Metodi di sinodalitá – 4 –
L’importanza della prospettiva storica
Chi vive la nostra Chiesa deve abituarsi a ridimensionare le proprie aspettative nell’immediato perseverando tuttavia nella speranza. Questo atteggiamento aiuta, ad esempio, a superare lo sconforto che prende nel constatare il travagliato avvio del cammino sinodale voluto da Papa Francesco, e, mi pare, più o meno solo da lui in Italia. Certamente, viste le premesse, gli italiani non ne saranno protagonisti. La responsabilità principale è principalmente, va detto, di noi persone laiche, perché ci contentiamo di prendere della religione ciò che ancora ci piace e ci serve senza curarci di come la nostra Chiesa sta diventando, pensando che siano cose da preti. Così, ad esempio, abbiamo lasciato andare in malora i Consigli pastorali parrocchiali, che ora non sorreggono il processo sinodale formalmente aperto lo scorso 9 ottobre, ma che va avanti nell’indifferenza dei più.
Quanto ai preti di parrocchia, la Chiesa per i più, non li giudico, perché sono dei volenterosi operatori che lavorano in ambienti sociali molto difficili. Stretti tra una gerarchia che non riesce a superare l’autocrazia e fedeli distratti e incostanti, e l’atteggiamento di questi ultimi, va detto, è anche una forma di difesa da quell’umiliante autocrazia, fanno quello che possono.
Tutti noi dovremmo maturare una migliore consapevolezza storica, per capire il processo in cui siamo stati coinvolti – la storia è processo – e per evitare di ripetere gli errori del passato. Paradossalmente – ma è un fatto noto in sede scientifica - ne ha scritto ad esempio il premio Nobel Daniel Kahneman nel bel libro divulgativo Pensieri lenti e veloci, che vi consiglio – meno si sa, più si presume di sapere. Il fondamentalismo religioso, l’orientamento che vuole coartare la realtà in angusti e immaginifici schematismi teologici si basa proprio su questo, su un’orgogliosa ignoranza, che, quando si riversa sugli altri malcapitati, si trasforma in arroganza. Ecco dunque che si dice “ne so poco, ma non mi convince”, ad esempio riferendosi a un’esperienza sociale molto complessa come quella dell’Azione Cattolica.
Incrociando metaforicamente le armi con fondamentalisti e integralisti di quell’epoca, negli anni ’80 almeno mi trovavo di fronte persone che combattevano l’Azione Cattolica italiana ben consapevoli del perché: da strumento clericale quale era stata disegnata nel 1905 nell’enciclica Il fermo proposito, nei tristi tempi della persecuzione contro il cosiddetto “modernismo” – manifestatasi come una catastrofe totalitaria che può essere accostata sotto certi aspetti alla tragica rivoluzione culturale di Mao Zedong negli scorsi anni Sessanta -, era diventata il principale agente popolare di attuazione dei principi deliberati durante il concilio Vaticano 2º. All’epoca fondamentalisti e integralisti erano alleati dei clericali, ora non più: si stanno costruendo un proprio clero, cercano di farlo avanzare verso l’episcopato e da lì, strumentalizzandolo a fini di potere, cercano di manovrare per insediare un loro Papa, contemporaneamente permettendosi di contrastare con disinvoltura quello regnante. Nulla di nuovo. Questa fu prassi corrente fino al Quattrocento, quando il Concilio di Costanza (1414-1418) depose i tre Papi che all’epoca regnavano, dopo il cosiddetto “scisma d’Occidente” (prodottosi nel 1378 con l’elezione di due Papi), e, con il decreto Haec sancta, affermò la supremazia del Concilio sul Papato. Dal Cinquecento il papismo clericale, federandosi con le dinastie sovrane europee nella delicata fase di costruzione degli stati nazionali, ebbe il sopravvento tra i cattolici e questa situazione durò fino al Concilio Vaticano 2º (1962-1965).
In Italia la progressiva eclissi politica del Papato fu collegata anche al processo di unificazione nazionale, che produsse nel 1870, mentre era in corso il Concilio Vaticano 1º - sospeso quell’anno e mai più ripreso -, l’abbattimento del piccolo regno che il Papato aveva nell’Italia centrale. Prima di federarsi con il fascismo mussoliniano, con i Patti Lateranensidel 1929 che ci diedero la Città del Vaticano a fronte dell’impegno a cessare ogni attivismo politico, il Papato, preso atto dei risultati dei movimenti popolari intransigenti verso la politica del nuovo Regno d’Italia che fedeli italiani avevano realizzato autonomamente da metà Ottocento, decise di organizzare un proprio movimento politico fortemente asservito alla sua gerarchia, come strumento di pressione a proprio favore. Da qui appunto l’istituzione, in Italia ma anche altrove, dell’Azione Cattolica, che fu molto più di un’istituzione devozionale e catechetica, ma che fu costruita anche come partito e sindacato. Ad essa, nel 1942, il papa Pio 12º ordinò di progettare e realizzare un nuovo sistema politico, democratico, per sostituire il fascismo mussoliniano il quale, dissenziente quel Papa, aveva trascinato l’Italia nella guerra mondiale. Ciò fu fatto. Importanti principi della dottrina sociale finirono nella nuova Costituzione Repubblicana. Ma il lavoro continuò ben oltre. I democratici cristiani italiani e tedeschi ebbero parte determinante nella costruzione di una nuova Europa fondata su valori riconducibili anche alla loro fede religiosa. Questa organizzazione fu fondata sul principio di sussidiarietà, che è dottrina sociale. Da ultimo i democratici cristiani Khol, Prodi e Merkel furono tra i principali artefici dell’allargamento ad Oriente dell’Unione europea, coinvolgendovi rapidamente popoli che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, erano rimasti intrappolati oltre quella che Winston Churchill definì cortina di ferro, l’impero sovietico. In questo nuovo contesto, però, il Papato, diffidando storicamente di tutto ciò che viene dal laicato, e quindi diffidando dei nuovi democratici europei, si federò con le potenze Occidentali vincitrici della Seconda guerra mondiale, tra le quali egemoni erano gli Stati Uniti d’America, pur mantenendo una certa simpatia verso forme di fascismo clericalizzato come il franchismo spagnolo. Il protagonismo politico dei cattolici democratici italiani e tedeschi lo preservò dal discredito che poteva derivargli dall’essersi federato in Italia con il fascismo mussoliniano, almeno fino al 1939. Tracce evidenti di questa compromissione vi sono nell’enciclica Il Quarantennale – Quadragesimo anno, diffusa nel 1931 sotto l’autorità del papa Pio 11º, la stessa in cui venne enunciato il principio di sussidiarietà. Nel ‘68, l’arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro, uno dei protagonisti del Concilio, per aver criticato, nel corso della prima Giornata mondiale della pace i micidiali bombardamenti statunitensi sul Vietnam, venne sbrigativamente indotto a dimettersi. L’alleanza del Papato con gli Stati Uniti nella cosiddetta guerra fredda risaltò particolarmente durante le crisi polacche degli anni ‘80, regnante Giovanni Paolo 2º. Il cattolicesimo polacco, che a lungo ci venne proposto in Italia come modello ecclesiale, ora si manifesta per quello che è e, tutto sommato, l’avervi resistito, da parte dell’Azione Cattolica italiana si è rivelata una scelta lungimirante.
Nel secondo dopoguerra, moti di riforma si manifestarono anche nella Chiesa cattolica, in Italia in particolare sull’onda del protagonismo politico dei cattolici democratici. Al centro del dibattito vi era il ruolo religioso delle persone laiche. Esse, nei processi politici che avevano portato alla nuova Europa democratica, avevano agito con autonomia, del resto secondo le indicazioni date dal Papato con una serie di importantissimi radiomessaggi natalizi diffusi tra il 1942 e il. 1945, che ebbero complessivamente il valore sostanziale di un’enciclica sulla riforma sociale e politica. Ormai andava loro stretto il ruolo di meri esecutori di direttive della gerarchia che era stato loro attribuito dal Papato in Azione Cattolica. Bisogna allora capire bene questo: la riforma dell’Azione Cattolica, progettata essenzialmente dal laicato italiano, prima di essere assentita dall’episcopato nel ’68, si intrecciò strettamente con quella deliberata nel corso del Concilio Vaticano 2º, anche perché, fino all’inizio del regno del Papa Giovanni Paolo 2º, l’Italia fu il principale laboratorio politico del Papato.
In conclusione: da ciò che ho cercato di sintetizzare emerge che nessun operatore pastorale, soprattutto in una parrocchia grossa come la nostra, con un bacino di potenziale “utenza” di circa 15.000 persone, può a cuor leggero uscirsene ammettendo di “ignorare” ciò che l’Azione Cattolica ha rappresentato e rappresenta.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli