagli occhi a cuore: un discoforum alla ricerca dello sguardo
A questo link di YouTube
potrete assistere a un video di presentazione del percorso:
https://www.youtube.com/watch?v=N4qGtFkGkFw
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Il lavoro come gruppo sinodale
Il 20
novembre abbiamo iniziato a riunirci come gruppo sinodale, nella fase di
consultazione del Popolo di Dio per l’Assemblea general del Sinodo dei
vescovi programmata per l’ottobre 2023 e per il cammino sinodale delle Chiese in Italia, ce si concluderà
nell’ottobre del 2025, anno del Giubileo, con un’Assemblea generale della
Conferenza Episcopale Italiana e con un’Assemblea delle Chiese in italia.
Di
seguito trascrivo il resoconto della riunione, che ha avuto come tema la prima
delle Dieci domande indicate dai
vescovi nel Documento preparatorio che contiene le linee guida della
consultazione:
1°. I COMPAGNI DI VIAGGIO
Nella Chiesa e nella
società siamo sulla stessa strada fianco a fianco. Nella vostra Chiesa locale,
chi sono coloro che “camminano insieme”? Quando diciamo “la nostra Chiesa”, chi
ne fa parte? Chi ci chiede di camminare insieme? Quali sono i compagni di
viaggio, anche al di fuori del perimetro ecclesiale? Quali persone o gruppi
sono lasciati ai margini, espressamente o di fatto?
Ieri, in parrocchia e in videoconferenza Meet
abbiamo tenuto il primo incontro come gruppo sinodale dedicato alla prima delle Dieci domande sui compagni di viaggio, nella società
e nella Chiesa locale.
Eravamo ancora pochi. E’ stato osservato che
i più anziani sono stati scoraggiati dalle brutte notizie che stanno arrivando
su una ripresa della pandemia da Covid 19. E’ stato però anche osservato che in
parrocchia si va manifestando il costume di non rispondere agli inviti, quello
delle cosiddette spunte blu. Sull’applicazione Whatsapp il segnale di spunta blu “V” segnala che
il destinatari ha ricevuto un messaggio: se quest’ultimo contiene un invito a
partecipare e non si ottiene ne un sì ne un no, questo è l’effetto spunta
blu.
La partecipazione ad un
gruppo di Azione Cattolica è prima di tutto missione, non ci si va
perché ci va. Non è in questione il
nostro benessere ma la missione verso gli altri.
E’ stato osservato che da
noi si va alle messe, alcune delle quali sono veramente affollate, ma si fa
poco di più di questo, non si partecipa al resto. Sergio, da una parrocchia
bolognese, ha confermato che anche là è così. Su una popolazione di seimila
persone, solo circa un centinaio sono in qualche modo partecipi dell’apostolato
organizzato dalla parrocchia, e la situazione sembra peggiorare.
E’ stato detto che in una
città come Roma, un po’ più grande nel panorama italiano, le persone vivono
molto tempo fuori del quartiere e bisognerebbe, allora, raggiungerle là dove sono.
Ma perché la gente in
chiesa ci viene, per la messa, e però poi non ha la spinta per fare
altro?
Chi sono i nostri compagni
di viaggio nella Chiesa? E’ stato detto che sono le persone che si frequentano
nei gruppi, ad esempio nel nostro di Azione Cattolica, che, però, sono sempre
meno frequentati. Quindi si sta con sempre meno persone. Le forze, quindi, sono
sempre più deboli e questo condiziona la nostra azione all’esterno.
Sergio ha detto che stiamo
raschiando il fondo del barile.
E’ venuto fuori il tema
dell’accoglienza, ma più che altro si pensa che debbano farsene carico i
preti, che però già sono impegnati al massimo e l’effetto del loro impegno è
evidente nel fatto che le messe hanno ripreso ad essere molto affollate e le
famiglie del quartiere hanno ripreso ad affidarci numerosi i loro ragazzi per
la formazione religiosa di base. E tutti hanno convenuto che i preti sono stati
e sono i nostri principali compagni di strada nella nostra Chiesa locale.
Chiara ha ricordato come
esperienza concreta di collaborazione tra laici e presbiteri quella di don
Antonio Sciarra, che spese gran parte della sua vita impegnandosi come
missionario in Albania, dopo la fine del regime comunista di Enver Hoxha
dichiarata terra di prima evangelizzazione all’inizio degli anni ’90. L’amicizia che
abbiamo vissuto in Azione Cattolica è un esempio di sinodalità.
Infine dall’incontro
dell’altro ieri nell’Azione Cattolica diocesana, svolto in videoconferenza, da
ciò che vediamo in parrocchia, e dalla situazione della parrocchia bolognese di
Sergio, risulta che del sinodo si parla poco. Da noi solo il nostro gruppo ha
programmato attività specifiche da ora e nei prossimi mesi. A dicembre nella
nostra parrocchia dovrebbero partire incontri dedicati a questo tema.
Questa è la situazione che
è emersa dal dibattito, per informarne i nostri vescovi.
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Questione di sguardi
Percorso formativo di Azione
Cattolica
2° tappa: Sguardi che gioiscono
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Preghiera iniziale
Con i tuoi occhi, Signore,
guaderò attorno a me,
perché tu colmi ogni distanza
e rischiari gli angoli
più oscuri e nascosti dei cuori.
Il tuo, Signore, è uno sguardo
che abbraccia,
non giudica,
ma risana, risolleva,
cura le debolezze,
raggiunge i dimenticati,
apre a inedite possibilità
e gioisce del bene ritrovato.
La luce dei tuoi occhi
si posi su di me, Signore,
raggiunga i segreti del mio
essere
perché io fiorisca
di quel bene che tu conosci in
me.
Con i tuoi occhi, Signore,
guaderò ancora attorno a me
e il cammino ricomincerà
nella gioia di sapersi amati da
te
da sempre e per sempre
Preghiera finale
Nel
Salmo 8 si loda Dio per la meraviglia del creato, dinanzi al quale si scopre
che la persona è ancora più bella, motivo di stupore per la sua bellezza che
scaturisce dall’essere fatta a immagine e somiglianza di Dio.
O Signore, nostro Dio,
grande è il tuo nome su tutta la terra!
Canterò la tua gloria più grande dei cieli
balbettando come i bambini e i lattanti.
Contro gli avversari hai costruito una fortezza
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Se guardo il cielo, opera delle tue mani,
la luna e le stelle che vi hai posto,
chi è mai l’uomo perché ti ricordi di lui?
Chi è mai, che tu ne abbia cura?
L’hai fatto di poco inferiore a un dio,
coronato di forza e di splendore,
signore dell’opera delle tue mani.
Tutto hai messo sotto il suo dominio:
pecore, buoi e bestie selvatiche,
uccelli del cielo e pesci del mare
e le creature degli oceani profondi.
O Signore, nostro Dio,
grande è il tuo nome su tutta la terra!
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Il brano evangelico proposto per la meditazione è tratto dal Vangelo
secondo Luca, capitolo 2, versetti da 41 a 52 “Gesù a dodici anni”
I genitori di Gesù ogni anno andavano in
pellegrinaggio a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando
Gesù ebbe dodici anni, lo portarono per la prima volta con loro secondo
l’usanza. Finita la festa, ripresero il viaggio di ritorno. Ma Gesù rimase
in Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. Credevano che
anche lui fosse in viaggio con la comitiva. Dopo un giorno di cammino, si
misero a cercarlo tra parenti e conoscenti. Non riuscendo a trovarlo,
ritornarono a cercarlo in Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono
nel Tempio: era là, seduto in mezzo ai *maestri della Legge: li
ascoltava e discuteva con loro. Tutti quelli che lo udivano erano
meravigliati per l’intelligenza che dimostrava con le sue risposte. Anche
i suoi genitori, appena lo videro, rimasero stupiti, e sua madre gli disse:
— Figlio, che cosa ci hai combinato? Vedi, tuo
padre e io ti abbiamo tanto cercato e siamo stati molto preoccupati per causa
tua.
Egli rispose loro:
— Perché cercarmi tanto? Non sapevate che io
devo stare nella casa del Padre mio?
Ma essi non capirono il significato di quelle
parole.
Gesù poi ritornò a Nàzaret con i genitori e
ubbidiva loro volentieri. Sua madre custodiva dentro di sé il ricordo di tutti
questi fatti.
Gesù intanto cresceva, progrediva in sapienza e
godeva il favore di Dio e degli uomini.
Lo sguardo meravigliato di Maria e Giuseppe è
attraente per la vita degli adulti. Nei genitori di Gesù si ritrova
l’apprensione e la preoccupazione che ogni adulto vive dentro le situazioni familiari
o lavorative. Ma ancor più attraente è l’incanto di questa coppia dinanzi al
bene, al buono, al bello che scoprono già presenti e all’opera nel loro figlio
dodicenne. Un bene che contagia gli altri verso un’uscita da sé stessi per
affidare la vita a Dio Padre e alla sua volontà. Il Vangelo invita a
riconoscere il bene che ricama il tessuto della vita adulta e sapersene
meravigliare.
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CANZONE: Che vita meravigliosa, Diodato
(dall’album Che vita meravigliosa, 2020)
https://www.youtube.com/watch?v=3vugZjDZeWs
Diodato, a proposito di questa canzone,
racconta: «Sono un affamato di vita, da sempre. E questa fame si è
intensificata col tempo. Crescendo, è cresciuta anche lei. I suoi odori, le sue
immagini, le sue interminabili montagne russe, il vuoto nello stomaco, le
sofferenze, la gioia, le incredibili coincidenze, l’amore, il dolore, questo
mare incommensurabile di sensazioni è ciò che mi nutre, ciò che mi fa sentire
vivo. Ed è questo che ho provato a raccontare, a racchiudere in questa canzone,
nel disperato tentativo di fermare ciò che non si ferma mai. Volevo puzzasse di
vissuto. Volevo ci fosse dentro la mia fame di lei.» Il testo canta la
meraviglia della vita, con le sue onde, i suoi canti di sirene, la ricerca di
porti sicuri e fazzoletti di terra su cui fermarsi anche solo per un attimo,
prima di riprendere il proprio viaggio. La canzone aiuta a entrare contatto con
la meraviglia e lo stupore che la vita dona, pur dentro le sue complessità,
come sperimentato anche dalla Santa Famiglia di Nazareth.
testo completo
Sai,
questa vita mi confonde
Coi suoi baci e le sue onde
Sbatte forte su di me
Vita, che ogni giorno mi divori
Mi seduci e mi abbandoni
Nelle stanze di un hotel
Tra le cose non fatte per poi non doversi
pentire
Le promesse lasciate sfuggire soltanto a metà
Mentre pensi che questo non vivere sia già
morire
Chiudi gli occhi lasciando un sospiro alla
notte che va
Ah, che vita meravigliosa
Questa vita dolorosa
Seducente, miracolosa
Vita che mi spingi in mezzo al mare
Mi fai piangere e ballare
Come un pazzo insieme a te
Sì, avrei potuto andare altrove
Non dar fuoco a ogni emozione
Affezionarmi ad un cliché
Ma sei la vita che ora ho scelto
E di questo non mi pento
Neanche quando si alza il vento
E mi perdo nel vortice di ogni tua folle
passione
Tra i profumi dei fiori che posi qui dentro di
me
Mi fai bere i tuoi baci affinché io poi possa
arrivare
Dentro l'ultima notte d'estate ubriaco ad
urlare
Ah, che vita meravigliosa
Questa vita dolorosa
Seducente, miracolosa
Vita che mi spingi in mezzo al mare
Mi fai piangere e ballare
Come un pazzo insieme a te
Ah, che vita meravigliosa
Questa vita dolorosa
Seducente, miracolosa
Vita che mi spingi in mezzo al mare
Mi fai piangere e ballare
Come un pazzo insieme a te
E non vorrei mai lasciarti finire
No, non vorrei mai lasciarti finire
Ah, che vita meravigliosa
Ah, che vita meravigliosa
Ah, che vita meravigliosa
Ah, che vita meravigliosa
Ah, che vita meravigliosa
Questa vita dolorosa, seducente, miracolosa
(Ah, che vita meravigliosa)
Vita che mi spingi in mezzo al mare (Ah, che
vita meravigliosa)
Mi fai piangere e ballare come un pazzo insieme
a te (Ah, che vita meravigliosa)
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Dal
Catechismo per gli adulti CEI
n.142 e n.143
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Dal Progetto formativo di Azione
Cattolica
in questa tappa è proposto un breve brano
tratta dal capitolo terzo, paragrafo 2. In esso si precisa l’idea di formazione
che l’Associazione promuove: la centralità data alla persona e al fatto che
possa essere accompagnata a riscoprire la meraviglia del volto di Cristo
impresso in ciascuna/o.
3.2 Come cambia la sensibilità
religiosa.
Tra i cambiamenti che riguardano questo nostro
tempo vi sono anche quelli relativi all’atteggiamento di fronte all’esperienza
religiosa e alla dimensione trascendente della vita. A volte siamo di fronte a
pretese di completa negazione teorica e pratica della possibilità
dell’esperienza cristiana e della sua comunicabilità, ed è molto significativo
che ciò si intrecci con la negazione del valore e della dignità della persona.
Accanto a questo, emergono segni nuovi di una domanda religiosa, non priva di
ambivalenze, spesso viziata da irrazionalismo o dalla ricerca di sensazioni e
di benessere e tuttavia indicativa della tensione verso un orizzonte che vada
oltre la dimensione materiale della vita.
Tuttavia ciò che è più evidente è la crisi ed
il crollo di quegli automatismi sociali attraverso i quali si trasmetteva, non
di rado efficacemente, una appartenenza religiosa cristiana,capace di generare
un “mondo”,una condizione che per tanti versi rendeva più probabile nelle
persone un atteggiamento positivo verso il credere cristiano. In generale,
oggi, sperimentiamo la relativizzazione di comportamenti e di valori generatisi
nelle tradizioni cristiane, ai quali viene meno il sostegno di una mentalità
diffusa. La riflessione teologica non ha mancato di riflettere su questa nuova
condizione del credere cristiano e della religione in generale. Ci si è anche
chiesti se questa nuova situazione corrispondesse ad una minaccia od ad una
provvidenza per la fede e per la Chiesa. Qualunque sia la risposta a questo
interrogativo, fuggire o negare l’esposizione del credere cristiano a questo
stato di pluralismo e di lacerazione recherebbe grave danno alla identità
cristiana e alla vita della Chiesa. Dal punto di vista spirituale ed
ecclesiale, invece, ci sentiamo impegnati a discernere quale sia la componente
di provvidenzialità del nostro tempo, poiché al credente non è dato di
escluderla in nessun tempo. Varie discipline scientifiche aiutano questo nostro
discernimento spirituale a mettere in luce nella dimensione religiosa della
realtà contemporanea condizioni che lasciano spazio più ampio a singoli tratti
dell’esperienza cristiana, in passato od altrove certamente sacrificati. In
queste opportunità non possiamo non scorgere un dono per il nostro credere.
Oggi per la dimensione religiosa, è impossibile contare sulla inerzia della
tradizione per produrre una stabile pratica religiosa. In queste condizioni
sociali e personali, una esperienza religiosa – che voglia essere durevolmente
umana e sana – deve essere altamente personalizzata. Per questo si comprende
perché i Pastori non possano che chiedere con più forza ed a tutti i cristiani
di divenire sempre più “adulti” e “pensanti”18. Questa condizione del credere,
come già la storia della santità laicale novecentesca e quella del laicato di
azione cattolica hanno mostrato e la 37 Fedeli al Vangelo in questo tempo
Chiesa riconosciuto, non è necessariamente elitari. Al contrario, quella
cristiana può essere ancora un’esperienza di fede e di Chiesa popolare. Anche
in funzione di questo prende senso la scelta associativa quale particolare e
specifica forma aggregativa nella Chiesa.
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Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium papa Francesco,
dopo aver parlato della gioia e dell’amore che nascono dall’accoglienza del
Vangelo, insiste nel precisare che, l’incontro autentico con la Parola di Dio
porta dei frutti nella vita: frutti di pace, di giustizia e di fraternità. Per
la realizzazione di ciò, sono proposti dei principi che regolano lo sviluppo della
convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le diversità non sono
una minaccia, ma si armonizzano in un progetto comune. Il primo di questi
principi è legato al tempo: la
missione della chiesa dovrebbe essere meno preoccupata di occupare degli spazi,
ma piuttosto lavorare a lunga scadenza, convinta che il tempo è superiore allo
spazio. In questa prospettiva, una chiesa in uscita missionaria si adopera per
avviare processi più che controllare dei luoghi.
COMMENTO
Approfondiamo
il messaggio di Evangelii Gaudium grazie
alle riflessioni di Franco Miano.
Per un nuovo senso
dell’impegno pastorale (Orientamenti
pastorali 3 -2014)
“Sento
una gratitudine immensa per l’impegno di tutti coloro che lavorano nella
Chiesa. Non voglio soffermarmi ora ad esporre le attività dei diversi operatori
pastorali, dai vescovi fino al più umile e nascosto dei servizi ecclesiali.
Però, devo dire in primo luogo e come dovere di giustizia, che l’apporto della
Chiesa nel mondo attuale è enorme. Il nostro dolore e la nostra vergogna per i
peccati di alcuni membri della Chiesa, e [...] per i propri, non devono far
dimenticare quanti cristiani danno la vita per amore: aiutano tanta gente a
curarsi o a morire in pace in precari ospedali, o accompagnano le persone rese
schiave da diverse dipendenze nei luoghi più poveri della Terra, o si prodigano
nell’educazione di bambini e giovani, o si prendono cura di anziani abbandonati
da tutti, o cercano di comunicare valori in ambienti ostili, o si dedicano in
molti altri modi, che mostrano l’immenso amore per l’umanità ispiratoci dal Dio
fatto uomo. Ringrazio per il bell’esempio che mi danno tanti cristiani che offrono
la loro vita e il loro tempo con gioia. Questa testimonianza mi fa tanto bene e
mi sostiene nella mia personale aspirazione a superare l’egoismo per spendermi
di più.” (EG76)
Una
responsabilità condivisa
Un
impegno di tutti
Queste parole di Papa Francesco - significative e semplici
come è nel suo stile - condensano il senso è la bellezza dell'essere “operatori pastorali.” E allo stesso
tempo mostrano come con tale espressione non si voglia non si vogliano indicare
semplicemente dei “tecnici”, dei
“professionisti” a cui delegare le attività pastorale. Il papa, cioè, ci invita
a superare la tentazione le tentazioni funzionaliste. Ciò risulta chiaro fin
dalle prime righe del brano citato, tratto dal secondo capitolo della Evangelii Gaudium, denominato Nella
crisi dell'impegno comunitario, che riguarda proprio gli operatori
pastorali. Vi si specifica, infatti, che con questa dizione si intende fare
riferimento a tante figure, “dai vescovi
fino alla più umile e nascosto dei servizi ecclesiali”. Niente “procure”, dunque: tutti i membri del
popolo di Dio sono chiamati a questo esercizio, che rende ciascun credente
impegnato non tanto semplice collaboratore o esecutore di disposizione altrui,
quanto pienamente corresponsabile della vita della Chiesa e delle sue scelte. È
un esercizio che è scuola di ecclesialità semplice ma concreta, che educa a
sentirsi Chiesa e a sentire la Chiesa come la propria casa, in cui tutti sono
figli, della quale tutti sono costruttori e a cui tutti sentono di appartenere
fino in fondo. E’ un esercizio che
valorizza il protagonismo dei credenti, stimola il loro coinvolgimento è
responsabile nella missione della Chiesa, la crescita in consapevolezza e senso
di appartenenza.
Un
impegno di vita, di amore, di testimonianza gioiosa
Un esercizio caratterizzato da alcune peculiarità, a cui
fa cenno esplicito il Papa nel brano citato: in primo luogo, il saper “dare la vita” e “l'offrire la vita”. Non si tratta, quindi, di un impegno da
assumere part-time o per un breve
tempo nella propria esistenza, anche se necessariamente si realizza in uno
spazio temporale definito. E’ un impegno che prende l'intera vita, la cambia,
la trasforma, rende persone nuove. E’ l’impegno di chi perde la propria vita
per guadagnarla, di chi si spende fino in fondo per l'altro, e non
semplicemente sulla scia di un facile entusiasmo, ma eventualmente facendo si
che l'entusiasmo di un momento divenga passione di ogni giorno e di ogni
momento di ogni giorno. “Oggi si può
riscontrare in molti operatori pastorali, comprese persone consacrate -
scrive il papa-, una preoccupazione
esagerata per gli spazi personali [...], che porta a vivere i propri compiti come una mera appendice della vita,
come se non facessero parte della propria identità [...] Così si possono riscontrare in molti
operatori [...] un'accentuazione
dell'individualismo, una crisi d'identità e un calo del fervore” (n°78)
Il Papa sollecita dunque ad offrire la propria vita, tutta
la propria vita, sottolineando che questo è possibile solo se si ama. Si tratta
di prendersi cura, prodigarsi, aiutare, accompagnare, superare l'egoismo,
spendersi. E’ l'amore per l'umanità, o meglio per l'uomo concreto, in ogni
situazioni le condizioni di vita, in ogni età, l'amore che è generato
dall'amore di Dio per noi. Per questo si può offrire la vita e testimoniare
senza avvertire tutto ciò come un “dovere”
da espletare, ma con autentica e grande gioia.
Le
scelte da compiere
L'operatore pastorale, “dai
Vescovi fino al più umile nascosto dei servizi ecclesiali” proprio perché
ama la persona, è la persona concreta in situazione, non può non esercitare “quel discernimento evangelico” a cui
richiama il papa, a non può non avere ”lo
sguardo del discepolo missionario che si nutre della luce e della forza dello
Spirito Santo”.[1]
In tal senso, del resto, si erano già espressi i vescovi italiani: ”L'azione
pastorale andrà accompagnata da una costante opera di discernimento”.[2] In questa prospettiva Papa
Francesco invita a guardare senza timori alle tante tentazione della cultura
odierna, a cui talvolta soggiace anche l'operatore pastorale, in modo da poter
dire dei chiari “no” ad esse e altrettanti “si”
ha scelte belle e impegnative.
Dalla
cultura dello scarto alla scelta della persona
L’operatore pastorale è chiamato a compiere la scelta
della persona. A fondamento di ogni azione pastorale non può non esserci il
primato della persona: un principio non astratto o retorico, perché fa
riferimento a ciascuna persona concreta e storica, in tutte le dimensioni e le
età della vita. E’ un primato che
discende dal riconoscere in ogni essere umano l'immagine vivente di Dio. Anche per questo motivo va riconosciuta e
promossa l'integrità della persona, evitando di cadere in quella cultura del “frammento” che oggi tenda vedere anche
l'essere umano per pezzi separati. Di qui la necessità di una pastorale
integrata, auspicata fin dal Convegno ecclesiale di Verona, che sappia fare
unità della persona e nella persona.
Per questo all'operatore pastorale è richiesto di
accompagnare coloro che incontra e coloro che gli sono posti accanto, che deve
sentire come affidati a sé. Si tratta di un accompagnamento quotidiano,
costante, attento, rispettoso ma anche autorevole. L’operatore pastorale si
impegna così a sostenere il cammino di vita, di fede e di ricerca di Dio delle
persone in modo che non vi sia mai separatezza tra la fede è la vita. Si
impegna non solo ad accogliere le domande sulla fede e sulla vita, ma anche
stimolarle, a sollecitarle, a farle emergere.
Si impegna, in sostanza, a sollecitare nelle persone la scoperta della
propria vocazione e la piena e convinta risposta ad essa.
Dalla
problematicità delle culture attuali alla scelta dell'inculturazione della fede
E poiché la persona vive in situazione, e la sua vita è
immersa in quella del territorio, l'operatore pastorale deve contribuire a
promuovere un processo di inculturazione della Fede. Via e strumento
particolare in tal senso è la parrocchia casa tra le case, chiamata ad essere “la fontana del villaggio”, secondo la
bella espressione di Giovanni XXIII. “La
nuova Gerusalemme, la Città santa, - afferma Papa Francesco - è la meta verso cui si incammina si è
incamminata l'intera umanità. E’ interessante che la Rivelazione ci dica che la
pienezza dell'umanità e della storia si realizza in una città. Abbiamo bisogno di riconoscere la città a
partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel
Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. [...] Egli vive tra i cittadini promuovendo la
solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. [...]
Dio non si nasconde a coloro che lo
cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e
diffuso.” (n° 71).
E’ proprio questo, quindi, il compito dell'operatore
pastorale, inteso - va ribadito ancora una volta - non soltanto come “tecnico della pastorale”, ma, in senso
lato, come credente responsabile e corresponsabile nella vita della Chiesa. In
un contesto nuovo e multiculturale, che può apparire difficile e a volte
ostile, egli deve individuare nuove forme di inculturazione della fede, con
creatività e discernimento, in modo che proprio in quel contesto si riscopra il
Dio che sceglie di abitare la storia degli uomini e si fa compagno di viaggio;
in modo che la fede venga percepita non come una sovrapposizione o un obbligo
noioso, ma, come più volte ribadito nell'esortazione,
quale realtà capace di cambiare la vita personale, e dunque di scardinare tante
storture a livello comunitario, di promuovere il bene, di costruire legami di
vita buona. “Non è bene - sottolinea
il Papa - ignorare la decisiva importanza che riveste una cultura segnata dalla
fede [...]. Una cultura popolare
evangelizzata contiene valori di fede e solidarietà che possono provocare lo
sviluppo di una società più giusta è credente, e possiede una sapienza
peculiare”. (n°68)
L'operatore pastorale è dunque chiamato a impegnarsi a far
scoprire e riscoprire, in qualsiasi luogo, la bellezza dell'incontro con il
Signore che trasforma l'esistenza, a partire dalla vita concreta e dagli spazi
in cui è vissuta, a partire da questo tempo e in questo tempo, che è comunque “momento favorevole” (cf. 2Cor 6,2)
Dall'individualismo
alla scelta della relazione e della fraternità
Un'ulteriore sfida di cui la pastorale, e in essa
l'operatore pastorale deve tenere conto è quella dell'individualismo. “L'individualismo postmoderno e globalizzato
- scrive infatti il Papa - favorisce uno stile di vita che indebolisce lo
sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone [...]. L'azione pastorale deve mostrare ancora
meglio che la relazione con il nostro Padre esige e incoraggia una comunione
che guarisca, promuova e rafforzi i legami interpersonali.” (n° 67)
L'operatore, dunque, deve far emergere, anche attraverso
la testimonianza, il volto di una comunità capace, nell'eucaristia, di
sviluppare intense relazioni umane, di essere luogo di dialogo e d'incontro per
le diverse generazioni, spazio in cui tutti hanno cittadinanza. E’ una capacità
che muove dalla relazione primaria con il Signore, causa e origine della
comunione ecclesiale. Il Dio Trinità ci mostra che la comunione è un dono da
accogliere e far fruttificare, è una realtà possibile da vivere.
L’'operatore pastorale, ovvero ogni credente impegnato, ha
quindi il compito di contribuire a costruire una comunità in cui si sperimenta
una comunione non irenistica, ma
basata su un dibattito aperto e significativo, su un confronto anche vivace, ma
sempre fraterno. La comunione, la corresponsabilità e la collaborazione,
delineano il volto di comunità cristiane che procedono insieme, con uno stile
che valorizza ogni risorsa e ogni sensibilità, in un clima di dialogo sereno,
di franchezza nello scambio e di mitezza nella ricerca di ciò che corrisponde
al bene della comunità intera.
In un contesto sociale frammentato e disperso, la comunità
cristiana avverte come proprio compito anche quello di contribuire generare
stili di incontro e di comunicazione. Lo fa anzitutto al proprio interno,
attraverso relazioni interpersonali attente a ogni uomo, donna, giovane e
ragazzo. Impegnata non sacrificare la qualità dei rapporti all'efficienza dei
programmi, la comunità ecclesiale considera una testimonianza dell'amore di Dio
nel promuovere relazioni mature, capaci di ascolto e di reciprocità. La vita di
comunione e la testimonianza corale e organica che si sperimentano nella vita
ecclesiale, costituiscono una scuola di grande valore: non sono puro fatto organizzativo,
ma conservano la carica umana e spirituale di incontro tra le persone, in una
familiarità che tende alla comunione e in un coinvolgimento che tende alla
corresponsabilità. E’ questa un'esperienza che nasce dal contributo di tutti e
si avvale della partecipazione di ciascuno.
In particolare, le relazioni tra le diverse vocazioni
devono rigenerarsi nella capacità di stimarsi a vicenda, nell'impegno, da parte
dei pastori, ad ascoltare i laici valorizzandone le competenze e rispettandone
le opinioni. D'altro lato, i laici devono accogliere con animo filiale
l'insegnamento dei pastori come un segno della sollecitudine con cui la Chiesa
si fa vicina e orienta il loro cammino. Tra pastori e laici, infatti, esiste un
legame profondo, ricco di quella amicizia spirituale che genera il Signore.
Lo stile di comunione che si sperimenta nelle comunità
costituisce un tirocinio perché lo spirito di unità raggiunga poi i luoghi
della vita ordinaria, animi tutti i contesti dell'esistenza contribuendo così a
rigenerare il tessuto umano. L'impegno a camminare nell'unità e a fare famiglia
è esercizio di socialità, perché concorre a realizzare obiettivi comuni ed
esige disciplina perché si possa camminare insieme tenendo conto delle esigenze
e del passo degli altri; perché richiede tensione all'integrazione e alla
testimonianza di una comunione che è dono e impegno, ed esige di tramutarsi in
percorsi che realizzano una fraternità senza confini. “L'unica via - afferma papa Francesco - consiste nell'imparare a incontrarsi con gli altri con l'atteggiamento
giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze
interiori. Meglio ancora, si tratta
di scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste.
E’ anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo
aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la
fraternità.” (n° 91)
Questa sottolineatura appare particolarmente importante in
un tempo in cui è più facile separarsi che unirsi, è più naturale interrompere
le relazioni che crearne di nuove. Insistere sulla bellezza e sull'importanza
della dimensione relazionale della persona significa scommettere su sé stessi e
sugli altri e dare concretezza al principio della dignità di tutte le persone.
Dall'accidia
egoista e dal pessimismo sterile alla scelta dell'impegno e della speranza
Un'ulteriore tentazione dell'operatore pastorale,
ammonisce il papa, è quello della “accidia
egoista” (cf. n°81). Si tenta, cioè, di sfuggire gli impegni e di
conservare i propri spazi di autonomia, di attivarsi, ma sono in forma
limitata, non mettendoci il cuore ma unicamente una parte del nostro tempo. Ne
consegue, avverte papa Francesco, la difficoltà di trovare, ad esempio,
catechisti che perseverino nel loro servizio.
Esiste, però, un'altra modalità di essere “accidiosa”, che consiste non tanto nel
non operare, quanto mi rifarlo senza le motivazioni adeguate, “senza una spiritualità che permei l'azione
e la renda desiderabile” (n° 82). In questo caso si avverte il proprio
impegno, a volte notevole, come troppo oneroso e quindi difficile da accettare.
Un pericolo analogo è rappresentato dal pessimismo di chi crede che nulla potrà
cambiare, che ogni attività intrapresa finirà per risultare inutile e si crogiola
nella sfiducia e nel disincanto.
Tutto ciò porta inevitabilmente a un cristianesimo statico
e incerto, e dunque poco povero e poco significativo. Il cristianesimo, però,
non può essere questo, perché dello spezzare Il pane, come avviene a Emmaus, il
nostro cuore stanco e ferito torna ad ardere dalla gioia, abbandonando
sentimenti di delusione e riaccendendo la speranza. E così come per i due di
Emmaus, questa gioia così forte e questa ritrovata speranza non possono
lasciarci vivere la vita di sempre, ma cambiano la vita per sempre.
Lo stile del credente corresponsabile deve essere dunque
improntato a quella speranza che si fa atteggiamento di fiducia davanti alla
vita e, di conseguenza, impegno: non un ottimismo superficiale e ingenuo, ma la
speranza cristiana, che crede che la nostra vita di ogni giorno, così come la
storia umana, siano i luoghi in cui misteriosamente è presente e operante la
speranza che non delude, lo Spirito del Signore Gesù.
l'operatore pastorale è perciò chiamata di impegnarsi con
fiducia, per “offrire una gioiosa
risposta all'amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e
fecondi” (n°81), che ci sostiene anche nelle difficoltà, che ci entusiasma
anche nella stanchezza. “Nessuno può
intraprendere una battaglia - spiega il papa - se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in
anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. Anche se con la
dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza
darsi per vinti, e ricordare quello che disse il signor a San Paolo:<< Ti
basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor
12,9)>>” (n°85).
Occorre quindi dire un sì forte e coraggioso ad una
spiritualità missionaria (n°78), alla passione per l'evangelizzazione, a un
impegno ricco di speranza e di fiducia, alla bellezza della testimonianza, per
affermare come il Papa: “Non lasciamoci
rubare l’entusiasmo missionario! Non lasciamoci rubare la gioia
dell'evangelizzazione!”
PER RIFLETTERE singolarmente o in
gruppo
·
Siamo effettivamente convinti che se, come
ricorda Papa Francesco, “il tempo è superiore allo spazio” appare allora
decisivo saper avviare processi innovativi più che pensare di fissarsi in
posizioni consolidate?
·
Quanto la nostra azione è libera da desideri di
controllo, di potere e quanto invece è capace di avere attenzione alle persone,
così come sono, nella unicità e nella imprevedibilità delle loro storie?
·
Ci dedichiamo all’impegno formativo con tutto il
cuore, in maniera incondizionata ed entusiasta?
·
Come ci esercitiamo a cogliere la presenza del
Signore nella nostra vita ma anche nelle vicende dei nostri paesi e delle nostre
città, negli accadimenti della nostra storia?
·
Sappiamo far crescere l’amore per i luoghi in cui
viviamo e per le loro storie?
·
Siamo anche noi vittime dell’“accidia egoistica”
di cui parla Papa Francesco? Come possiamo arginare ogni forma di disfattismo
in noi e nelle nostre comunità? Attribuiamo valore anche all’impegno relativo a
“tempi lunghi” e non solo a risultati del momento?
·
In quale contesto sociale e culturale opera la
nostra chiesa, la nostra Comunità? Quante e quali delle sfide indicate dall’EG
toccano più da vicino le nostre comunità?
·
I laici sono capaci di assumersi responsabilità
di testimoniare il Vangelo nella Chiesa, nella società e nella politica? Quale
consapevolezza nelle nostre comunità della dimensione sociale
dell’evangelizzazione?
·
Quale il posto dei poveri nella comunità? Come le
nostre comunità educano alla preghiera e al lavorare per il Regno?
Puoi
trovare il testo dell'Esortazione Apostolica al seguente link:
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
IL LIBRO: Alessandro Baricco “Quel che
stavamo cercando”
INTRODUZIONE: “Quel che stavamo cercando”
(Feltrinelli, Milano 2021, pp. 48, €4,00 – anche in ebook ad € 1,99) è un
piccolo libretto dello scrittore Alessandro Baricco, conosciuto per moltissimi
romanzi e saggi di successo, che questa volta si confronta con la riflessione
intima e personale. Il testo vede la luce per la prima volta nell’ottobre del
2020 in versione digitale per poi essere distribuito nella forma più calda e
familiare della pagina stampata.
INTERPRETAZIONE: Cosa cerchiamo quando
guardiamo? A quale desiderio di comprensione rispondono i nostri occhi mentre
attraverso essi ci percepiamo parte di questo mondo, con tutte le sue
contraddizioni? Cosa siamo disposti a vedere per davvero? A quali accadimenti,
per quanto faticosi essi siano, siamo disposti a dare credito come possibile
motivo di gioia o comprensione? La cornice di questo breve saggio è il tempo
presente, scomodo e violento, vestito di pandemia, scandito da cifre, la cui
enumerazione sconforta o allieta a seconda che dica di morti e malati, o
guariti e rinati. Al tempo stesso il testo - attraverso 33 pensieri - prende
vita nel nostro animo, dà forma alle paure, invita a guardare chiudendo gli
occhi per ascoltare il rumore di fondo: “Con gli occhi della scienza si legge
un testo privo di vocali. Erano così certe scritture arcaiche, poi rivelatesi
insufficienti a dire il mondo”. VALUTAZIONE: Un libretto scomodo, perché ci
provoca circa le responsabilità che abbiamo come singoli e come collettività.
Un invito a cogliere la prova del tempo presente come occasione per guardare
dentro l’inatteso che ha ridisegnato priorità e valori. Al tempo stesso
coraggioso e audace, “per provare a capire e leggere il caos”. Fin dall’inizio
c’è la provocazione a guardare alle parole, a ripensarne il modo col quale le
utilizziamo: «Ciò che un medico decide di chiamare malattia, è una malattia.
Ciò che un virologo decide di chiamare virus, è un virus. Ciò che un
epidemiologo decide di chiamare pandemia, è una pandemia».
FILM: PADRENOSTRO
Genere: Drammatico
Regia: Claudio Noce Durata: 120’ Paese: Italia,
2020 Interpreti: Pierfrancesco Favino, Mattia Garaci, Barbara Ronchi, Francesco
Gheghi, Francesco Colella, Antonio Gerardi
https://www.saledellacomunita.it/padrenostro-claudio-noce/ Roma, 1976.
https://www.youtube.com/watch?v=EuTCxjlj0jg trailer
Valerio ha dieci anni e una fervida
immaginazione. La sua vita di bambino viene sconvolta quando, insieme alla
madre Gina, assiste all'attentato ai danni di suo padre Alfonso da parte di un
commando di terroristi. Da quel momento, la paura e il senso di vulnerabilità
segnano drammaticamente i sentimenti di tutta la famiglia. Ma è proprio in quei
giorni difficili che Valerio conosce Christian, un ragazzino poco più grande di
lui. Solitario, ribelle e sfrontato, sembra arrivato dal nulla. Quell'incontro,
in un'estate carica di scoperte, cambierà per sempre le loro vite. Alfonso, il
padre di Valerio, è un uomo del sud, forte e silenzioso, severo ma capace di
grande tenerezza, abituato a tenere a bada la paura e a nascondere la sua
fragilità, anche perché appartiene a una generazione che comunica con i propri
figli in maniera parziale, mantenendo sempre le distanze. Ma Alfonso è anche
una figura spesso assente, la cui incolumità fisica viene percepita dal figlio
(a buon motivo) come in costante pericolo. Una roccia ma anche un gigante dai
piedi d'argilla, accanto al quale Valerio si sente fisicamente inadeguato ma
anche desideroso di mostrarsi tanto forte da diventare per il padre un angelo
custode. Il film aiuta a guardare con stupore crescente la relazione tra il
figlio e il padre che, a causa degli eventi, si rafforza fino a consentire a
ciascuno di esprimere le proprie paure e i propri desideri. Lo stupore e la
gioia, inoltre, permeano il rapporto fra i due ragazzi, Valerio e Christian:
amicizia, condivisione, desiderio di rompere gli schemi fino alla rivelazione
finale che li unirà per sempre.