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Teologia e politica
La riforma della Chiesa è un obiettivo
politico, perché riguarda il governo di quella particolare società che, appunto, la
Chiesa è. Non ce se ne deve scandalizzare, perché quando si crea una società
sorge il problema di come governarla e certo una collettività che comprendere
centinaia di milioni di persone non può essere governata al modo in cui lo fu
la piccola cerchia di discepoli che seguiva il Maestro nella sua predicazione
itinerante. E questo sebbene, in modo immaginifico, si faccia discendere anche il
governo della Chiesa di oggi da quell’esperienza. Ci hanno lavorato sopra i
teologi universitari e i canonisti, vale a dire i giuristi specializzati nel
diritto generato dall’esperienza ecclesiale. Le due specializzazioni si sono molto
integrate, per cui la teologia è diventata un problema anche giuridico, che è come
dire politico, perché relativo al governo della Chiesa. Il risultato è, nella
Chiesa cattolica, un totalitarismo ideologico e istituzionale che è ancora molto
sensibile. Il sistema politico che, oggettivamente, è il più simile a quello
della Chiesa cattolica è quello della Cina secondo Xi Jinping. In particolare
la Chiesa Cattolica ha, al suo vertice, un organismo, la Congregazione per la
dottrina della fede, il quale, valendosi anche della Commissione teologica
internazionale, esercita tuttora una stringente polizia ideologica e, a
volte, propriamente politica su clero e
religiosi, avendone le democrazie contemporanee affrancato le altre persone
secondo il principio di laicità delle istituzioni pubbliche civili. Questo
complesso politico-ideologico limita anche i Papi, i quali, sulla carta,
avrebbero la pienezza del potere. Oggi una parte della teologia è
sicuramente insofferente delle riforme progettate e iniziate dal Papa regnante,
Francesco, perché fatica a inquadrarle nel sistema della teologia dogmatica che in buona parte ha
resistito ai tentativi di innovazione del Concilio Vaticano 2°. Questo spiega
che, su questioni fondamentali, in particolare nel governo della Chiesa, è cambiato ancora poco.
Le questioni controverse, che vengono inquadrate
con un lessico molto sofisticato, non sono in genere accessibili alla maggior
parte dei fedeli. Questo è un bel problema, in un momento in cui si cerca di
innescare una riforma a partire dalla sperimentazione fatta tra di loro.
Bisogna dire che papa Francesco, a sua volta,
si è mostrato ripetutamente insofferente verso gli ostacoli che teologi e
canonisti gli pongono, procede con atti politici di sua iniziativa, ma non mi
pare che sia riuscito a scalfire granché del blocco teologico-giuridico-politico
dal quale scaturiva il governo ecclesiale all’inizio del suo regno. Mancano grandi
teologi come ce ne furono negli anni Cinquanta, quelli che prepararono la base
di discussione dei temi del Concilio Vaticano 2°. Del resto, la polizia
ideologica della Santa Sede ha lasciato poco spazio ai teologi cattolici, che
in gran parte sono preti e religiosi, la cui carriera sarebbe rovinata
da un anatema pontificio.
Come nutrimento della mente nel processo
sinodale in corso, penso che sarebbe più utile a noi persone laiche
approfondire la storia della nostra Chiesa che confrontarsi con i temi della
teologia dogmatica. I dogmi, del resto, hanno avuto origine e sviluppo storico,
a partire da quello, fondamentale, riguardante la Trinità. La storia, quindi,
aiuta a comprenderli. Nell’infarinatura catechetica ricevuta da bambini, che di
solito per i più costituisce il bagaglio religioso per la vita intera, la storia
in genere non c’è, in particolare non c’è quella della nostra Chiesa, anche
perché, facendone memoria veritiera, si pensa che potrebbe risultare
demotivante.
La Fondazione per le scienze religiose Giovanni
XXIII di Bologna, sviluppo dell’Centro
di documentazione ideato da Giuseppe
Dossetti, prima politico di primo piano, poi prete e monaco, dedica particolare
cura all’approfondimento storico. L’attuale segretario della Fondazione, Alberto
Melloni, ha pubblicato nel 2019 il libro Rimozioni - Lercaro 1968, editore Il Mulino, che racconta, con esposizione
storica rigorosa, la triste vicenda della brutale destituzione, mascherata
falsamente per l’opinione pubblica da dimissioni volontarie, dell’arcivescovo
di Bologna cardinal Giacomo Lercaro, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano
2°, dopo una sua omelia, il 1 gennaio 1968 quando si celebrò la prima Giornata
della pace istituita l’anno
precedente dal papa Paolo 6°, nella quale criticò duramente, anche con
motivazioni teologiche, i bombardamenti a tappeto statunitensi sul
Vietnam del Nord, chiedendone l’immediata cessazione. Questa linea si
discostava da quella, connotata da un certa neutralità, tenuta dal Papa l’anno precedente, il 23
dicembre 1967, ricevendo il presidente
statunitense Lyndon Johnson.
Disse in
quell’occasione Lercaro: «Ma la Chiesa non può essere neutrale, di fronte al male da
qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità, ma la profezia, cioè il parlare in nome
di Dio la parola di Dio. […] E’ meglio rischiare la critica immediata di alcuni
che valutano imprudente ogni atto conforme all’Evangelo, piuttosto che essere
alla fine rimproverati da tutti di non aver saputo - quando c’era ancora il tempo
di farlo - contribuire ad evitare le decisioni più tragiche o almeno ad
illuminare le coscienze con la luce della Parola di Dio. […] E adesso, potremmo
facilmente passare, da quell’esempio [il giudizio del papa Benedetto 15°, nel
1917, sulla Prima guerra mondiale come inutile strage], lontano ma tanto significativo,
a un esempio attualissimo. La dottrina di pace della Chiesa (messa sempre
meglio a fuoco da Papa Giovanni, dal Concilio, da Papa Paolo) per l’intrinseca
forza della sua coerenza, non può non portare oggi a un giudizio sulla precisa
questione dirimente, dalla quale dipende oggi di fatto il primo inizialissimo
passo verso la pace, oppure un ulteriore e forse irreversibile passo verso un
allargamento del conflitto. Intendo riferirmi, come voi ben potete capire, alle
insistenze che si fanno in tutto il mondo sempre più corali - e delle quali si
è fatto eco il Papa nel recentissimo discorso ai cardinali - perché l’America
(al di là di ogni questione di prestigio e di ogni giustificazione strategica) si determini a desistere dai bombardamenti aerei
sul Vietnam del Nord. Il Santo Padre ha detto testualmente - Molte voci ci
giungono invitandoci ad esortare una parte
belligerante a sospendere i bombardamenti. Noi lo abbiamo fatto e lo facciamo
ancora… Ma contemporaneamente invitiamo di nuovo anche l’altra parte belligerante…
a dare un segno di seria volontà di pace -. La Chiesa questo lo deve dire, anche se a qualcuno
dispiacesse. Lo deve dire perché, a questo punto, è il caso di coscienza
immediato di oggi, è il primo nodo da cui si possono dipendere le svolte più
fauste o più tragiche. In paragone a questo nodo concreto, a questa scelta
compromettente, l’attualità odierna dell’Evangelo si verifica, essa può
effettivamente attirare e orientare gli spiriti, specialmente delle nuove generazioni, e la sua dottrina di pace non resta evanescente,
ma si incarna e può incidere sulla storia degli uomini.»
Il 27 gennaio
1968 un inviato della Santa Sede informava Lercaro che lo si esonerava per
motivi di anzianità e di salute, invitandolo
a lasciare il governo della Chiesa bolognese il più presto possibile al suo
coadiutore Carlo Poma. Il 12 febbraio seguente il cardinale lasciò il suo ufficio.
Sull’Osservatore
Romano del
12 febbraio, riferisce Melloni, apparve un lancio di agenzia così formulato:
«Il Santo Padre ha benevolmente accolto il desiderio di Sua
Eminenza Rev.ma il signor Cardinale
Giacomo Lercaro di essere dispensato dal
governo della Chiesa Metropolitana di Bologna a motivo dell’età avanzata e
della condizioni di salute.»
Osserva Melloni:
«Il quotidiano
della Santa Sede accumula non una, ma una serie di falsità.: non c’era
desiderio di dispensa dalla diocesi, non c’erano motivi di salute, non c’era
alcuna spontanea decisione».
Quanto ai
dogmi con rilevanza politica lo studio
della storia della nostra Chiesa può convincere che su ogni questione prima si è individuato un obiettivo politico e poi se ne è cercata una giustificazione teologica
e, in questo senso, la politica ha plasmato la nostra teologia dogmatica,
quella particolarmente rilevante nelle questioni di governo ecclesiale. E’ andata così anche per il caso Lercaro.
Lo sviluppo di una teologia francamente sinodale, non limitata allo studio delle questioni di
collegialità episcopale e dei suoi rapporti con il potere del Papa ma estesa a tutte
le altre persone di fede, è
molto recente e, sostanzialmente, segue le decisioni di governo ecclesiale,
quindi politiche in questo
senso, di papa Francesco, dal 2013. Ad esse però si contrappone, in genere larvatamente
secondo i costumi curiali di sopravvivenza in un regime totalitario, un’altra
politica con la sua teologia di riferimento.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa
- Roma, Monte Sacro, Valli