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Sito del Sinodo 2021-2023 (generale)
Siti del cammino sinodale delle Chiese italiane
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Clericalismo e sinodalità
La prima tentazione che può venire dopo avere
ascoltato tante difficoltà, tanti problemi, tante cose che mancano è: “No no,
dobbiamo risistemare la città, risistemare la diocesi, mettere tutto a posto,
mettere ordine”. Questo sarebbe guardare a noi, tornare a guardarci
all’interno. Sì, le cose saranno risistemate e noi avremo messo a posto il
“museo”, il museo ecclesiastico della città, tutto in ordine… Questo significa
addomesticare le cose, addomesticare i giovani, addomesticare il cuore della
gente, addomesticare le famiglie; fare calligrafia, tutto perfetto. Ma questo
sarebbe il peccato più grande di mondanità e di spirito mondano
anti-evangelico. Non si tratta di “risistemare”. Abbiamo sentito [negli
interventi precedenti] gli squilibri della città, lo squilibrio dei giovani,
degli anziani, delle famiglie… Lo squilibrio dei rapporti con i figli… Oggi siamo
stati chiamati a reggere lo
squilibrio. Noi non possiamo fare qualcosa di buono, di evangelico se
abbiamo paura dello squilibrio. Dobbiamo prendere lo squilibrio tra le mani:
questo è quello che il Signore ci dice, perché il Vangelo – credo che mi
capirete – è una dottrina “squilibrata”. Prendete le Beatitudini: meritano il
premio Nobel dello squilibrio! Il Vangelo è così.
Gli Apostoli si sono innervositi quando
veniva il tramonto e quella folla – cinquemila solo gli uomini – continuava ad
ascoltare Gesù; e loro hanno guardato l’orologio e dicevano: “Questo è troppo,
dobbiamo pregare i Vespri, la Compieta… e poi mangiare…”. E hanno cercato la
maniera di “risistemare” le cose: si sono avvicinati al Signore e hanno detto:
“Signore, congedali, perché il posto è deserto: che vadano a comprarsi da
mangiare”, nella pianura deserta. Questa è l’illusione dell’equilibrio della
gente “di Chiesa” tra virgolette; e io credo – l’ho detto non ricordo dove –
che lì è incominciato il clericalismo:
“Congeda la gente, che se ne vadano, e noi mangeremo quello che abbiamo”. Forse
lì c’è l’inizio del clericalismo, che è un bell’“equilibrio”, per sistemare le
cose.
Ho preso
nota delle cose che ascoltavo e che mi toccavano il cuore… E poi, su questa
strada del “sistemare le cose” avremo una bella diocesi funzionalizzata.
Clericalismo e funzionalismo. Sto
pensando – e questo lo dico con carità, ma devo dirlo – a una diocesi – ce ne
sono parecchie, ma penso a una – che ha tutto funzionalizzato: il dipartimento
di questo, il dipartimento dell’altro, e in ognuno dei dipartimenti ha quattro,
cinque, sei specialisti che studiano le cose… Quella diocesi ha più dipendenti
del Vaticano! E quella diocesi, oggi – non voglio nominarla per carità – quella
diocesi si allontana ogni giorno di più da Gesù Cristo perché rende culto
all’“armonia”, all’armonia non della bellezza, ma della mondanità
funzionalista. E siamo caduti, in questi casi, nella dittatura del
funzionalismo. È una nuova colonizzazione ideologica che cerca di convincere
che il Vangelo è una saggezza, è una dottrina, ma non è un annuncio, non è un
kerygma. E tanti lasciano il kerygma, inventano sinodi e contro-sinodi… che in
realtà non sono sinodi, sono “risistemazioni”. Perché? Perché per essere un
sinodo – e questo vale anche per voi [come assemblea diocesana] – ci vuole lo
Spirito Santo; e lo Spirito Santo dà un calcio al tavolo, lo butta e incomincia
daccapo. Chiediamo al Signore la grazia di non cadere in una diocesi
funzionalista. Ma io credo che, secondo quello che ho sentito, le cose sono ben
orientate. E andiamo avanti.
Poi, questa
sera, vorrei comprendere meglio il
grido della gente della diocesi: ci aiuterà a comprendere meglio cosa
chiede la gente al Signore. Quel grido è un grido che spesso anche noi non
ascoltiamo o che facilmente dimentichiamo. E questo succede perché
abbiamo smesso di abitare con
il cuore. Abitiamo con le idee, con i piani pastorali, con la curiosità,
con soluzioni prestabilite; ma bisogna abitare con il cuore. Mi ha colpito quello
che don Ben [direttore della Caritas] ha provato per quel ragazzo [che aveva
visto prendere un pezzo di pane da un cassonetto]: si è vergognato di sé
stesso, non è stato capace di andare a domandargli: “Cosa pensi, com’è il tuo
cuore, che cosa cerchi?”. Se la Chiesa non fa questi passi, rimarrà ferma,
perché non sa ascoltare con il cuore. La Chiesa sorda al grido della gente,
sorda all’ascolto della città.
Vorrei
condividere qualche riflessione che ho qui – che mi hanno preparato e che io ho
“ricucinato” un po’ –, riflessioni che illuminino il cammino per il prossimo
anno. Possiamo partire da un brano evangelico; poi richiamerò qualche passaggio
del discorso che ho fatto alla Chiesa italiana a Firenze [10 novembre 2015], che è proprio lo stile
della nostra Chiesa. “Che bello, quel discorso! Ah, il Papa ha parlato bene, ha
indicato bene la strada”, e dagli con l’incenso… Ma oggi, se io domandassi:
“Ditemi qualcosa del discorso di Firenze” – “Eh, sì, non ricordo…”. Sparito. È
entrato nell’alambicco delle distillazioni intellettuali ed è finito senza
forza, come un ricordo. Riprendiamo il discorso di Firenze che, con la Evangelii
gaudium, è il piano per la Chiesa in Italia ed è il piano per questa
Chiesa di Roma.
Possiamo
incominciare con un brano del Vangelo.
[Lettura di Matteo 18,1-14]
1In quel momento
i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli domandarono: «Chi è il più
importante nel *regno di Dio?».
2Gesù chiamò un bambino, lo mise in mezzo a loro 3e disse: «Vi assicuro
che se non cambiate e non diventate come bambini non entrerete nel regno di
Dio.4Chi si fa piccolo come questo
bambino, quello è il più importante nel regno di Dio. 5E chi per amor mio
accoglie un bambino come questo, accoglie me».
6«Ma se qualcuno farà perdere
la fede a una di queste persone semplici che credono in me, sarebbe più
conveniente per lui che lo buttassero in fondo al mare, con una grossa pietra
legata al collo.
7«È triste che nel mondo ci siano scandali. Ce ne saranno sempre, ma guai a
quelli che li provocano.
8«Se la tua mano e il tuo piede ti fanno compiere il male, tagliali e gettali
via: è meglio per te entrare nella vera vita senza una mano o senza un piede,
piuttosto che essere gettato nel fuoco eterno con due mani e due piedi.
9«Se il tuo occhio ti fa compiere il male, strappalo e gettalo via: è meglio
per te entrare nella vera vita con un occhio solo, piuttosto che essere gettato
nel fuoco dell’inferno con tutti e due gli occhi».
10«State attenti! Non
disprezzate nessuna di queste persone semplici, perché vi dico che in cielo i
loro *angeli vedono continuamente il Padre mio che è in cielo.
[ 11]
12«Provate a pensare: se un tale possiede cento pecore e gli accade che una si
perde, che cosa farà? Non lascerà le altre novantanove sui monti per andare a
cercare quella pecora che si è perduta? 13 E se poi la trova, vi assicuro che
sarà più contento per questa pecora, che non per le altre novantanove che non
si erano perdute 14 Allo stesso modo, il Padre vostro che è in cielo vuole che
nessuna di queste persone semplici vada perduta».
Tenete bene nella mente e nel
cuore che, quando il Signore vuole
convertire la sua Chiesa, cioè renderla più vicina a Sé, più cristiana, fa sempre così: prende il più piccolo e lo mette
al centro,
invitando tutti a diventare piccoli e a “umiliarsi” – dice letteralmente il
testo evangelico – per diventare piccoli, così come ha fatto Lui, Gesù. La
riforma della Chiesa incomincia dall’umiltà, e l’umiltà nasce e cresce con le
umiliazioni. In questa maniera neutralizza le nostre pretese di grandezza. Il
Signore non prende un bambino perché è più innocente o perché è più semplice,
ma perché sotto i 12 anni i bambini non avevano nessuna rilevanza sociale, in
quel tempo. Solo chi segue Gesù per questa strada dell’umiltà e si fa piccolo
può davvero contribuire alla missione che il Signore ci affida. Chi cerca la
propria gloria non saprà né ascoltare gli altri né ascoltare Dio, come potrà
collaborare alla missione? Forse uno di voi, non ricordo chi, mi diceva che non
voleva incensare: ma fra noi ci sono tanti “liturgisti” sbagliati che non hanno
imparato a incensare bene: invece di incensare il Signore, incensano sé stessi
e vivono così.
[…]
Pensiamo di dovere offrire
altro al mondo, se non il Vangelo creduto e vissuto? Vi prego, non
scandalizziamo i piccoli offrendo lo spettacolo di una comunità presuntuosa...
[…]
A Firenze chiesi poi a tutti i
partecipanti al Convegno di riprendere in mano la Evangelii gaudium [esortazione apostolica,
2013]. Questo è il secondo punto di partenza dell’evangelizzazione
post-conciliare. Perché dico “secondo punto di partenza”? Perché il primo punto
di partenza è il documento più grande uscito dal dopo-Concilio: la Evangelii nuntiandi [esortazione apostolica di Paolo VI, 8
dicembre 1975]. L’Evangelii gaudium è un aggiornamento,
un’imitazione dell’Evangelii nuntiandi per l’oggi, ma la forza è
il primo. Prendete in mano la Evangelii gaudium, ritornate sul percorso di
trasformazione missionaria delle comunità cristiane che è proposto nelle pagine
dell’Esortazione. Lo stesso chiedo a voi stasera, indirizzandovi in
particolare a una parte del secondo capitolo dell’Evangelii gaudium, quello delle sfide
all’evangelizzazione, le sfide della cultura urbana: i numeri che vanno dal 61
al 75. Faccio
due sottolineature, che, in vista del cammino del prossimo anno, rappresentano
anche i due compiti che vi affido.
**************************
1. I cammini
sinodali che sono in corso sono stati voluti da Papa Francesco.
Nel discorso del quale sopra ho trascritto uno
stralcio ne spiegò il senso, rivolgendosi proprio a noi, della Diocesi di Roma.
Avevamo ignorato la sua esortazione del 2015, al convegno ecclesiale nazionale
di Firenze ad ascoltare la gente, di procedere ad una revisione sinodale
del nostro essere e fare Chiesa. Nel 2019 il Papa ci ha duramente
rimproverato dandoci dei clericali che incensano solo loro stessi. Vi
è arrivato qualcosa di tutto questo? Probabilmente ai più no. Al convegno di
Roma del 2019 erano presenti solo gli integrati: non era un evento sinodale,
ma ad inviti, secondo come in genere si faceva. Chi c’era si tenne la
strigliata, sperando che passasse la buriana. Ciò secondo i costumi clericali.
I panni sporchi, come si suol dire, si lavano in famiglia. Della
reprimenda non si fece parte a chi non c’era, temendo, giustamente, di perderci
la faccia. Si è arrivati, poi, così seguitando, nel far finta di nulla, alla primavera di quest’anno, quando papa
Francesco ha preso l’iniziativa.
Ma che cos’è questo clericalismo che
ci ha rimproverato?
2. Clericalismo
è pensare che il clero, che ora comprende solo diaconi, preti e vescovi
debba essere il solo a comandare in chiesa, e che, comunque, debba
avere sempre l’ultima parola su tutto, anche fuori, qualora ritenga di
prendersela.
Uno dei vertici di questo atteggiamento fu
raggiunto nel mezzo dell’efferata persecuzione di coloro che vennero diffamati
di modernismo, nel 1906, quando nell’enciclica Veementemente
noi - Vehementer nos, occasionata dalla legge francese del 1905 di
separazione tra stato e chiesa, il papa Pio 10°, deliberò:
[…] la
Chiesa è per sua natura una società ineguale, cioè una società formata da due categorie
di persone: i Pastori e il Gregge, coloro che occupano un grado fra quelli
della gerarchia, e la folla dei fedeli. E queste categorie sono così nettamente
distinte fra loro, che solo nel
corpo pastorale risiedono il diritto e l'autorità necessari per promuovere e
indirizzare tutti i membri verso le finalità sociali; e che la moltitudine non
ha altro dovere che lasciarsi guidare e di seguire, come un docile gregge, i
suoi Pastori.
Durante il Concilio Vaticano 2º,
sulla base scritturistica e patristica, la medesima tenuta presente da quel
Papa, circa sessant’anni più tardi vennero deliberati principi diametralmente
opposti.
Dal
Seicento, dall’idea che tutto il potere religioso competesse al clero è
derivata quella che ritiene il clero bastante a se stesso nell’essere Chiesa,
senza che sia necessaria tutta l’altra gente, che, dunque, potrebbe esserci
come non esserci e non mancherebbe nulla di essenziale se non ci fosse. Da ciò la convinzione che moltitudini di
persone non potrebbero essere Chiesa senza almeno un prete.
Queste concezioni non risalgono alle origini,
in particolare all’insegnamento del Maestro (del resto un vero e proprio clero
non si manifestò prima della fine del Primo secolo). Cominciarono a svilupparsi
dall’inizio del Secondo secolo, ad esempio nel magistero di Clemente romano, il
nostro “san Clemente papa”, in
Occidente e, a Oriente, in quello del vescovo Ignazio di Antiochia. Storicamente furono strettamente collegate
allo sviluppo di un ordinamento ecclesiastico gerarchico, che risale
essenzialmente al Quarto secolo, quando il clero diventò progressivamente un
corpo di funzionari pubblici, con una carriera parallela a quella dei funzionari civili,
divenuti sempre più numerosi dopo la riforma della stato attuata
dall’imperatore Diocleziano. La carriera ecclesiastica divenne appetibile
perché meno onerosa dal punto di vista tributaria e perché i vescovi, a differenza
dei funzionari pubblici civili di grado corrispondente, erano nominati a vita.
A quell’epoca il clero non aveva l’obbligo del celibato se non per i monaci.
Tutto questo emerge con chiarezza da questo brano di una lettera del papa
Siricio (che esercitò il suo ministero tra il 384 e il 399 – non ancora un regno) al
vescovo di Tarragona (in Spagna) Irnerio in merito ai requisiti da pretendere
per essere ammessi e mantenuti nel clero [riportata il Giovanni Filoramo – Storia
della Chiesa. L’età antica – EDB 2019]
Al Quarto
secolo risale anche la formulazione della cristologia in base alla quale si sacralizzò,
vale a dire si volle rendere intangibile in quanto presentata come voluta
dal Cielo, l’organizzazione del potere ecclesiale che vedeva al vertice dei vicari
del Cristo, che consacravano poi il clero, suddiviso in vari gradi gerarchici,
in un sistema in cui gli inferiori erano in potere assoluto dei superiori. Fino
al Qattrocento circa i poteri gerarchici non erano esercitati in religione solo
dal clero, ma anche da sovrani e funzionari civili da loro delegati – la
religione era infatti diventata un affare di stato. Non v’era ancora, infatti, la distinzione che
c’è ora tra centri di potere politico e di potere ecclesiastico. Di solito si
ricorda, a questo proposito, che per tutto il Primo millennio i concilio
riconosciuti come ecumenici (ma anche altri e i sinodi locali) furono convocati
e presieduti, direttamente o comunque sotto la loro autorità) da imperatori romani
che regnavano da Costantinopoli, in Tracia, l’attuale Istambul. E a quell’epoca che risale l’uso di vesti
rosse per gli altri gradi ecclesiastici, che ora sono in uso tra i cardinali, e
ciò secondo il costume degli antichi alti funzionari civili.
Progressivamente i vescovi, e il Papa romano fra
loro, divennero sostanzialmente dei principi, che in Occidente vennero
inquadrati nell’ordinamento feudale degli stati portato dai Popoli del Nord che
conquistarono quella parte dell’Impero, recependone gran parte
dell’organizzazione dello stato. In Oriente, nelle Chiesa controllate da
Costantinopoli, lo sviluppo fu diverso per la presenza del potere imperiale
sacralizzato che si ingeriva negli affari ecclesiastici.
Nel Secondo millennio, il Papato romano cercò
di rendersi realmente indipendente dai poteri civili espressi dalle dinastie
sovrane del tempo, con alterne fortune.
La separazione tra stati e chiese, come oggi
la concepiamo, risale fondamentalmente al Seicento. A quell’epoca la pace religiosa europea, dopo
lunghi ed efferati conflitti, si basò sul principio che ognuno dovesse seguire
la religione dello stato in cui viveva. Questo comportava che i sovrani civili
potessero determinare la religione dei loro sudditi e quindi, una pesante ingerenza
nelle questioni di fede. Comunque agli apparati ecclesiastici fu lasciata
maggiore autonomia ed essa fu sfruttata dai cattolici per teorizzare e provare
a praticare un assolutismo clericale, che divenne sempre più pervasivo. La
Chiesa cattolica si diede un ordinamento modellato su quello degli stati
assolutistici dell’epoca. Il culmine di ebbe nel 1870 con il Concilio Vaticano
1°, che quell’anno fu interrotto e mai più ripreso, in dipendenza degli eventi
politici europei e specificamente italiani, portando questi ultimi
all’abbattimento dello stato territoriale che il Papato aveva nel Centro
Italia, con capitale Roma. In questo
sistema i vescovi divennero sostanzialmente alti funzionari pontifici,
distaccandosi marcatamente dalla condizione sinodale che avevano avuto
per tutto il Primo millennio. Diaconi e preti divennero solo loro collaboratori
e ciò può essere considerato l’origine della crisi del ministero del prete che ancora stiamo vivendo,
i preti essendo come schiacciati tra vescovi e persone laiche. Assunse sempre
più rilievo la gerarchia, in particolare nell’aspro conflitto con le
nuove concezioni della società che si vennero diffondendo nel mondo moderno, prime
tra tutte quelle relative alla libertà di coscienza e alla dignità della
persone umana, fondamento delle democrazie contemporanee.
Tuttavia bisogna dire che i preti trovarono
un loro ampio spazio, collaborando con le persone laiche e rimotivando il loro ruolo
sociale, nella nuova dottrina sociale contemporanea, diffusa dal Papato
da fine Ottocento, assecondando moti spontanei manifestatisi nel laicato europeo.
In Italia ciò fu particolarmente
sensibile, in un modo che chi è digiuno
di storia difficilmente riesce a immaginare, tenendo conto di ciò che c’è
oggi. Il Concilio Vaticano 2°, negli
anni Sessanta, proseguì per quella via, ma dal 1983 dal Papato si diede delle
sue delibere un’interpretazione restrittiva in materia di ordinamento
gerarchico. Dal 2013, e con particolare intensità dal 2018, con la riforma dell’ordinamento
del Sinodo dei vescovi, papa Francesco si è proposto di proseguire l’attuazione
dei principi di riforma della Chiesa di quel Concilio. In esso non si deliberò
della sinodalità ecclesiale totale come oggi viene proposta, al più si tratto di sinodalità
episcopale, ma della nuova sinodalità vennero poste le premesse teologiche,
con l’affermare che la persona cristiana partecipa all’apostolato in virtù della
sua relazione con il Cristo e non per delega gerarchica.
Ho riassunto per sommi capi una storia
millenaria per dare consapevolezza dei problemi che il clericalismo crea in materia
di sinodalità. Clericalismo e sinodalità totale corrispondono a due modi radicalmente diversi
di concepire la Chiesa e la sua missione.
Al centro della sinodalità vi è l’idea che la pari
dignità dei battezzati, in virtù del
loro rapporto con il Cristo riguardi anche la loro posizione nella Chiesa. Il clericalismo li spinge invece verso
ruoli passivi o meramente ausiliari nella Chiesa.
Va detto che stando al diritto canonico, che è
stato riformato per dare attuazione ai principi conciliari (a detta di molti
esperti in modo non completamente soddisfacente)
PARTE I
I FEDELI CRISTIANI
OBBLIGHI E DIRITTI DEI FEDELI LAICI
(Cann. 224 – 231)
Can. 224 - I fedeli laici, oltre agli obblighi e
ai diritti che sono comuni a tutti i fedeli e oltre a quelli che sono stabiliti
in altri canoni, sono tenuti agli obblighi e godono dei diritti elencati nei
canoni del presente titolo.
Can. 225 - §1. I laici, dal momento che, come
tutti i fedeli, sono deputati da Dio all'apostolato mediante il battesimo e la
confermazione, sono tenuti all'obbligo generale e hanno il diritto di
impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in associazioni, perché l'annuncio
divino della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo;
tale obbligo è ancora più urgente in quelle situazioni in cui gli uomini non
possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro.
§2. Sono tenuti anche al dovere specifico,
ciascuno secondo la propria condizione, di animare e perfezionare l'ordine
delle realtà temporali con lo spirito evangelico, e in tal modo di rendere
testimonianza a Cristo particolarmente nel trattare tali realtà e
nell'esercizio dei compiti secolari.
Can. 226 - §1. I laici che vivono nello stato
coniugale, secondo la propria vocazione, sono tenuti al dovere specifico di
impegnarsi, mediante il matrimonio e la famiglia, nell'edificazione del popolo
di Dio.
§2. I genitori, poiché hanno dato ai figli la
vita, hanno l'obbligo gravissimo e il diritto di educarli; perciò spetta
primariamente ai genitori cristiani curare l'educazione cristiana dei figli
secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa.
Can. 227 - È diritto dei fedeli laici che venga
loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete
ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le
loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla
dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle
questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa.
Can. 228 - §1. I laici che risultano idonei,
sono abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e
in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del
diritto.
§2. I laici che si distinguono per scienza
adeguata, per prudenza e per onestà, sono abili a prestare aiuto ai Pastori
della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli a norma del
diritto.
Can. 229 - §1. I laici, per essere in grado di
vivere la dottrina cristiana, per poterla annunciare essi stessi e, se
necessario, difenderla, per potere inoltre partecipare all'esercizio
dell'apostolato, sono tenuti all'obbligo e hanno il diritto di acquisire la
conoscenza di tale dottrina, in modo adeguato alla capacità e alla condizione
di ciascuno.
§2. Hanno anche il diritto di acquisire quella
conoscenza più piena delle scienze sacre, che vengono insegnate nelle
università o facoltà ecclesiastiche oppure negli istituti di scienze religiose,
frequentandovi le lezioni e conseguendovi i gradi accademici.
§3. Così pure, osservate le disposizioni
stabilite in ordine alla idoneità richiesta, sono abili a ricevere dalla
legittima autorità ecclesiastica il mandato di insegnare le scienze sacre.
Can. 230 - §1.n I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto
dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il
rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale
conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla
rimunerazione da parte della Chiesa.
§2. I laici possono assolvere per incarico
temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; così pure tutti i
laici possono esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora a
norma del diritto.
§3. Ove lo suggerisca la necessità della Chiesa,
in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti,
possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della
parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e
distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto.
Can. 231 - §1. I laici, designati in modo
permanente o temporaneo ad un particolare servizio della Chiesa, sono tenuti
all'obbligo di acquisire una adeguata formazione, richiesta per adempiere nel
modo dovuto il proprio incarico e per esercitarlo consapevolmente, assiduamente
e diligentemente.
§2. Fermo restando il disposto del can. 230, §1,
essi hanno diritto ad una onesta rimunerazione adeguata alla loro condizione,
per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto delle disposizioni del
diritto civile, alle proprie necessità e a quelle della famiglia; hanno inoltre
il diritto che in loro favore si provveda debitamente alla previdenza, alla
sicurezza sociale e all'assistenza sanitaria.
(n:
Indica che il testo corrisponde alla nuova versione)
[Redazione originaria dell'articolo
modificato da Sua Santità Papa Francesco (cfr. Lettera
Apostolica in forma di Motu Proprio “Spiritus Domini” del
10 gennaio 2021)]:
Can. 230 - §1. I laici di sesso maschile, che
abbiano l'età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale,
possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai
ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce
loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa.
le sole funzioni riservate esclusivamente al
clero sono la presidenza della messa, la consacrazione eucaristica, l’omelia
nella messa, il ministero di confessore nel sacramento della penitenza, la
consacrazione clero, la definizione di ciò che deve essere creduto dai cattolici per essere riconosciuti
come tali, in questo senso essendo la verità, compito che può farsi rientrare
in quello più generale dell’episcopato di confermare gli altri nella fede. Tutto il resto potrebbe essere partecipato
dagli altri fedeli. In realtà, ancora oggi
a quasi sessant’anni dall’ultimo concilio ogni funzione ecclesiale è
egemonizzata dal clero, la cui caratteristica più eclatante e stridente con la
civiltà europea contemporanea è di essere composto da soli uomini. L’altra, pure stridente con i principi
umanitari della civiltà europea contemporanea, è l’asservimento gerarchico delle coscienze dei suoi membri.
La sinodalità come oggi è proposta vorrebbe
correggere questa millenaria impostazione, mantenendo ciò che per il clero, e
per la Chiesa tutta, è essenziale, l’essere pastori. Su questa via si
scontra con il clericalismo che, naturalmente, è prevalentemente espresso dal
clero, e se ne capisce il motivo.
Una manifestazione del clericalismo
particolarmente dannosa si ha quando il clero dà delle clericali alle persone laiche che vogliono avere ruoli
partecipativi nella Chiesa, per negarglieli. Le si accusa di voler fare i preti. Sospetti di clericalismo laicale,
così, sono stati disinvoltamente lanciati nei confronti del nuovo ministero
laicale del catechista da poco istituito da papa Francesco, recependo una situazione
di collaborazione già in atto fruttuosamente da decenni. Tuttavia va
sottolineato che le persone laiche che esercitano ministeri nella Chiesa e per la Chiesa nel vari campi e modi
in cui possono essere svolti, in misura che è sempre più necessaria per la
scarsità del clero, lo fanno con spirito molto diverso da chi è inquadrato nella
sacra gerarchia, e ciò anche quando lo
fanno per professione, come correntemente accade in Germania, e più precisamente
non rinunciando alla libertà di coscienza, e quindi non da sudditi della gerarchia. Se non fosse loro
consentito questo, allora sarebbero indistinguibili dal clero e, in quanto
pretendessero anche di esercitare un qualche potere, ricadrebbero certamente
nel clericalismo. Ma credo che questo pericolo sia remoto, con riferimento ai
ministeri laicali istituiti, connotati da un marcato spirito di servizio, e possa invece manifestarsi in quei movimenti
e confraternite che non abbiano organizzazione sinodale ma gerarchica,
venendo i loro capi a costituire una sorta di para-clero.
Le funzioni proprie del clero sono molto importanti nella Chiesa cattolica,
ma esercitarle con spirito clericale è molto dannoso, perché porta a
silenziare, emarginare o addirittura escludere la stragrande maggioranza dei fedeli,
quindi del Popolo di Dio, senza la quale, nel mondo di oggi, la Chiesa è destinata a finire (la
possibilità che ciò accada c’è, come finirono tante grandi religioni del
passato) e il residuo clero a trasformarsi in un ceto di custodi di musei religiosi, come paventa papa Francesco. La sinodalità totale è presentata come la cura di
questo male. Secondo i suoi principi, non
si fa a meno di nessuno, ma nemmeno si prevarica: ad ogni fedele è consentito,
ed anzi richiesto, di esprimere attivamente la propria vocazione battesimale.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro,
Valli