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Stasera cominciamo come gruppo sinodale
Stasera, 20 Novembre, alle
ore 17, in parrocchia – sala rossa e in videoconferenza Meet noi dell’AC San Clemente promuoveremo un gruppo
sinodale parrocchiale, per iniziare
a rispondere alle Dieci Domande che i vescovi ci hanno proposto, nella fase
della consultazione del Popolo di Dio, tutti noi, in preparazione dell’Assemblea
generale del Sinodo dei vescovi dell’Ottobre 2023 e dell’Assemblea generale
della Conferenza episcopale italiana che, nell’ottobre 2025, anno del Giubileo,
chiuderà il Sinodo delle Chiese italiane. Siamo tutti convocati, come Chiesa,
hanno scritto i nostri vescovi. Questo processo sinodale che è in corso del 9 Ottobre scorso riguarda
la riforma della Chiesa e viene
presentato come un completamento della fase attuativa dei principi deliberati
in merito durante il Concilio Vaticano 2°, che si è svolto a Roma dal 1962 al
1965. L’idea
fondamentale, intorno alla quale ruota quel processo, è quella di sinodalità
totale. Essa significa realizzare
una effettiva partecipazione di ogni battezzato nelle decisioni e azioni di
Chiesa, quindi collettive, che
riguardano l’apostolato, vale a dire la diffusione e attuazione del vangelo nel mondo. Se tutti devono essere messi in condizione di
partecipare a tutto occorre praticare un metodo che impedisca ad una parte
di tiranneggiare le altre, fosse anche la parte maggioritaria. Non è sinodale
la prevaricazione di uno, o di
pochi, ma neanche quella dei più. Secondo il principio di sinodalità,
dunque, ci si propone di raggiungere il consenso più ampio possibile, ma anche
di impedire le pretese totalitarie delle maggioranze. La sinodalità posta in questi termini non è mai stata
storicamente praticata nella nostra Chiesa, anche se dagli anni Sessanta
sono iniziate esperienze sociali in questo senso, in particolare nell’esperienza
latinoamericana del Consiglio episcopale latinoamericano e nella Chiesa tedesca, che attualmente ha in
corso il suo Sinodo nazionale. Uno
dei principali problemi su quella via è quello del ruolo da riconoscere alle
persone laiche e, in particolare, alle donne. Esso è cruciale anche per
definire il senso delle funzioni ecclesiali del clero e dei religiosi e l’estensione di quelle episcopali. Nella teologia contemporanea si comincia a
proporre di abbandonare il termine laico, sostituendolo con quello di fedele
cristiano. Laico infatti è
venuto storicamente a significare non-chierico e, progressivamente, illetterato,
incolto, cosa che non corrisponde più alla situazione ecclesiale
contemporanea, nella quale i laici esercitano un reale e importante magistero
sociale, che ha significativamente
orientato quello episcopale. La prima delle Dieci Domande che orienteranno il nostro cammino sinodale
è questa:
1°. I COMPAGNI DI VIAGGIO Nella Chiesa e nella società siamo sulla stessa strada
fianco a fianco. Nella vostra Chiesa locale, chi sono coloro che “camminano
insieme”? Quando diciamo “la nostra Chiesa”, chi ne fa parte? Chi ci chiede di
camminare insieme? Quali sono i compagni di viaggio, anche al di fuori del
perimetro ecclesiale? Quali persone o gruppi sono lasciati ai margini,
espressamente o di fatto?
Tutte le Dieci Domande fanno riferimento
a un Interrogativo fondamentale:
Una Chiesa sinodale, annunciando il Vangelo, “cammina
insieme”: come questo “camminare insieme” si realizza oggi nella vostra Chiesa
particolare? Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere nel
nostro “camminare insieme”?
Non ci viene chiesta un’opinione, ma: -di
rendere un’immagine realistica della situazione ecclesiale così come la viviamo; -di
discernere, secondo il vangelo, ciò
che riteniamo il nostro dovere in quella situazione ecclesiale, così com’è ora; -di
prendere impegni collettivi di azione e collaborazione.
Come gruppo
sinodale non agiremo più come Azione
Cattolica parrocchiale, ma come Chiesa locale, parrocchia. L’incontro,
per questo, è aperto a tutti. Non proponiamo l’adesione all’Azione
Cattolica, ma di fare Chiesa insieme, nello spirito sinodale di cui si è
detto. La parrocchia, la Chiesa, è l’esperienza originaria, tutto il resto è meno
importante e può esserci come non esserci.
Si può partecipare anche in videoconferenza Meet.
Via email e posta ordinaria sono stati
già diramati inviti con indicazione del link e del codice di accesso per
collegarsi. Chi non li ha ricevuti e voglia partecipare, può chiederli con una
email a mario.ardigo@acsanclemente.net indicando il proprio nome,
la parrocchia di residenza e i temi di interesse. I dati comunicati serviranno
solo per la partecipazione all’incontro di stasera, verranno cancellati dopo la
riunione e dovranno essere nuovamente inviati per partecipare a una riunione
successiva. Ogni persona che riceve link e codice di accesso ha facoltà di
comunicarli a chi crede. Di seguito alcune riflessioni sul tema di
stasera. ****************************************
La prima domanda
della consultazione del Popolo di Dio accosta Chiesa e società con noi dentro.
Nella
Chiesa e nella società siamo sulla stessa strada fianco a fianco. Nella vostra
Chiesa locale, chi sono coloro che “camminano insieme”? Quando diciamo “la
nostra Chiesa”, chi ne fa parte? Chi ci chiede di camminare insieme? Quali sono
i compagni di viaggio, anche al di fuori del perimetro ecclesiale? Quali
persone o gruppi sono lasciati ai margini, espressamente o di fatto?
La Chiesa è, in quella domanda, quella fatta da noi,
così come la società. Chiesa e società sono viste come realtà che procedono per una stessa strada. Fuori di metafora:
esse vivono gli stessi tempi, sono soggette alle stesse forze sociali
che spingono per il cambiamento, subiscono gli stessi problemi. La Chiesa
locale è anche la nostra parrocchia, è la Chiesa qui e ora, presso di noi, fatta anche da noi, insieme a molte altre persone, quella che vive e cambia con noi dentro. Quali persone sono nostre compagne in questo? Le persone umane vivono la
società in contesti molto limitati, e ciò per limiti cognitivi e relazionali di
specie. Gli antropologi hanno stimato che non abbiamo la possibilità
fisiologica di avere relazione profonde con più, complessivamente, di 150 altre
persone circa. Il resto ci rimane indistinto, un po’ come nel logo del Sinodo. Guardate quell’immagine. Sono rappresentate,
stilizzate, diverse età della vita e anche condizioni sociali, ci sono ad esempio un vescovo e una suora. Non sono riconoscibili frati, monaci
e preti. Vi accorgete gdi altro? Le figure non hanno volto e quindi non
sono riconoscibili come individui. E’ così che ci appare la società al di fuori della cerchia ristretta
in cui possiamo avere relazioni profonde. L’organizzazione di società di massa
ci è possibile solo mediante culture, delle quali fa parte la religione, e
istituzioni, delle quali fa parte la nostra Chiesa. La sopravvivenza delle
circa otto miliardi di persone che vivono oggi sul nostro pianeta dipende da
quell’organizzazione. Complessivamente, essa è significata da quel camminare insieme che troviamo
nella domanda dei vescovi. Esserne emarginati significa rischiare la vita. Più
è capace di coinvolgere e di superare divisioni e conflitti, più essa favorisce
la sopravvivenza. Il vangelo è fondamentalmente Parola di vita, l’annuncio dell’agàpe, vale a dire che divisioni, conflitti, stragi, rapine e
prevaricazioni non sono l’ultima parola sull’umanità perché ci è giunta la
salvezza da quella che fu la nostra tremenda realtà di antiche belve, quella che
continua a travagliare le nostre società quando ci abbandoniamo agli istinti
ancestrali. Realisticamente sappiamo che quella salvezza non sarà opera nostra,
la speriamo come dono
dal Cielo: nostro compito è la sequela e la sinodalità
è appunto il modo per viverla. Come la pensano le persone intorno
a noi su questi temi, qui e ora, nel nostro quartiere? Con quante e quali di
quelle che ancora non ci sono vicine potremmo intenderci sulla via del vangelo? Certamente ci sono forze
sociali che contrastano il vangelo, quelle, ad esempio, che affidano le proprie speranza di
sopravvivenza alla forza per respingere gli altri e anche per prevaricarli e
rapinarli. Esse cercano di tenere separato ciò che invece noi, con sentimenti
religiosi, vorremmo unire. Che fare con loro? Come resistere senza farci
schiavi della violenza? E, infine, come costruire l’intesa
con le persone che condividono i nostri ideali umanitari, ma che non intendono fare Chiesa con noi, ad esempio perché hanno un modo diverso di
vivere la loro religiosità e non intendono abbandonarlo o pensano che sulla
Terra ci sia solo ciò che si vede e si tocca? Passando al discorso più
strettamente nostro
della vita parrocchiale, ripropongo di seguito
alcuni ragionamenti che ho già esposto ieri. Essere e fare Chiesa in modo sinodale significano un modo più intenso di stare e
camminare insieme, quindi anche cercare di superare la Chiesa per gruppi che ha, almeno dagli anni ’80, quindi da molto
tempi, ha caratterizzato il post-concilio. Un gruppo sinodale deve sforzarsi quindi di deporre le appartenenze
associative, di movimento o di
confraternita nelle quali si è arroccato. L’Azione Cattolica, quindi, che ha
preso l’iniziativa, prima tra tutti i gruppi della parrocchia, di organizzarsi
come gruppo sinodale, deve viverlo non più come associazione, ma
aprendosi non solo a tutti i parrocchiani, ma, più semplicemente, a tutti.
Questa è l’indicazione dei nostri vescovi e del Papa. Questo all’Azione Cattolica verrà
facile, perché non ha una propria ideologia associativa e una propria
spiritualità caratteristiche, i suoi fari essendo il vangelo e il concilio.
Quanto al metodo democratico e
alla vocazione popolare che
proclama nel suo statuto – si definisce una associazione popolare e democratica – li condivide con la società
europea di oggi, che ha storicamente ha contribuito a costruire. A lungo, nella nostra parrocchia, si è detto che la nostra era una comunità
di comunità, nel senso che, prima, si aderiva a uno delle
associazioni, movimenti e confraternite che l’abitavano, e, poi, quindi,
mediante essi, essenzialmente tramite i loro dirigenti, si partecipava anche
alla parrocchia. E poi che la parrocchia
è di chi ci va, e quindi si è iniziato a richiamarvi gente da fuori
in particolare per partecipare ad alcune forme particolari di spiritualità che vi
si praticavano nei gruppi. Questa
impostazione non rientra nella sinodalità che i nostri vescovi e il Papa ci esortano a
praticare, e, prima di tutto, a sperimentare. La parrocchia, come Chiesa,
viene prima di ogni altra
aggregazione: il battesimo ci incardina nella Chiesa e questa è la base della
nostra dignità di credenti. Poi la parrocchia non è di questo o di quello,
perché la Chiesa non è oggetto di proprietà, ma è missione. Infatti
siamo mandati nel mondo per diffondervi
il vangelo. E la Chiesa, come anche la parrocchia e i suoi locali, non sono
solo per chi ci va, ma per tutti, anche per coloro che non ci
vanno, che infatti i nostri vescovi ci esortano a raggiungere, e certo
questa è una delle parti più difficili del lavoro, perché ci mette in
questione. Infatti è possibile che le persone che non vanno in chiesa
non ci vadano anche a causa nostra che le abbiamo escluse, emarginate,
accusate, diffamate. E’ scritto tutto molto bene
nell’esortazione apostolica La gioia del Vangelo – Evangelii Gaudium,
che il Papa ci ha invitati a porre alla base del cammino iniziale che da oltre un mese dovevamo iniziare. Non si fa gruppo sinodale venendo in
chiesa solo ad ascoltare un qualche insegnamento: bisogna esservi attivi,
partecipi, e, innanzi tutto, sapersi mettersi in questione. C’è anche
uno sforzo da fare, perché, per essere in quel modo, occorre saperne un po’ di
più di ora. Se uno pensa di stare in chiesa in modo puramente passivo, al modo di
uno spettatore al cinema, probabilmente
non troverà interessante un gruppo sinodale. Ma è questa passività che ci è
chiesta nel vangelo? Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli |