Teologia tirannica
Il processo sinodale in corso, articolato nei cammini riguardanti la Chiesa universale e specificamente le Chiese italiane, è ostacolato dalla teologia cattolica normativa, quella che definisce le veritá, che ha impronta tirannica. Questo dipende da come quella teologia si è venuta formando, fondamentalmente per esigenze politiche. Non è cosa da poco, perché si parla di una tirannia durata molto a lungo, più di 1.500 anni. Essa cominciò a manifestarsi dal Secondo secolo, e Clemente romano, il nostro san Clemente papa, ne fu uno dei precursori.
Dal Quarto secolo il cristianesimo venne inglobato nell’ideologia politica dell’Impero romano, nella spettacolare, grandiosa, riforma che venne progettata e attuata da Costantino I e dai suoi successori, in Occidente e Oriente, dove quell’Impero durò fino al 1453. Le leggi ecclesiastiche divennero anche leggi dello stato e la teologia cristiana assunse anche connotati politici, venendo modellata dalla politica. Questo è molto evidente nella cristologia e nella dottrina trinitaria deliberate nel Quarto secolo, nei concili ecumenici di Nicea (325), convocato da Costantino I e presieduto da lui stesso o comunque sotto la sua autorità, e di Costantinopoli (381), convocato dall’imperatore Teodosio I e presieduto sotto la sua autorità. Quando la domenica, a messa, recitiamo il Credo,usiamo formule assentite da quegli antichi imperatori. Essi si servirono della teologia cristiana per rafforzare ed estendere la loro sovranità presentandosi come vicari in Terra del Cristo, definito come Signore universale, egli stesso Dio, non sopra tutti gli altri dei, secondo le formule del più antico giudaismo, ma senza alcun altro Dio.
Nel Sesto secolo, grandi lavori di sistemazione e classificazione dei documenti normativi e giurisprudenziali del passato della romanità,condotta in Occidente e Oriente, determinò lo sviluppo della tradizione giurisprudenziale medievale che, dal Duecento, si fece disciplina universitaria e inculturò di sé la teologia, anch’essa divenuta disciplina universitaria. Quest’ultima, fattasi teologia giuridica fu alla base della grande riforma ecclesiastica iniziata dal papa Gregorio 7º e proseguita dai suoi successori. Anche in questo caso, come nel Quarto secolo, furono esigenze politiche a orientare la teologia. Problemi politici avevano già prodotto la separazione delle Chiese orientali, lo Scisma d’Oriente, e la riforma gregoriana la rese sostanzialmente irreversibile, costruendo l’autorità papale come quella del vero vicario di Cristo, nonostante un effimero tentativo di riunificazione compiuto durante il Concilio di Basilea-Ferrara-Firenze del 1431.
La Chiesa cattolica venne individuata come tale, nel senso di soggetta all’autorità monarchica e assoluta del Papa di Roma, a partire dalla metà dell’Undicesimo secolo. La relativa teologia giuridica rifletteva le caratteristiche di quel sistema politico-ecclesiastico e portò a deprimere la sinodalità episcopale e, a volte con particolare ferocia, ogni incipiente sinodalitá popolare.
Come già ai tempi degli imperatori romani cristianizzati, la base di quella forma di potere fu la dottrina sulla Trinità.
Il grande teologo dogmatico Karl Rahner fece particolare scalpore quando, nel suo Corso fondamentale sulla fede (1976), diretto ai principianti negli studi teologici e ad ogni altra persona colta che volesse meglio rendere ragione della propria fede, scrisse che il Credo niceno-costantinopolitano non era l’unica forma possibile di sintesi della fede cristiana, e cercò anche di suggerirne formule alternative in quel libro. Rahner parlava e scriveva complicato, se ne lamentavano i suoi studenti, e, quando in FUCI lessi quel libro, come da un po’ sta facendo una delle mie figlie, mi parve che difficilmente avrebbero potuto avere un grande successo popolare.
Ora però quelle antiche formule ci condizionano non tanto positivamente, in particolare perché, in base ad esse, si propone una immagine della Chiesa modellata sulla Trinità, cosa naturalmente irraggiungibile con procedure sinodali, come, per la verità, non fu possibile raggiungerla neanche con l’autocrazia gerarchica. Ma quest’ultima si è costruita addosso un certo mito per cui se ne può rimanere fascinati non del tutto realisticamente da un punto di vista storico. Temo che le molte beatificazioni di Papi regnanti dall’Ottocento siano piuttosto condizionate da questa agiografia.
Così, nei cammini sinodali che stiamo sviluppando dobbiamo sforzarci di riportare i teologi sulla Terra, in modo che le loro pretese tengano conto della nostra povera umanità, che è quella che è, e solo saltuariamente riesce a riflettere la luce che ci viene dall’alto, e però è l’unica umanità possibile, quella che anche il Maestro volle condividere con noi. Sconsiglio, invece, di ribattere muovendosi sul loro stesso terreno, perché, per quella via, temo si finirebbe per perdere la fede, e senz’altro, ancor prima, la speranza.
Mario Ardigò- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli,