Emersione di una società
La
società è una popolazione umana nella quale si affermano regole per le quali la
violenza personale e collettiva è arginata. Quelle regole, nella specie umana, sono una conquista culturale, vale a dire che
ci si ragiona sopra. In natura, in particolare tra i mammiferi più evoluti che
hanno comportamenti sociali, se ne osservano di analoghe, ma non appaiono
frutto di riflessione. In generale, la violenza
è un problema per ogni vivente sociale. Affrancarsene dà vantaggi competitivi,
perché consente la collaborazione tra gli individui per scopi comuni.
In natura si osservano anche cooperazioni
opportunistiche tra individui di specie diverse, ma esse non costituiscono società,
benché anch’esse diano vantaggi competitivi agli individui delle specie che le
costituiscono.
Ogni vivente è in potenziale conflitto con
gli altri, a partire dai cuccioli di una stessa nidiata. Questi conflitti in
natura vengono risorti con la violenza, che è la legge suprema, salvo le
condotte sociali. Queste ultime non impediscono i conflitti tra gli individui
sociali che le esprimono, ma ne arginano la violenza, che tuttavia ciclicamente
riprende. Tra i mammiferi sociali, ad esempio, si osserva la prevalenza di
maschi dominanti che difendono la loro preminenza con conflitti violenti con
altri maschi del gruppo e la mantengono finché soccombono. Queste modalità di
risoluzione delle questioni di potere si manifestano anche all'interno delle società umane
e tra le società umane. Paradossalmente, sono molto più frequenti nei rapporti
tra stati che al loro interno e questo perché l’assetto dei rapporti
internazionali, nei settori dove non si è riusciti a creare organizzazioni al di
sopra degli stati che riescano ad ottenere ottemperanza ad un certo ordine, si basa su convenzioni e queste durano finché uno o più degli attori internazionali
che vi partecipano decidono di violarle e di passare ad azioni violente. Queste
dinamiche, fino alla metà del Novecento, venivano considerate naturali e quindi ci si rassegnava a subirle, ma anche
si metteva in conto di poterne beneficiare. Dopo la Prima Guerra Mondiale
(1914-1918) e, con più intensità dopo la Seconda (1939-1945), si è cercato di arginare la violenza internazionale,
con un certo effetto di contenimento a livello mondiale e spettacolari successi
in Europa, dove le potenze che si erano a lungo combattute, riconducibili alle
attuali Francia, Germania/Austria, Gran Bretagna, Russia, Spagna, non lo hanno
più fatto, almeno fra loro.
L’esperienza della costituzione di una società
è molto comune, a partire da quelle di prossimità, espressione di piccoli
gruppi. E’ molto importante il tirocinio sociale che si fa in queste piccole aggregazioni,
che dovrebbe essere incoraggiato. Non basta infatti studiare la costruzione
sociale, occorre praticarla. Nella Chiesa cattolica, nel 1906 l’Azione
Cattolica fu costituita proprio a
questo fine, oltre che per essere una sorta di partito del Papa. Quest’ultima
connotazione è stata abbandonata solo con la riforma attuata nel 1969 sotto la
presidenza di Vittorio Bachelet e a seguito dell’attuazione dei principi di
azione sociale deliberati durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965).
L’organizzazione di un piccolo gruppo come
quello nostro che si riunisce periodicamente in Google Meet, in questo
tempo di pandemia che ci impedisce di incontrarci in parrocchia, ha fatto
emergere una nuova società, che si è data nuove regole. Quelle formali, poche,
le ho proposte all’inizio di questa esperienza e sono state approvate con
deliberazione unanime nel corso della prima riunione in teleconferenza. Altre
si sono venute consolidando nel pratica, a partire da consuetudini sociali.
Consentono un dibattito ordinato in cui tutti possono dare il proprio contributo.
Questa piccola società è emersa a
seguito di un accordo per raggiungere alcuni scopi, in particolare
quello di continuare a dibattere di temi sociali e religiosi anche in un tempo
in cui riunirci in parrocchia è pericoloso a causa dell’evoluzione della
pandemia di Covid-19. Questo perché non si è partiti da una situazione di
violenza sociale: si andava già d’accordo prima, in particolare perché si aderisce
a una più vasta esperienza di società che è quella dall’Azione Cattolica. Essa serve a prevenire il disordine, perché nessuno
tra noi impiegherebbe la violenza per prevalere.
All’origine di società a fini generali come
gli stati vi è, invece, in genere l’esigenza di mettere fine a disordini sociali caratterizzati
da violenze politiche, "perché i cittadini non corrano alle armi" per difendere le proprie pretese, insegnavano gli antichi giuristi romani. In questo caso le regole che fanno emergere la società
sono in genere il risultato di assetti di potere determinati da quelle violenze
e da transazioni tra le forze predominanti che, benché tali, non sono (ancora) riuscite ad avere ragione ciascuna
delle altre, ma sarebbero pregiudicate dal perdurare del disordine sociale determinati dai conflitti. La
legge generale di ogni potere, su qualsiasi scala, è che esso tende ad espandersi
finché trova contrapposta una forza irresistibile, e allora viene a patti.
All’interno di una certa società
quella forza è costituita in genere dalle regole che si sono già affermate in quella
società, che possono essere formali, vale o deliberate da un centro di
potere riconosciuto, o consuetudinarie, vale a dire risultanti dalla spontanea
interazione sociale quando si trova più conveniente la collaborazione pacifica rispetto
all’impiego della violenza. Come regola sociale consuetudinaria, con rilevante
forza nonostante che non sia formalmente deliberata, si ricorda in genere,
quando si studia il diritto, la moda. Ad esempio, è la società che
decide come devono vestirsi gli uomini e le donne e di solito gli uomini non vanno
vestiti da donne e viceversa. Ma chi lo ha deciso? Invece le regole della
circolazione stradale in Italia sono state deliberate dal Governo su delega di una legge
del Parlamento: sono quindi espressione di un’autorità dello stato. E, tuttavia,
se non fossero generalmente osservate, come quelle della moda, ci sarebbero
molti problemi, perché certamente difficilmente la repressione delle forze di
polizia basterebbe a contenere un disordine generalizzato.
Di una persona diciamo che è buona o cattiva da come si comporta in società, in particolare
se ne osserva le regole fondamentali, non usa violenza né frode nei rapporti
sociali e osserva certi doveri di solidarietà interpersonale e sociale, ad esempio
in famiglia o quando serve soccorso in casi di emergenza.
La bontà di una società a fini generali come uno stato
dipende da come e in che misura riesce ad arginare la violenza interpersonale e sociale,
compresa la propria. Fin dall’antichità se ne è apprezzata anche la capacità di realizzare
opere pubbliche di utilità comune. Dal Settecento, con l’aumentare della
complessità delle società in particolare per lo sviluppo tecnologico e l’aumento
della popolazione, si sono sempre più venuti affermando compiti sociali di
sviluppo del benessere pubblico. Tutti questi compiti sono anche previsti nei
trattati della dottrina sociale cattolica sui compiti delle istituzioni
pubbliche.
Le società con compiti settoriali, come le
associazioni private, come anche l’Azione cattolica è, sono ritenute buone se
riescono ad organizzare la collettività di riferimento per raggiungere i propri scopi, ma anche in un altro senso,
vale a dire se riescono a farlo senza prevaricare e umiliare i propri membri. Nel primo senso di può parlare, allora, di buone
società, nel secondo di società buone.
La nostra Chiesa, vista nella prospettiva dello
stato, è una società a fini particolari, tutti quelli che rientrano nella
religione cattolica, quindi liturgia, formazione, assistenza sociale. Ma, vista
nella sua prospettiva, è una società con
fini generali, organizzata come uno stato, con un proprio diritto formale, che
si chiama diritto canonico. Ed è proprio come tale che partecipa alle
relazioni internazionali con gli stati, ad esempio accreditando ambasciatori,
che si chiamano nunzi, i quali, però, a differenza degli altri ambasciatori,
non hanno solo il compito di curare le relazioni con gli stati ai quali vengono
inviati, ma anche quelli di rappresentare la Santa Sede, vale a dire il Papato,
nelle relazioni con gli episcopati nazionali.
Sulla nostra Chiesa si è sviluppata anche una
teologia, per il suo legame con il soprannaturale e, sotto questo aspetto, è
certamente una società buona, ma anche dal punto di vista della teologia
si ha consapevolezza che, nei suoi aspetti di società umana, quella bontà è un obiettivo, non sempre una realtà.
Storicamente la nostra Chiesa, come organizzazione
umana, non è stata sempre né una buona
società né una società buona.
Non lo fu, ad esempio, quando fece giustiziare atrocemente, il 16 settembre
1560, a due passi da dove oggi lavoro, il pastore valdese Gian Luigi Pascale,
arrestato mentre predicava in Calabria.
Sta a noi influire sulla nostra Chiesa perché
si manifesti buona società e società buona. La nostra Chiesa è
una grande società e dunque si fa quel che si può; il risultato non è certo nelle nostre mani: nemmeno
i Papi sono riusciti, da soli, in quell’intento. L’importante è non darsi per vinti e, soprattutto, fare pratica
sociale, a partire dai gruppi minori a cui si partecipa. Ad esempio,
risultati possono ottenersi più facilmente in una parrocchia e questa esperienza può servire da
esempio per attività sociali su scala maggiore.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli