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Metodi
di sinodalità – 5 –
Il
senso dei cammini sinodali: tornare sulla via del Concilio
[da
Peter Neuner, Per una teologia del popolo di Dio, Queriniana 2016, pagg.
171-172]
Il concilio Vaticano 2°, abbandonando il
modello dell’Azione Cattolica [del laicato che agita la società eseguendo le direttive della gerarchia del clero, per mandato
dell’episcopato e sotto il suo
costante controllo, senza reale autonomia - nota mia], ha imboccato una strada assai coraggiosa.
Si trattava, infatti, di una visione che
in modo evidente si contrapponeva a
molti decreti pontifici e curiali dei secoli precedenti, in particolare del
tardo 19° secolo, il cui carattere vincolante era molto alto. Si è parlato di
una impostazione «veramente rivouzionaria», di «rivoluzione copernicana» nella
teologia del laicato. Non sorprende,
pertanto, che questa visione programmatica non sia stata recepita senza
problemi. Il principio sinodale della chiesa che, diversamente dalla concezione
della chiesa come democrazia, si basa sul dialogo e sulla ricerca del consenso [ma è proprio
questo il senso delle procedure democratiche! – nota mia] e che aveva
dato buona prova di sé al concilio, al sinodo di Würzburg [della Chiesa
tedesca, svoltosi tra il 1971 e il 1975] e in numerosi sinodi diocesani, è
stato man mano respinto dalle autorità ecclesiastiche le quali vi hanno
sovrapposto delle strutture gerarchiche. I decenni dopo il concilio mostrano in
maniera impressionante come, nel mentre a livello ufficiale ci si richiamava ai
testi del concilio, volendo dare l’impressione di restare fedeli alle sue
intenzioni e di portarle avanti risolutamente, di fatto, invece, si mirava
soprattutto a mantenere ferma la separazione tra clero e laicato. Considerate nel
loro insieme, le direttive e le norme postconciliari hanno avuto lo scopo di
conservare la posizione speciale del prete e di consolidare nela prassi
ecclesiastica la «differenza essenziale» rispetto al laico. Indubbiamente alcuni
testi, per esempio quelli della Conferenza episcopale tedesca, sono stati
caratterizzati dal tentativo di contrastare una ricaduta a prima del concilio,
ad affermarsi, però, sono state le
tendenze legate a modelli preconciliari. Si tratta di un fatto rilevante
non solo per i teologi laici, ma anche per la definizione del laicato in quanto
tale.
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Il brano del libro di Peter Neuner che ho sopra trascritto riassume
molto bene il senso della drammatica sfida lanciata con i cammini sinodali in corso, che, per espressa intenzione del
Papa, sono volti al completamento della riforma ecclesiale iniziata con il
Concilio Vaticano 2° negli scorsi anni Sessanta, dopo diversi decenni in cui si
è cercato sostanzialmente di renderla inefficace.
Gli storici dei concili ricordano che i
deliberati conciliari non di rado hanno faticato ad affermarsi o addirittura
rimasero lettera morta, nel breve o nel lungo periodo. Ciò accadde, ad
esempio, con il primo concilio
riconosciuto come ecumenico, quello svoltosi a Nicea, in Anatolia, nel 325, nel palazzo dell’imperatore romano
Costantino 1° che lo presiedeva. Dichiarò retta dottrina quella del Figlio
avente la stessa sostanza divina del Padre, creando il presupposto di un potere
universale cristianizzato del suo “vicario” in Terra, ciò che quell’imperatore
si proponeva di essere, e ci diede la
maggior parte del Credo che
ancora oggi proclamiamo nella messa. Ci si dovette ritornare sopra qualche
decennio dopo, a Costantinopoli, nel Concilio lì convocato dall’imperatore romano
Teodosio, che ne presidette la prima
seduta (il Papa di Roma non vi inviò delegati) e che ci diede il Credo proprio
come lo proclamiamo nelle messe domenicali. Il decreto Haec Sancta deliberato dal Concilio di Costanza nel 1415 e
che dichiarava la superiorità del Concilio rispetto al Papato fu applicato solo
in occasone di quel Concilio, tenutosi dal 1415 al 1418, in particolare per
deporre tre Papi che erano stati eletti negli anni precedenti, tra i quali un Giovanni
23°, che regnava a Pisa, e che
quel concilio aveva convocato. La resistenza contro il Concilio Vaticano 2° non
deve quindi sorprenderci, in quanto comportò un riforma culturale e teologica
molto profonda.
Tuttavia dietro l’ostilità di molta parte
della Chiesa cattolica nei riguardi del Concilio Vaticano 2° vi sono
essenzialmente ragioni politiche riguardanti l’assetto di potere ecclesiastico
e quello della società in generale. Il secondo aspetto è, appunto, particolarmente forte nell’Occidente europeo o
frutto della colonizzazione europea, le cui strutture di governo furono
sacralizzate secondo il cristianesimo e mantengono ancora una certa
sacralizzazione del potere dei ceti dominanti, che quindi non tollerano
critiche religiose basate sull’ingiustizia sociale che le favorisce. Sotto l’altro aspetto, va osservato che la
burocrazia ecclesiastica dà lavoro a un ceto di composto da chierici e
religiosi che, in Italia, come in Germania, è alimentato da un imponente flusso
di risorse provenienti dalla finanza pubblica, e che in Italia è garantito addirittura per
via costituzionale. Le Chiese in diverse nazioni del mondo sono grandi
proprietarie immobiliari e gestiscono varie attività lucrose. Il Papato, in
particolare, oltre a possedere perfino una specie di stato, la Città del
Vaticano, - unico tra i vertici delle Chiese cristiane -, controlla ingenti
risorse finanziarie, in parte derivanti dagli indenizzi stabiliti dai Patti Lateranensi del 1929 conclusi con il
Regno d’Italia - rappresentato dal Mussolini - per chiudere la Questione
romana, l’abbattimento dello Stato Pontificio, che traffica sui mercati finanziari internazionali. Si fa resistenza a
che il popolo abbia una qualsiasi
possibilità di interferire in queste materie, che vennero dichiarate non
negoziabili, nel senso che la negoziazione su di esse è riservate alla gerarchia. Questo
si riflette anche nella gestione economica di un ente di prossimità come la
parrocchia, nella quale i fedeli non contano assolutamente nulla e tutto è
deciso dal parroco, anche nelle minime cose, come l’affissione di un volantino
A4 nella bacheca parrocchiale o l’ubicazione di un quadro o di una statua. Le
questioni spirituali che si fanno
quando si accenna a minimi cambiamenti di questa umiliante condizione della
maggior parte dei fedeli, e anche quando si dichiara presuntuosamente che la
Chiesa non è una democrazia, non mi convincono tanto e mi pare nascondano
quegli interessi economici che, se
proprio si vuole ragionare evangelicamente, sono, in sé, piuttosto spregevoli,
e anche per come vengono difesi. Non a
caso, credo, Francesco d’Assisi si denudò davanti al suo vescovo e al resto
della comunità e il suo vescovo, naturalmente, non poté condannarlo. Temo che a
Francesco sarebbe andata molto peggio se avesse preteso che qualcosa di analogo
facesse il suo vescovo. Naturalmente lo avrebbero ammazzato tirando di mezzo lo
Spirito e bla bla…
Il costume prevalente dei fedeli è oggi quello di non impicciarsi. Si fa
festa secondo la cornice liturgica e
poi si fa quello che a ognuno pare, perché la società non impone più uniformità
in questo. Alla gerarchia, tutto sommato, sta bene così, nonostante scriva
diversamente; dal suo punto di vista è il male minore. Altrimenti si farebbe
coinvolgere con passione nei cammini sinodali che il povero nostro Papa ha
fatto aprire, cosa che assolutamento non noto. La maggior parte del popolo sa di ciò che accade nella Chiesa in base a quello
che gli viene comunicato la domenica a messa, quando ci va, e quindi, poiché in genere del sinodo non
è stato detto ancora nulla lì – nonostate la sua natura ecclesiale e teologica
-, non sa nulla, e vive bene anche così. Siamo in Europa, una parte
privilegiata del mondo, nonostante che ci si pianga molto addosso, ad esempio
con il “poveretti noi non possiamo
più andare al bar e al cinema che c’è il Covid!” mentre vicino a noi si
soffre e si muore per povertà sanitaria, e una parte del cammino sinodale dovrebbbe
essere specificamente penitenziale, e non solo a parole o a gesti, come
facciamo distrattamente a messa, ma sul serio. Questo ci è sgradito in Italia,
a tutti i livelli. Siamo ancora parte dei dominatori del mondo, ma non ci piace
sentircelo dire, come appunto ce lo dice il Papa.
Tutto questo potrebbe cooperare a far fallire
i cammini sinodali in Italia. Le premesse non mi sembrano buone.
Già un mese è passato, mi pare, inutilmente. Di tutta questa sinodalità il nostro episcopato e, mi pare, gran parte di
clero e religiosi, ma in fondo anche molti tra i fedeli, non sentano granché
bisogno. Negli anni ’70 furono i giovani vice-parroci a spingere per la riforma
conciliare e ad animare un popolo che era molto più giovane di adesso.
Oggi il clero giovane esce da seminari in cui è stato indottrinato dietro muri
d’incenso, come mi è parso di vedere le volte che mi sono avvicinato a quegli
ambienti, e, in particolare, a diffidare delle persone laiche, ricambiato. Lo
osservava già Lorenzo Milani negli anni Cinquanta: le persone laiche non
intendono veramente le parole del loro prete e non vi danno nemmeno tutta
questa importanza. La situazione non è certo migliorata, credo.
Lo ricordo spesso: la nuova democrazia
italiana è stata frutto anche di un
notevole impegno di grandi preti. La situazione è molto cambiata. Questa è, credo,
una delle ragioni della nostra crisi democratica. Del resto il magistero
democratico del prete, fondamentale
per l’acculturazione di massa alla democrazia in Italia, è stato visto con
sempre più fastidio dalla gerarchia, nonostante, è stato osservato, il
rilevantissimo attivismo politico di un Papa come Giovanni Paolo 2°, il quale,
addirittura, con l’enciclica Il Centenario – Centesimus annus si spinse a progettare il futuro politico
della nuova Europa senza più Cortina di ferro (e i cattolici democratici
europei, e in particolare italiani, vi lavorarono sopra promuovendo, insieme
agli altri cristiani europei e a forze di altro orientamento, un grandioso disegno
di unificazione continentale, che è ancora in corso).
In un gruppo sinodale se ne potrebbe
discutere, ma costituirsi come tale appare tanto difficile, anche tra noi in
Azione Cattolica, che, certo, è l’organizzazione di massa che di sinodalità ha
fatto più pratica in Italia. La via della nostra Chiesa si è fatta più angusta,
nel mentre la si riaddattava per un clero molto burocratizzato. La stretta
sulla ricerca teologica che risale agli anni Novanta ha spinto ai margini la teologia
che lavorava sui principi del concilio e la dottrina normativa rimasta appare
ora confusa e incoerente proprio nei campi che più riguardano l’impegno delle
persone laiche. Queste ultime, quindi, sono restie a impiegare il proprio tempo
in un oggetto teologico come la sinodalità ecclesiale, anche per i
continui altolà che incontrano su quella via, dai quali, a differenza
dei teologi, possono esimersi, praticamente senza conseguenze, semplicemente
non lasciandosi coinvolgere.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli