La pace. Per iniziare
In parrocchia parliamo spesso di pace. Che
cos’è?
Cerchiamo di mettere ordine.
Cominciamo dall’elencare le varie situazioni
di pace.
Pace interiore, pace famigliare, pace
cittadina, pace sociale, pace religiosa, pace economica,
pace istituzionale, pace nazionale,
pace internazionale, pace mondiale. A parte il primo tipo, le
altre situazioni di pace sono un risultato collettivo e, in particolare, politico.
La politica è il governo della società. La pace richiede il governo
della società e la pace interiore richiede il governo di sé stessi. Tutte le
situazioni di pace sono interdipendenti, ma in particolar modo nel mondo di
oggi, nel quale abbiamo creato relazioni globali molto intense da cui dipende
la sopravvivenza di un’umanità mai cosi numerosa, composta di otto miliardi di
persone. Non si raggiunge la pace interiore se non in un contesto di società
pacifica. E nessuna società può essere veramente in pace se un numero
significativo dei suoi membri non ha raggiunto la pace interiore.
La
notte tra il 31 dicembre 1980 e il 1 gennaio 1981 partecipai alla Marcia della pace organizzata
qui a Roma dalla Diocesi. Partimmo dal Colosseo, dove il rabbino capo di Roma,
Elio Toaff, svolse una meditazione nel corso della quale, con riferimenti
biblici, ci insegnò che non può esserci pace senza giustizia. A piedi poi
arrivammo alla basilica di San Giovanni in Laterano, dove si svolse una veglia.
In base alla Bibbia ci possiamo effettivamente
convincere che società ingiuste non producono pace, e quindi rimangono
instabili e minacciate dalla rovina, e
che una società è giusta quando fa la volontà del Creatore. In questa
prospettiva la pace interiore è perfino colpevole in chi accetta o addirittura governa
una società ingiusta, o ne profitta, anche se in essa non vi
siano conflitti in atto perché chi vi ha avuto la peggio rimane sottomesso a
forza. E all’assenza di conflitti combattuti non si può dare il nome di pace,
perché conflitti rimangono latenti. Possiamo accettare, anche da un punto di
vista politico, questa concezione di pace. In realtà essa non è sufficiente per
costruire la pace e serve essenzialmente a mantenerne l’anelito, quindi
a superare situazioni di pace insufficienti dal punto di vista della
giustizia in senso biblico, ma anche situazioni di conflitto colpevoli nello
stesso senso.
La pace, dal punto di vista politico, si
manifesta indubbiamente come assenza di conflitti in atto, ma solo se questa
situazione è manifestazione di un ordinamento sul quale ci sia un
consenso abbastanza largo da non dover dipendere solo dalla violenza
politica. Altrimenti la società è percorsa da conflitti potenziali che solo un
equilibrio basato sulla forza tiene a bada, finché le forze contrapposte
rimangono in equilibrio.
Su un equilibrio di questo tipo si basava la
situazione di non-guerra che si produsse dal 1946 al 1991 tra gli Occidentali e
l’Europa orientale comunista egemonizzata dall’Unione Sovietica e dai suoi
alleati. L’equilibrio del terrore, si diceva. Una situazione analoga si
basa oggi la non-guerra tra gli
Occidentali e la Repubblica Popolare di Cina, veramente molto pericolosa perché
ha come protagonisti la Cina in fase fortemente espansiva e una
potenza come gli Stati Uniti d’America che in Estremo Oriente ha già combattuto
tre sanguinose guerre e ha usato per due volte l’arma atomica per eccidi di
massa di civili, annientando due grandi città giapponesi. Un conflitto tra Occidentali e Cina popolare causerebbe
la distruzione del nostro attuale modello sociale ed economico, basato
sull’Interdipendenza con i cinesi.
Per la verità un ordinamento globale che ha
come obiettivo la pace mondiale c’è, e finora ci ha evitato conflitti
catastrofici su vasta scala: si tratta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite O.N.U.:
ma il rapido mutamento dello scenario politico mondiale, in particolare con
l’emergere al livello di potenze globali dell’Unione Europea e della Repubblica
Popolare di Cina, lo ha complicato e in diversi campi e scenari di conflitto
l’O.N.U. dimostra minori capacità di un tempo. Infatti se ne invoca la riforma,
ma naturalmente il suo successo dipenderà dal consenso che su di essa si
riuscirà ad ottenere da parte delle maggiori potenze. Bisogna ricordare che la
legge generale del potere è che ogni potere, individuale o collettivo, senza
eccezioni, tende ad espandersi finché non trova una forza che validamente
gli si oppone e allora, se non riesce a prevalere o se il prevalere gli è meno
conveniente di un’alleanza, tratta un ordinamento di pace, e, se questo viene
osservato, si passa da una situazione di conflitto in atto o potenziale ad una
di pace reale.
Definiamo stato un ordinamento a fini
generali che riesce a conquistare il monopolio della violenza politica. All’interno
di uno stato, l’ordinamento statale costituisce la principale forza che
fronteggia ogni altra e la limita. Le Federazioni, Confederazioni e Unioni
di stati sono ordinamenti complessi che limitano il potere degli stessi
stati, in massimo grado nelle Federazioni, con grado di accentramento
decrescente dalle Federazioni alle Unioni. La situazione è completamente
diversa in sede internazionale. Qui non vi è un potere che abbia il monopolio
della forza e, se vi fosse, come ancora auspica la dottrina sociale, avrebbe
carattere imperiale, veramente sovrano nel senso di illimitato e,
secondo la legge generale del potere che ho enunciato, assumerebbe carattere
dispotico, risolvendo le situazioni di conflitto mediante sottomissione e,
dunque, rendendo impossibile arrivare a una vera situazione di pace. È per
impedire questo sviluppo che l’Unione Europea non è stata costruita come una Federazione,
come auspicavano è ancora
auspicano molti europeisti, ad esempio gli autori del Manifesto di
Ventotene.
Un ordinamento è essenzialmente un sistema di
norme che non riguarda solo le relazioni sociali ma vi crea nuovi attori,
vale a dire istituzioni
pubbliche. Le istituzioni di un ordinamento pubblico, quindi creato per il
governo di una società, sono organizzazioni per il governo di settori
della società. Anche l’O.N.U. e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, che
regola gli scambi a livello globale, sono istituzioni. Alla base degli ordinamenti
internazionali vi sono trattati; alla base degli ordinamenti statali,
semplici o integrati in Federazioni, Confederazioni o Unioni vi sono costituzioni.
Nell’ordinamento dell’Unione Europea, il Trattato di Lisbona, del
2007, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, è formalmente un trattato,
ma sostanzialmente la Costituzione europea.
L’ordinamento dell’Unione europea, istituito
negli anni ’50 e progressivamente integrato ed esteso fino ad oggi ha
consentito il più lungo periodo di pace continentale mai vissuto nella storia
dell’umanità. Per questo nel 2012 le fu assegnato il premio Nobel per la pace.
L’ordinamento europeo ha ancora effettività e prevede complesse procedure
collaborative tra i suoi organi di vertice per impedire posizioni dispotiche,
nelle quali è coinvolto il Parlamento europeo, eletto direttamente dai
cittadini europei.
L’ideologia politica dell’Unione Europea è
quella democratica avanzata Occidentale, dinamica e ricca di dichiarazioni di
diritti sociali, in particolare sviluppata per via giurisprudenziale a livello
nazionale ed europeo. La realizzazione della pace europea è dipesa
essenzialmente da essa e dal progressivo sempre maggiore e intenso coinvolgimento
delle popolazioni europee, in particolare degli studenti attraverso progetti di
formazione europea. L’integrazione economica, a partire dalla creazione di un mercato
unico, con la possibilità di spostare liberamente merci, attività
produttive e lavoratori, è stata fondamentale per creare i presupposti per una
pace duratura, attenuando le contrapposizioni economiche.
Come è chiaro da quanto ho ricordato, non
basta quindi, per essere costruttori di pace, approfondire la teologia o
la filosofia morali, ma occorre acquisire consapevolezza realistica dei
conflitti sociali, economici e politici, vale a dire di quella che definiamo situazione
della società, e poi progettare e mediare nuovi ordinamenti o modifiche di
ordinamenti in grado di conquistare nella società un consenso sufficiente a
convincerne gli attori a non cercare di risolvere i loro conflitti con la
forza. Questo non significa cristallizzare i conflitti, ma cercare,
appunto, di risolverli, ponendovi
fine senza porre fine ai loro attori. La risoluzione di un conflitto si ha solo nel
quadro di un ordinamento ritenuto giusto dalle parti potenzialmente in
conflitto. In questa prospettiva è giusto quell’ordinamento che comporti
la risoluzione assentita, non solo subita, di un conflitto
sociale. È qui torna l’idea di giustizia, come fondamento della pace,
con l’avvertenza che, data la sua definizione, si tratta di un risultato
dinamico, mai dato una volta per tutte, non definito in una qualche tavola
della legge soprannaturale, ma che deve essere riconquistato seguendo l’evoluzione
sociale, che tende a rendere instabili gli ordinamenti. Paradossalmente questo
richiede, nelle epoche di instabilità, di cacciarsi dentro i conflitti sociali,
come, per spegnere un incendio, bisogna entrarvi con strumenti di estinzione.
Questa sensibilità si è faticosamente affermata anche nella dottrina sociale
cattolica a partire da metà Ottocento e, in particolare, dall’enciclica La
pace in terra (1963) del papa Angelo Giuseppe Roncalli (Giovanni 23^) e,
con sempre maggior forza, dopo il Concilio Vaticano 2^ (1962-1965), fino alla vastissima teorizzazione sotto il regno del papa Karol Wojtyla (Giovanni Paolo 2°) e alle innovative concezioni del Papa regnante.
Mario Ardigò – Azione
Cattolica in san Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.