La nostra Chiesa
finirà?
Società e civiltà finiscono. Anche la nostra
Chiesa finirà?
Ciclicamente a messa si legge questo brano evangelico tratto dal Vangelo
di Luca [Lc 18, 1-8]:
Gesù raccontò una parabola per insegnare ai discepoli che
bisogna pregare sempre, senza stancarsi mai. Disse: C’era
in città un giudice che non rispettava nessuno: né Dio né gli uomini. Nella
stessa città viveva anche una vedova. Essa andava sempre da quel giudice e gli
chiedeva: Fammi giustizia contro il mio avversario. «Per un
po’ di tempo il giudice non volle intervenire, ma alla fine pensò: “Di Dio non
mi importa niente e degli uomini non mi curo: tuttavia
farò giustizia a questa vedova perché mi dà ai nervi. Così non verrà più a
stancarmi con le sue richieste”». Poi il
Signore continuò: «Fate bene attenzione a ciò che ha detto quel giudice
ingiusto. Se fa così lui, volete che Dio non faccia
giustizia ai suoi figli che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad aiutarli? Vi
assicuro che Dio farà loro giustizia, e molto presto! Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà ancora fede sulla terra?».
sollecitando l’attenzione sull’ultimo
versetto, come monito etico e religioso. In realtà lì non si fa rifermento alla
Chiesa, ma alla fede, perché la
parabola trattava dell’ingiustizia sociale, non di come organizzarsi in una
comunità di fede e del destino di essa.
Sempre a messa si legge anche quest’altro brano
evangelico, che conclude il Vangelo secondo Matteo [Mt 28,19-20]:
Gesù si avvicinò e disse: «A me è stato dato ogni potere in
cielo e in terra. Perciò andate, fate che tutti diventino miei
discepoli; battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate
loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E sappiate che io sarò sempre con voi, tutti i giorni, sino alla fine
del mondo».
Qui si è più in tema, ma fino ad un certo
punto. Finché la Chiesa sarà viva, avrà assistenza soprannaturale, questo ho inteso leggendo quel testo e così viene spiegato dai predicatori commentandolo. Ma come può
finire la Chiesa se è assistita in quel modo? In realtà la decisione di essere Chiesa rientra nella più generale decisione
per la fede che, come si insegna, prevede la possibilità di rifiutarla. Dunque,
sì, bisogna ammettere che, se non ci fossero più al mondo persone che facciano Chiesa, allora la Chiesa potrebbe finire. Ora
però ci appare improbabile che in un mondo che è popolato da otto miliardi
di persone ma che rapidamente ne avrà molte di più non si trovi almeno un piccolo gruppo di fedeli che ancora facciano Chiesa, diciamo delle dimensioni di quello che
si riunì all’inizio intorno al Maestro, da lui convocato, dodici uomini e alcune donne. Questo ci può
consolare, dico può consolare noi che teniamo all’essere e al fare Chiesa. In più può essere osservato che il
declino, se mai veramente ci sarà, sarà molto lento, come di solito succede
nelle crisi delle culture umane. Abbiamo per così dire una conferma
sperimentale: settant’anni di attiva propaganda ateistica, con particolare forza
contro il cristianesimo, non è riuscita ad eradicare la Chiesa in Unione
Sovietica, e quest’ultima, anzi, ad un certo punto è rapidamente finita,
sostanzialmente perché incapace di adeguarsi ai tempi nuovi, incapace della perestroika [termine che in russo
significa rinnovamento] a cui voleva
guidarla l’ultimo suo capo Michail Gorbaciov, e quindi sentita come inutile.
Per fare previsioni sul futuro ci si può
anche affidare alle proprie visioni, si tratta di prodotti della
nostra mente che in base a ricordi di esperienze e di emozioni personali del
passato frullate nel sub-conscio ci si
presentano come realistici, o alle argomentazioni
delle scienze umane e sociali, che riflettono sul presente sulla base delle
esperienze collettive del passato.
La storia riflette su fonti-documenti, quindi narrazioni e descrizioni orali e scritte,
le immagini dell’arte, gli edifici e le altre realizzazioni umane, tra le quali
le macchine, gli altri oggetti che ci sono giunti dal passato e che ce ne
testimoniano i costumi, più recentemente le registrazioni di immagini e suoni,
gli insediamenti produttivi salvati
dal passato e via dicendo, e questo per dare
un senso agli eventi studiati. La sociologia studia i movimenti delle
società umane, l’antropologia come si vive nelle
società umane; entrambi si avvalgono, oltre che di dati statistici e di osservazioni sul campo, delle acquisizioni delle scienze storiche. Nei corsi di studio delle scuole primarie e secondarie si
danno informazioni sui risultati di queste discipline. Esse dovrebbero essere
fondamentali anche nella formazione religiosa di base, mentre di solito ci si
limita a qualche racconto di storia sacra, alla prescrizione di obbedire a
genitori e altri superiori e a poche istruzioni liturgiche, e naturalmente, dagli adolescenti in su, ad
assillanti, obsolete, pretestuose e inutili prescrizioni di morale sessuale. D’altra parte, c’è veramente poco
tempo, quella formazione viene affrontata come un corso tra i tanti, non come
un’esperienza fondamentale, e dunque non si riesce a trarre profitto dalla
vasta letteratura di genere, prodotta in particolare dal lavoro di rinnovamento
della catechesi avviato negli anni ’70.
Che ci dicono quelle scienze sul tema della fine della Chiesa e delle congregazioni religiosi in genere? Nel passato si è osservato che tutto ciò che,
nelle culture umane, ha avuto inizio, finisce o si trasforma. Molto spesso si
trasforma. C’è qualcosa che si è sottratto a questa legge? Forse il riflesso
della suzione nel neonato e non mi viene in mente altro, ma rifletteteci sopra.
Chi crede più negli dei dell’antico politeismo mediterraneo? E dove sono le sue potenti classi sacerdotali? E non è successa la stessa cosa al cristianesimo, dal Settimo secolo, in gran parte dell’Africa settentrionale e nel Vicino Oriente.? La storia della greca Bisanzio-Costantinopoli, in Tracia, che ora è la turca Istanbul, quasi del tutto islamizzata, racconta una medesima storia. Una religione organizzata può essere quasi completamente eradicata dall’affermarsi di una nuova religione. E, tuttavia, l’eradicazione consegue in genere all’assimilazione della nuova religione in un sistema di potere politico che combatte attivamente la vecchia. E’ in questo modo, assecondato dalla violenza politica di stato, che, nel Quarto secolo, il cristianesimo si affermò definitivamente nell’antico impero romano. Altrimenti vecchia e nuova religione trovano accomodamenti di coesistenza. La storia degli Stati Uniti d'America, la prima democrazia dell'era contemporanea, ne è la conferma per così dire sperimentale.
L’esperienza
della persecuzione ateistica nell’Unione Sovietica, ma anche di quelle manifestatesi
in Messico negli anni ’20 e nella Cina sotto il maoismo e suoi epigoni,
dimostra invece che l’ateismo di stato, anche sorretto da intensa violenza
politica, non produce lo stesso risultato. Questo perché le società umane esprimono
intensi bisogni religiosi, principalmente sotto due profili: per conquistare un
senso all’esistenza personale, integrando i fatti fondamentali della vita, nascita, genitorialità, relazioni parentali, lotta sociale, ruolo dell'anziano, morte; poi per cercare di influire sulle potenze superne
che si immaginano dietro i fatti sociali e naturali di cui non si ha il controllo, concepite nelle modalità
meno evolute come destino e fortuna. Come è chiaro, anche la nostra
religione soddisfa entrambi questi bisogni e, nelle sue molte manifestazioni,
appare aver inglobato parte degli antichi culti.
Di solito si dice che la nostra Chiesa sta
vivendo una crisi, e questo è certamente vero:
Italia e Polonia a parte, la pratica religiosa cristiana in Europa è a livelli
bassissimi. Questo però non deriva dalla secolarizzazione come superficialmente si afferma spesso,
vale a dire dalla desacralizzazione degli stati, che è seguita all’affermazione di
processi democratici, né al progresso dell’ateismo nelle nostre società, che
risulta ancora un fatto minoritario. In genere, anzi, nelle nostre società,
molto evolute dal punto di vista politico e tecnologico, sono anzi molto diffuse le
più varie credenze di natura religiosa o
magica, che si esprimono, ad esempio, nel culto degli amuleti e in certi rituali
propiziatori. E’ accaduto, invece, che, dagli scorsi anni Sessanta, è venuta
meno la pressione sociale a favore delle manifestazioni religiose, sincere o
insincere che fossero, intese come parte del buon costume. Questo per un diverso strutturarsi della società, nella quale si è più liberi di autodeterminarsi. Anche nella moda si è vissuto un processo
analogo. Nei filmati risalenti ai primi anni Sessanta, fanno impressione i
ragazzi vestiti con giacca e cravatta. Naturalmente, se ci fosse stata una formazione
religiosa più accurata e adeguata ai tempi, la crisi probabilmente non ci
sarebbe stata o sarebbe stata molto meno profonda: in fondo l’Italia è rimasta una società intensamente clericalizzata nonostante tutto e certamente la nostra Chiesa non è stata sfavorita dall’aver
controllato per un tempo lunghissimo il partito egemone nel governo. Oggi osserviamo atteggiamenti francamente clericali anche nei partiti di opposizione che risalgono a esperienze che in passato furono fortemente critiche verso la nostra Chiesa.
La nostra Chiesa è inoltre rafforzata dall’essere
intensamente partecipe di dinamiche di potere, in tutti in sensi, dall'essere potentemente finanziata dallo stato in base ad accordi dai quali la nostra Repubblica non può unilateralmente sganciarsi e dall’avere da amministrare un
ingente patrimonio, che le dà risorse, ma anche l’occasione di mantenere un
vasto corpo di funzionari. Tuttavia le esigenze di amministrazione contingente
possono influire negativamente proprio sui processi di acculturazione religiosa che
sono implicati nelle attività formative, che, come ho osservato, a livello di
base sono non del tutto soddisfacenti. Quelle esigenze diciamo venali appaiono oggi come una sorta di
palla al piede nei processi di riforma ecclesiale, perché, essendo percepite come riguardanti la sussistenza spicciola, vengono messe in primo piano e addirittura definite come non negoziabili. Il rischio è che, nonostante
i profondi processi di rinnovamento della formazione religiosa attivati dagli
anni ’70, la nostra Chiesa finisca per trasformarsi essenzialmente in una
burocrazia sorretta dal finanziamento pubblico. Ma l’esperienza dell’Azione
Cattolica, con i suoi circa trecentomila aderenti e la sua organizzazione
democratica, dimostra che si è ancora piuttosto lontani da quell’esito; ed essa
non è che solo una delle maggiori esperienze associative. Dunque la nostra società
è ancora molto pervasa di fenomeni sociali religiosi partecipativi, non di mera burocrazia clericale, e questo anche se è
progressivamente venuta meno quella pressione sociale per la religione, che non
si è riuscita a riprodurre nemmeno con le ideologie neo-comunitarie che hanno preso
piede in diverse modalità dagli anni ’80 sotto la spinta del movimento per il rinnovamento della catechesi.
C’è tuttavia un lavoro da fare, ed è quello
nel quale principalmente è impegnata l’Azione Cattolica, per radicare i costumi
e il pensiero religiosi nella società, seguendone gli sviluppi, ed è un lavoro di fare oggi, perché il domani non porti la fine, o, più probabilmente, una trasformazione sfavorevole. Del resto, è così che si è
sempre fatto nella nostra Chiesa, come anche nelle altre Chiese cristiane. E' per questo che ancora esse sussistono nonostante i rapidi cambiamenti sociali che si sono manifestati nel mondo. Da un punto di vista sociologico e
antropologico può anzi essere detto che la nostra Chiesa si è più volte molto profondamente trasformata nei due millenni della sua vita, e quindi, sotto
questo aspetto, è morta e rinata più volte, pur mantenendo alcuni importanti
riferimenti culturali. Un teologo probabilmente osserverebbe che, nonostante
queste trasformazioni, è rimasta pur sempre la stessa, perché qualcosa di fondamentale, una importante tradizione, si è
pur sempre mantenuta. E anche questo è certamente vero, anche se, ad esempio, il Papato, oggi, non è più quello che nell'Ottocento invocò l'intervento nella nostra città di armate straniere per ammazzare la mazziniana Repubblica romana, nel senso letterale di farne a pezzi i fautori. Ieri in TV, sul canale Rai Storia, mi è capitato di assistere ad una interessante ricostruzione storica su quei fatti, nel corso della quale si è data lettura di una lettera dell'allora Segretario di stato cardinal Antonelli agli ambasciatori di potenze europee che avevano seguito il papa Pio 9° rifugiatosi nella fortezza borbonica di Gaeta, che fu molto esplicita sul punto (1).
Mario Ardigò - Azione
Cattolica in San Clemente papa - Roma,
Monte Sacro, Valli.
nota:
(1) si veda per ulteriori notizie, sul Web, una interessante tesi di laurea del dott.Francesco Pesce
http://www.gliscritti.it/approf/dandrea/pio9.htm#titre21
Inoltre:
Inoltre da
https://www.treccani.it/enciclopedia/giacomo-antonelli_(Dizionario-Biografico)/
Posto dal 26 novembre
[1848] a capo del governo pontificio in esilio col titolo di prosegretario di
stato, l'Antonelli sarà presente per
venti anni sulla grande scena diplomatica europea.
Ormai convinto dallo sviluppo degli avvenimenti ch'era vano tentare una
laicizzazione e una liberalizzazione, sia pure parziali, del governo dello
Stato pontificio e che l'indipendenza del papa, in quanto capo della Chiesa
universale, sarebbe stata garantita solo dal ritorno a un regime teocratico,
cominciò a seguire, nei confronti del mondo politico romano, la politica del
peggio, riponendo tutte le sue speranze in una restaurazione dovuta a un
intervento straniero. Mentre Rosmini consigliava di non rompere i ponti col
parlamento di Roma, l'A. rifiutò brutalmente di ricevere una delegazione
inviata da quel parlamento per pregare il papa di rientrare nella sua capitale
e il 4 dicembre invitava le potenze europee a intervenire con le armi per
ristabilire il potere temporale del pontefice. Distolse quindi il papa
dall'indirizzare ai sudditi il proclama conciliante redatto dal Rosmini; e lo
indusse anzi a sconfessare solennemente, il 17 dicembre, il governo
provvisorio: e con ciò fu consumata la rottura.