Il logo del Sinodo |
Metodi di sinodalitá –
3
L’ “Uomo” della teologia non esiste
nella realtà, è una stilizzazione per rendere accessibile alla cultura una
materia troppo complessa per essere dominata dal pensiero umano. Questo accade anche
negli altri campi delle scienze. Siamo viventi limitati dal punto di vista
cognitivo e la riflessione collettiva cerca di superare questo ostacolo. A
volte i lettori di teologia e gli stessi teologi sembrano non rendersene conto.
Nelle scienze della natura e in quelle sociali è un assioma metodologico.
Questo spiega perché non di rado esse non soddisfino i teologi. E perché una
vera alleanza tra quelle discipline e la teologia si manifesta spesso
problematica. Questo inconveniente risale agli albori del pensiero propriamente
scientifico europeo, con lo sviluppo dei primi grandi centri universitari,
nell’Undicesimo secolo.
La sinodalitá ecclesiale è un concetto
teologico. Di questo in genere i fedeli non hanno precisa consapevolezza, i teologi, naturalmente, sì. Non sono un teologo e non sto qui a dettagliare,
anche se di ciò ho raggiunto una certa
consapevolezza. Basti dire che nella sinodalitá è implicata la cristologia,
vale a dire le concezioni che nelle nostre Chiese abbiamo sviluppato su Gesù
come fondamento dell’universo.
La conseguenza è che, in religione, ci si
aspetta dalla realizzazione della sinodalità ecclesiale molto più che una
convivenza benevola, piacevole e solidale, nella quale ci si aiuta gli uni gli
altri e si divide il pane.
Tuttavia, nella costruzione della sinodalitá
ecclesiale, si incontrano non l’Uomo della teologia, ma le persone come
realmente sono, situate in una certa società e in un certo corso della storia
di quest’ultima. E da ciò non si può prescindere, se si vuole andare avanti,
specialmente se lo si vuole fare su larga scala, come i nostri vescovi ora ci
esortano a fare.
Ad esempio, ci si scontra con la limitatezza
del tempo a disposizione delle persone. Si tratta di una riscorsa scarsa che
quindi le persone cercano di impiegare nel modo più produttivo possibile. A
che mi serve ciò che faccio?, ci chiediamo costantemente, anche se non
sempre in maniera consapevole. La socialitá, ad esempio, è un’esigenza
fondamentale degli esseri umani, innanzi tutto per caratteristiche di specie,
ma anche per l’evoluzione culturale delle nostre società, ma, nel corso della
nostra vita, non la viviamo sempre con gli stessi scopi e nello stesso modo. La
nostra socialità varia a seconda degli ambienti che frequentiamo, non la
viviamo nella stessa maniera ad esempio in chiesa e in un partito, ma anche a
seconda delle età della vita. Dei giovani adulti con figli la vivono in modo
diverso dagli adolescenti e dalle persone più anziane. La socialità è più
facile quando si è più giovani e diventa sempre più difficile divenendo
anziani. Il principale problema della vecchiaia è la solitudine, l’altro è
l’efficienza fisiologica.
La sinodalitá ecclesiale è strettamente
connessa alla socialità espressa dalle persone e ne è molto influenzata.Di
questo si dovrà tener conto nell’organizzazione dei gruppi sinodali, vale
a dire quelli nei quali, secondo le indicazioni dei vescovi, si inizia a fare
tirocinio di sinodalità. Se non lo si fa, le persone non si lasceranno coinvolgere,
nonostante tutte le severe intimazioni che la teologia, mediante il magistero,
rovescerà sui fedeli. I gruppi sinodali verranno disertati.
Se non si prova soddisfazione nel partecipare
ad un ambiente sociale, si tende ad evitarlo, a non impegnarvi il prezioso
nostro tempo in un modo che ce lo
farebbe apparire sprecato. Si tende a non partecipare, quando si ha la
sensazione che si tratti di cosa inutile. Ha un bel dire la teologia, ma se
tutto ciò che può dare è la sua sofisticata concettuologia, questo non ci fa ardere
il cuore. Infatti il Maestro, badate bene, insegnava, ma
certamente non fu un teologo. E le riforme dirette dai teologi hanno lasciato quasi
sempre a desiderare. Questo spiega anche tutte le efferate crudeltà che sono
state espresse dalle socialità religiose – è un dato storico del quale prima si
prende realistica consapevolezza, meglio è -, nonostante tutto il parlare di amore
dei teologi: in realtà prima si decise di ammazzare, segregare, discriminare, e
poi se ne diede una cornice teologica, e naturalmente la si trovò, perché la capacità argomentativa
delle scienze teologiche è divenuta molto sofisticata. Così spesso,
storicamente, la teologia è divenuta ancella della politica nel mentre
si arrogava la tirannia assoluta su tutto e su tutti, quindi fu strumento della
politica, vale a dire del governo delle società, proprio nel mentre si illudeva di strumentalizzarla.
I processi di secolarizzazione che si sono
prodotti progressivamente con
l’affermarsi delle democrazie europee dal Settecento, ma in particolare dalla
metà del secolo scorso, hanno significato la desacralizzazione della
politica, che ha preso a cercare legittimazione senza riferirsi al
soprannaturale, che tuttavia è rimasto un insieme di concezioni molto saldo
nella psicologia sociale. Fino agli scorsi anni ’50, in Italia, la pratica
liturgica fu parte dell’apparenza di rispettabilità delle persone in società,
per cui i non frequentanti, e ancor più i non credenti dichiarati,
apparivano strani. Al giorno d’oggi la religione è di poca utilità per
l’integrazione politica e, certo, la pratica religiosa determinata più che
altro da quell’esigenza era piuttosto superficiale agli occhi dei teologi. Ma
faceva affluire le masse in chiesa. Al giorno d’oggi ci viene meno gente, ma
sarei cauto a lamentare la scristianizzazione della società. La cartina
al tornasole dell’inculturazione religiosa è data dal considerare a chi le
persone rivolgono le loro preghiere di implorazione nelle difficoltà estreme
della vita, in particolare quando è la stessa vita in pericolo. Credo che il Cielo
a cui gli italiani si rivolgono sia ancora quello descritto dalla teologia
cristiana. In questo campo, dunque, la religione è ancora utile e quindi
praticata.
Secondo le concezioni dei teologi cattolici le
Chiese sono state istituite come via di salvezza. Dicono che rendono
presente il Cristo Signore dell’universo. Questa è la dimensione sacramentale
della Chiesa. Secondo alcuni altri orientamenti religiosi questo comporterebbe anche
che al credente vada tutto meglio, ciò che naturalmente non può dirsi proprio
evidente; ma, si sa, se ci si esalta, nello stato euforico che ne consegue si
sta veramente meglio per un po’ e la realtà appare come trasfigurata. Ma la
sinodalita ecclesiale che ora viene proposta come via ordinaria di fede ai
cattolici significa anche qualcosa di diverso, che riguarda ciò che, nel
lessico del Concilio Vaticano 2º, è espresso come un ordinare il mondo
secondo Dio. Questo richiede di collaborare in molti e di considerare realisticamente
come va il mondo, non solo secondo le immaginifiche ma stilizzate sintesi della teologia.
Ad esempio: è vero che il nostro attuale modello di sviluppo, se non corretto
secondo principi più virtuosi, porterà al disastro ambientale? Ed esige anche di tener
conto di come si esprime nel mondo di oggi la socialità, senza accontentarsi delle schematizzazioni della teologia.
Se noi, ad esempio, proponiamo ai ventenni
laici, per i quali la sessualità è un
aspetto fondamentale della persona, una sinodalità secondo la socialità
espressa, ad esempio, dai sessantenni, o da persone celibi/nubili per vocazione,
o dai monaci, falliremo miseramente il risultato. Una conclusione che trova conferma tanto evidente nell'esperienza della socialità è però tanto difficile, talvolta, da far accettare in religione, quando ci si lascia trascinare da sogni che presto si trasformano in incubi, come quello di poter indurre nelle altre persone, da noi stessi, con le nostre sole forze, battendo metaforicamente i pugni sul tavolo, l'Uomo nuovo della teologia, senza tante mediazioni.
Mario Ardigó – Azione
Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli