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Progettare la
sinodalità parrocchiale
Esaminando il problema di come avviare e
portare a termine fruttuosamente la fase della “consultazione del Popolo di
Dio” dei processi sinodali in corso
per tutte le Chiese del mondo e per le Chiese italiane, il primo obiettivo da
proporsi dovrebbe essere quello di non confinarla nel ristretto ambito dei vari
gruppi organizzati che interloquiscono abitualmente con il clero, e anche
partecipano alle lotte di potere ecclesiastico, ma di suscitare una reale
partecipazione anche degli fedeli, in
particolare di quelli che per vari motivi sono stati spinti ai margini o si
sono allontanati.
La
partecipazione presuppone una sufficiente informazione su ciò che si è
programmato di fare e sugli scopi dell’attività. In genere la prima fonte
informativa per la generalità delle persone che abitualmente vengono ancora
in chiesa è costituito dalle messe domenicali. Ma come raggiungere gli
altri, quelli che hanno perso dimestichezza con noi? È logico pensare che possano
essere coinvolti dai conoscenti che hanno saputo che ci si propone di organizzare
e ne sono stati interessati. Certo, potrebbe aiutare mettere striscioni
informativi ben visibili da fuori, come facciamo nelle giornate della raccolta
del sangue. Ma solo questo non può bastare.
Bisogna dire che qualcosa del Sinodo è
apparso sulla stampa, ma si è trattato di notizie superficiali e sono mancati
approfondimenti, salvo forse per Avvenire.
Nella nostra parrocchia, al di fuori del
nostro gruppo di Azione Cattolica, dove chi era interessato ha potuto avere
informazioni dettagliate sui sinodali, si è cominciato a sentire parlare di
Sinodo solo domenica scorsa. È stato annunciato che nel pomeriggio di domenica 5
dicembre si terrà un’assemblea parrocchiale su questi temi. Sul sito Web della
parrocchia ancora non è visualizzabile alcun contenuto su quell’iniziativa.
Bisogna chiedersi, però, che cosa sanno i
fedeli della parrocchia sui cammini sinodali e sui loro obiettivi.
Quell’assemblea parrocchiale probabilmente dovrebbe essere considerata come una
prima tappa di un lavoro che dovrà essere proseguito con continuità nei mesi
seguenti, il termine della fase diocesana della consultazione è stato
prorogato al 15 agosto, ma, per far arrivare il risultato delle nostre attività
in diocesi perché possa essere utilizzato per riferirne in sede nazionale,
bisognerà trarne le conclusioni molto prima.
La prima cosa da chiarire è che l’iniziativa
sinodale è di papa Francesco, il quale ha spiegato che il suo scopo principale
è una riforma del modo di essere e fare chiesa. Il presupposto è
naturalmente che la Chiesa così com’è non vada bene e nell’esortazione
apostolica La gioia del Vangelo – Evangelii gaudium di papa
Francesco, del 2013, è spiegati perché. Nella fase della consultazione, dunque,
bisognerebbe programmare lo studio collettivo e il confronto su quel documento.
Papa Francesco ha anche presentato come scopo
dei cammini sinodali quelli di riprendere l’attuazione dei principi deliberati
durante il Concilio Vaticano 2º, svoltosi a Roma tra il 1962 e il 1965, quindi
diverso tempo fa. Ha constatato che essa è ancora insoddisfacente, in particolare
per quanto riguarda le modifiche della struttura dell’organizzazione
ecclesiastica e delle prassi ecclesiali per consentire una maggiore
partecipazione di tutte le persone di fede a tutte le attività ecclesiali, in
particolare a quelle che riguardano l’apostolato, vale a dire la diffusione e
pratica del vangelo nella società in cui viviamo immersi, comprese le fasi
decisionali.
In effetti questo era stato uno dei temi
principali di quel Concilio, ma, in ordine ad esso, però, a partire dal 1986,
si produssero battute d’arresto, motivate dal timore del Papa allora regnante e
della sua Curia di perdere il controllo delle comunità cattoliche, le quali in
sede locale avevano manifestato una certa effervescenza. Se ai più giovani
della nostra parrocchia fosse concesso di tornare per un po’ alla nostra
parrocchia quale era a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80 stenterebbero a
riconoscerla, tanto era più partecipata da persone di tutte le età. In sostanza
si usò lo strumento disciplinare per frenare la parte del clero e dei religiosi
che aveva attivato sperimentazioni di partecipazione, vennero rinforzati i
confini tra clero e religiosi da una parte e gli altri fedeli dall’altra, situazione
che il Concilio aveva inteso superare inaugurando una ecclesiologie comunionale,
e venne nuovamente irrigidita l’autonomia dei vescovi, a favore di un controllo
molto accentrato nella Santa Sede, a Roma. Il risultato è che, dal punto di
vista organizzativo, nella Chiesa, e anche in parrocchia, tutto va più o meno
come prima del Concilio e le novità strutturali sono state vissute
prevalentemente nelle aggregazioni che con nuovi margini di autonomia gravitano
intorno alle strutture ecclesiastiche principali, ma rimanendo al suo esterno,
pur cercando di influirvi.
Una spia di queste difficoltà può essere
considerata, nella nostra parrocchia, l’apparente scadimento della funzionalità
del Consiglio pastorale parrocchiale, che, a ciò che so, da anni non si
riunisce più, surclassato dalla nuova Equipe pastorale, nominato dal
parroco, che ha finalità operative, ma
non è un organismo partecipativo. Quel Consiglio, previsto dal codice di
diritto canonico, è tra le principali sedi di compartecipazione all’apostolato
istituite in attuazione del Concilio e dovrebbe comprendere anche membri eletti
dai e tra i parrocchiani. Come tale è espressamente previsto dai
nostri vescovi, nel Documento preparatorio e nel relativo Vademecum
elaborati per organizzare la consultazione sinodale, come
l’agente locale del processo. Il Consiglio ha una certa autonomia
regolamentare, che, nelle parrocchie che negli anni scorsi hanno organizzato
propri sinodi, è stata utilizzata, ad esempio, per stabilire le regole per
l’elezione dei propri membri elettivi. Bisogna dire che, a ciò che mi è stato
riferito, l’esercizio del nostro Consiglio si era fatto molto difficile
a motivo della radicale e apparentemente inconciliabile diversità di vedute tra
orientamenti di fondamentalismo integralista e altre tendenze, per cui un
accordo non si trovava, e, aggiungo, non si troverà. L’unanimità in queste
condizioni non è alla nostra portata se non su soluzioni di compromesso, che
consentano comunque una certa area di attività comuni rispettando la dignità e
spazi di autonomia delle persone. In passato, del resto, il nostro principale
problema non è stato il pluralismo, ma la pretesa di annullarlo.
In definitiva, l’unico modo nel quale oggi,
ancora, si può partecipare alle attività parrocchiali è diventato quello
dell’adesione ad uno dei gruppi che l’abitano, guardandosi piuttosto in
cagnesco e diffidando profondamente gli uni degli altri, modalità partecipativa
che appare essere sgradita alla generalità dei parrocchiani, che, infatti, non
partecipa. Le persone temono, in particolare i più giovani, di subire, oltre
alla tradizionale pretesa di egemonia del clero, anche quella, a volte più
asfissiante, di una qualche persona laica che sia riuscita ad emergere nel
gruppo di riferimento o del gruppo stesso. Del tutto a ragione, ai tempi nostri
si è insofferenti di certe forme umilianti di dipendenza. Questo sviluppo non è
assolutamente in linea con il modello partecipativo tratteggiato, più che altro
nelle basi teologiche quindi assai alla lontana, durante il Concilio Vaticano
2º, ma fatica ad essere corretto, per la strenua resistenza di molti, che
considerano la partecipazione alle attività parrocchiali al di fuori del gruppo
di riferimento, quindi del controllo del suo para-clero, come
potenzialmente contaminante. Questa è la visione integralista della vita religiosa,
nella quale si sfruttano in modo immaginifico situazioni bibliche vetero-testamentarie
figurandosi di essere qualcosa di simile ai
bellicosi israeliti durante la sanguinosa fase di conquista della terra promessa
e in quella, parimenti sanguinosa, di contrapposizione all’ellenismo. E ciò,
sostanzialmente fantasiosamente giudaizzando – talvolta in modo che mi è parso poco rispettoso dell’ebraismo nostro
contemporaneo -, tenendo poco conto della spettacolare universalizzazione del
vangelo mediata, nel corso dei primi tre secoli della nostra era appunto dalla
cultura ellenistica. Questo problema della divisione acerrima tra di noi
potrebbe minare seriamente l’efficacia della prossima assemblea sinodale, come
avvenne durante la Quaresima del 2016, in occasione di una nostra precedente
esperienza di sinodalità parrocchiale.
Bisogna considerare una caratteristica molto
importante del processo sinodale indotto
da papa Francesco, vale a dire che lo si vuole far partire dal basso,
appunto da una fase di consultazione popolare. Questo nello spirito del
Concilio di partecipazione alle gioie e sofferenze della società del nostro
tempo, che apre la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo La gioia e la speranza – Gaudium ed spes. Pastorale, nel
lessico della teologia cattolica non significa effimero, legato
a tempi determinati, come alcuni insinuano per sostenere l’obsolescenza di
quel documento, uno dei principali del Concilio, ma che non si parte da
questioni di definizioni, ma dall’osservazione realistica di ciò che c’è
intorno a noi, nel rispetto dell’autonomia della creazione, per la quale la
teologia, a prescindere da quell’osservazione, non ha tutto ciò che serve per
la missione che a tutti noi battezzati è stata affidata dal Maestro. È chiaro,
quindi, che è molto importante che le persone che partecipano al cammino
sinodale parrocchiale siano messe in condizione di esprimersi liberamente e
sinceramente e che, quindi, l’assemblea parrocchiale non si risolva solo in una
specie di lezione nella quale qualcuno non si limiti a informare, per
creare i presupposti indispensabili per una reale partecipazione al dialogo, ma
voglia anche dire ai partecipanti che dire e pensare.
Una prima proposta operativa potrebbe essere,
dunque, sul metodo, e, in particolare di strutturare l’assemblea parrocchiale
come un organismo partecipativo popolare permanente, con carattere di
continuità, ben distinto dai gruppi particolari che sono attivi in parrocchia,
con un proprio statuto, proprie articolazioni organizzative che ne realizzino
una certa autonomia, in modo che alle persone sia consentita l’effettiva partecipazione
ad un’attività specificamente parrocchiale, non ulteriormente connotata,
in condizioni di libertà di espressione rispetto a clero e para-clero e da
altre forme di pressione.
Poiché, poi, l’informazione di base sul
processo sinodale, e in particolare sui temi dell’esortazione La gioia del
Vangelo, che di quel processo può essere considerata una sorta di
manifesto, è verosimilmente ancora insufficiente, e poi si ha veramente poca
pratica di sinodalità, perché in genere ci si limita ad essere platea
liturgica in condizioni di passivitá, gli incontri, nel quadro di quel
nuovo organismo parrocchiale, che dovrebbe fare riferimento non direttamente al
parroco o al clero che con lui collabora, ma al Consiglio pastorale
parrocchiale, che con l’occasione si potrebbe rivitalizzare, innanzi tutto
chiarendo chi ha diritto di interloquirvi e poi rinnovando il suo regolamento per
garantirvi una certa democraticità nel rispetto della dignità e della libertà
di espressione altrui, dovrebbero essere diversi. Ciò consentirebbe di
completare il circuito formativo, uniformando le conoscenze da condividere,
senza che ogni persona sia sostanzialmente costretta a fare da sé, e, come
detto, di fare effettivo tirocinio di pratica sinodale. La formazione da
condividere dovrebbe comprendere un po’ di storia della Chiesa, che in genere
non si fa nella formazione di base, perché l’iniziativa sinodale si presenta
come la prosecuzione di ciò che è stata iniziata negli scorsi anni Sessanta,
quando molti dei meno anziani non erano ancora nati.
Mario Ardigó – Azione
Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli