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Metodi di sinodalità – 10 –
Animazione condivisa
Resistere. […] Cosa vuol dire resistere? Avere la forza di andare avanti nonostante
tutto, andare controcorrente. Resistere non è un’azione passiva, al contrario,
richiede il coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che porterà
frutto. Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti alle
difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme
le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere
nella solitudine e nella tristezza. Resistere, aggrappandosi alla piccola o
poca ricchezza che possiamo avere. […]Resistere con la memoria, oggi.
[dal discorso di papa Francesco nella Basilica di Santa Maria degli Angeli,
ad Assisi, in occasione della Giornata mondiale dei poveri, il 12
Novembre 2021]
Siamo stati invitati a partecipare a una riforma,
ma ci sembra di essere ancora tutti presi a resistere, che, insomma,
presi dalle difficoltà del presente, non si sia neppure cominciato. Vi ha
accennato anche il Papa nel discorso tenuto il 12 novembre scorso ad Assisi,
nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, in occasione della Giornata
mondiale dei poveri.
«Siamo qui alla Porziuncola, una delle chiesette che San Francesco pensava
di restaurare, dopo che Gesù che gli aveva chiesto di “riparare la sua casa”.
Allora mai avrebbe pensato che il Signore gli chiedesse di dare la sua vita per
rinnovare non la chiesa fatta di pietre, ma quella di persone, di uomini e
donne che sono le pietre vive della Chiesa. E se noi siamo qui oggi è proprio
per imparare da ciò che ha fatto San Francesco. A lui piaceva stare a lungo in
questa chiesetta a pregare. Si raccoglieva qui in silenzio e si
metteva in ascolto del Signore, di quello che Dio voleva da lui. Anche noi
siamo venuti qui per questo: vogliamo chiedere al Signore che ascolti il nostro
grido, che ascolti il nostro grido!, e venga in nostro aiuto.»
Il percorso formativo di Azione
Cattolica che abbiamo appena iniziato a seguire, Questione di sguardi,
parte proprio dalla constatazione di quanto sia stato difficile resistere nel tempo della pandemia, che ci ha dispersi,
allontanati gli uni dagli altri, perché lo stare vicini aumentava il
rischio di contagio. E temiamo ancora, perché il pericolo non è superato, anche
se la situazione, rispetto ad un anno fa, è migliorata. Proprio in questo
tempo, in questa nostra condizione, si è deciso di dare l’avvio alla riforma,
che si presenta come il tentativo di completare un lavoro che era stato
progettato dai Papi e dai vescovi di allora negli scorsi anni Sessanta, durante
il Concilio Vaticano 2°. Un’attuazione che però non si presenta come una semplice esecuzione,
perché a quell’epoca vennero formulati dei principi generali e, dunque,
è anche il progetto che deve essere integrato, anche perché i tempi sono molto
cambiati, viviamo in un mondo, in un’Europa, in un’Italia molto diversi da
sessant’anni fa.
Impegnarsi in un’opera grandiosa
come una riforma di una Chiesa diffusa in tutto il mondo e che mantiene forti relazioni tra le Chiese
locali e tra queste e il vertice romano può suscitare l’entusiasmo che favorisce
la ripresa dopo il forzato rallentamento delle attività conseguito alla
pandemia. Tuttavia esso non appare ancora essersi manifestato in Italia, e senz’altro
non nella nostra parrocchia. Il problema principale è che molte persone non
hanno compreso bene di che si tratta e, anche, non sentono il bisogno impellente
di questa riforma.
Del resto si è stati abituati a
ricevere norme dall’alto, in genere dal Papa e qualche volta della Conferenza
episcopale o, ancora più raramente, dal proprio Vescovo. Questa volta si è
interrogati per avere idee di che cosa serve, insomma, di come riformare.
Papa Francesco, nel discorso di
Assisi dello scorso 21 novembre, ha dato un’idea di questo metodo, narrando
come giunse alla decisione di istituire la Giornata mondiale dei poveri:
«Vorrei ringraziare Dio che ha dato questa idea
della Giornata dei Poveri. Un’idea nata in modo un po’ strano, in una
sagrestia. Io stavo per celebrare la Messa e uno di voi – si chiama Étienne –
lo conoscete? È un enfant terrible [ragazzo terribile, espressione usata
in questo caso affettuosamente per intendere anticonformista, in un ambiente
fortemente conformista come quello clericale. Si tratta di Étienne
Villemain, presidente dell’associazione Lazare, che nel 2016 aveva
organizzato il Giubileo delle persone socialmente escluse “Fratello 2016”]– Étienne mi ha dato il suggerimento: “Facciamo la
Giornata dei poveri”. Io sono uscito e sentivo che lo Spirito Santo, dentro, mi
diceva di farla. Così è incominciato: dal coraggio di uno di voi che ha il
coraggio di portare avanti le cose.»
In genere,
vedo che nella nostra Chiesa, parlando tra noi, siamo prodighi di consigli al
Papa, e anche di rimbrotti per la verità, ma quando si tratta di fare qualcosa
di diverso da questa specie di pettegolezzi, del resto abituali negli ambienti
religiosi, insomma di esporci e di parlare chiaro e apertamente, e soprattutto
di iniziare a organizzare qualcosa, mi pare che sia molto diverso. Di solito si
preferisce che facciano gli altri, in particolare preti e religiosi. Ma anche questi
ultimi, in fondo, preferiscono così, perché non ci stimano molto, anche perché
spesso sono stati delusi da noi. E poi sono stati formati a pensarla così,
almeno al di fuori dell’Azione Cattolica, nella quale si respira un clima veramente
diverso.
Parlando di riforma ecclesiale, e in particolare di una riforma da progettare con spirito sinodale, diretta a indurre il metodo sinodale come modo di vivere ordinariamente la fede, non si tratta, naturalmente, semplicemente di stare ad ascoltare il prete o il vescovo, o anche il Papa, ma bisogna affrontare tre fatiche non da poco: innanzi tutto quella di capire di che si parla, e questo richiede di acquisire consapevolezza di una lunga storia; poi di capire la società in cui si vive, e spesso su questo aspetto si è un po’ distratti; inoltre, di capire il proprio ambiente sociale di prossimità per individuarne le esigenze, ad esempio nella nostra parrocchia e nel nostro quartiere; infine di conoscerci meglio per vedere che si può fare insieme e come, e di prevedere realisticamente ciò che si può realizzare. Quest’ultima tappa è ciò che chiamiamo gruppo sinodale e richiede di partecipare con uno spirito particolare, che non è quello di chi assiste, ma propriamente del pastore. Noi, persone laiche, pastori? Eh, già, cari miei. Se leggete un documento molto importante del Concilio Vaticano 2°, il Decreto sull’apostolato dei laici “L’Apostolato – Apostolicam actuositatem”
vi renderete conto che nella pastorale,
vale a dire l’organizzazione delle nostre comunità, le attività di formazione e
solidarietà e le liturgie, è richiesta anche una nostra collaborazione. E’
proprio per questo che, ad esempio, dopo quel Concilio sono stati istituiti i Consigli
pastorali parrocchiali, che progressivamente sono diventati meno attivi,
essenzialmente per disaffezione di noi persone laiche.
Noi
persone laiche cristiane, nelle società democratiche, contribuiamo al loro
governo. Questo è un compito molto importante in cui in Europa abbiamo ottenuto
risultati grandiosi. Benché in genere non se ne abbia realistica consapevolezza,
i quasi ottant’anni di pace europea, in un continente che storicamente aveva
vissuto pochi periodi senza guerre fin dall’era antica, sono stato anche il
risultato dell’impegno di noi cristiani, che è
stato senz’altro determinante. Tutto questo è partito dalle nostre comunità,
fin da quelle di base, importantissime nella formazione religiosa primaria. E l’Azione
Cattolica è stata un esempio eclatante dell’integrazione fede e vita che l’ha consentito. Da qui l’importanza anche
dell’impegno specificamente nella Chiesa, nella quale non si dovrebbe pensare
di entrare solo da spettatori delle liturgie animate da preti e religiosi. Ecco
che cosa è scritto in merito in quel decreto conciliare:
Le comunità
ecclesiali
10.
Come partecipi della missione di Cristo sacerdote, profeta e re, i laici hanno
la loro parte attiva nella vita e nell'azione della Chiesa. All'interno delle
comunità ecclesiali la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo
stesso apostolato dei pastori non può per lo più ottenere il suo pieno effetto.
Infatti i laici che hanno davvero spirito apostolico, ad esempio di quegli
uomini e di quelle donne che aiutavano Paolo nella diffusione del Vangelo
(cfr. At 18,18-26; Rm 16,3), suppliscono a quello
che manca ai loro fratelli e confortano cosi sia i pastori, sia gli altri
membri del popolo fedele (cfr. 1 Cor 16,17-18). Nutriti
dall'attiva partecipazione alla vita liturgica della propria comunità,
partecipano con sollecitudine alle sue opere apostoliche; conducono alla Chiesa
gli uomini che forse ne vivono lontani; cooperano con dedizione generosa nel
comunicare la parola di Dio, specialmente mediante l'insegnamento del
catechismo; rendono più efficace la cura delle anime ed anche l'amministrazione
dei beni della Chiesa, mettendo a disposizione la loro competenza.
La
parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo
insieme tutte le diversità umane che vi si trovano e inserendole
nell'universalità della Chiesa (17). I laici si abituino ad agire nella
parrocchia in stretta unione con i loro sacerdoti (18) apportino alla comunità
della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo, nonché le questioni
concernenti la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso
di tutti; diano, secondo le proprie possibilità, il loro contributo a ogni
iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiale.
Coltivino
costantemente il senso della diocesi, di cui la parrocchia è come la cellula,
pronti sempre, all'invito del loro pastore, ad unire le proprie forze alle
iniziative diocesane. Anzi, per venire incontro alle necessità delle città e
delle zone rurali (19) non limitino la propria cooperazione entro i confini
della parrocchia e della diocesi, ma procurino di allargarla all'ambito
interparrocchiale, interdiocesano, nazionale o internazionale, tanto più che il
crescente spostamento delle popolazioni, lo sviluppo delle mutue relazioni, la
facilità delle comunicazioni, non consentono più ad alcuna parte della società
di rimanere chiusa in se stessa. Anzitutto facciano proprie le opere
missionarie, fornendo aiuti materiali o anche personali. È infatti un dovere e
un onore per i cristiani restituire a Dio parte dei beni da lui ricevuti.
Nello
spirito del pastore ci si prende
cura del gruppo di proprio
riferimento, ad esempio di un gruppo come il nostro. Bisogna anticipare le esigenza
dei suoi membri, proprio come, da genitori,
anticipiamo quelle dei nostri figli, da piccoli e da grandi. Bisogna sentire
nostalgia di chi non viene da un po’.
Che cosa gli è successo? Bisogna pensare non solo a quello che ci serve,
ma a ciò che è bene per il gruppo. Ma come scoprirlo se non ci conosciamo? E
come conoscerci se non riusciamo a riunirci? Tutto questo rientra nella missione
che svolgiamo in Azione Cattolica.
Lo ricordiamo che il nostro partecipare all’Azione Cattolica è una missione,
ed esattamente una forma di apostolato, secondo il comando del Signore? O,
come fanno altre persone per le liturgie, veniamo quando ci sentiamo, quindi
tenendo conto essenzialmente di noi stessi? Va bene, qualche volta può non
andarci di venire a riunione, ma pensiamo
se la nostra mancanza potrà privare gli altri di qualcosa che per loro è
importante? Per i figli ci attiviamo anche quando non ci va? Non è così?
A
dicembre ci sarà la festa dell’adesione, in cui rinnoveremo il nostro
impegno in Azione Cattolica. Non è come rinnovare la tessera sconto del supermercato.
E’ per questo che la consegna delle tessere è inserita in una liturgia e
preceduta da una preghiera collettiva.
In questi
mesi di pandemia, ho pensato molto a tutti voi dell’AC San Clemente. Ho cercato
di non mancare all’appuntamento giornaliero con questo blog, per farvi arrivare
la voce del gruppo anche in questi tempi difficili. Ma quello che più mi coinvolge
emotivamente è quando preparo per la
spedizione postale le lettere mensili che mando ai soci che non ci hanno indicato
un indirizzo email e che, anche per altri vari motivi legati spesso alla salute
e all’età anziana, è da più tempo che non riesco a raggiungere. Con quel lavoro
di imbustare, appiccicare francobollo e indirizzi mi ricordo di loro, ne ho
nostalgia, confido che quel pezzetto di carta che giungerà tra le loro mani
contribuirà a tenerci legati. Io e loro
spesso abbiamo passato un’intera vita in Azione Cattolica. Mi sono sforzato di
pensare a loro con lo spirito del genitore verso i figli, anche se diversi di
loro sono più anziani di me, e potrei quasi essere io loro figlio.
Quest’anno
la ripresa della attività in presenza, in sala rossa della parrocchia, richiederà
questo esame di coscienza collettivo, per fare un bilancio della nostra
esperienza, per assumere nuovi impegni, nel gruppo, in Azione Cattolica, nella nostra
Chiesa, nella società in cui viviamo immersi, particolarmente in questo tempo
di riforma ecclesiale.
Mario Ardigò
– Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli