La nostra Chiesa dovrebbe
sostenere suoi politici?
Nel libro che ho commentato, di Gioele Anni e
Roberta Lancellotti, Serve ancora la politica - Dieci interviste
di protagonisti d’oggi, diversi politici intervistati hanno lamentato di
essere stati lasciati soli dalla Chiesa dopo la loro decisione di impegnarsi in
politica, in genere cominciando dal partecipare ad elezioni come candidati.
Questa solitudine del politico di estrazione cattolica ha due
aspetti: il primo è la mancanza di una specifica assistenza spirituale da parte
del clero; il secondo è la mancanza di un appoggio concreto nel creare un
consenso elettorale.
Sotto il primo profilo la spiegazione è
semplice: il clero non è formato a insegnare la morale democratica ed è
scoraggiato dall’approfondire autonomamente. Questo perché la dottrina
cattolica corrente è ancora sostanzialmente diffidente verso la democrazia,
considerandola (giustamente) espressione di libertà e reputando quest’ultima
(del tutto infondatamente) via di arbitrio egoistico. Secondo questa
impostazione di pensiero, manifestata anche nella recente enciclica Fratelli tutti, fraternità e libertà sarebbero valori confliggenti,
mentre l’esperienza storica dimostra l’esatto contrario, vale a dire che
società più fraterne sono state possibili solo quando si è stati liberi di
immaginarle e di realizzarle. Va detto anche che le società dominate da
autocrazie assolutistiche, preferite dal Papato fino agli scorsi anni ’40, sono
state assai poco fraterne, e naturalmente questo è un eufemismo.
L’altra questione è piuttosto chiara per una persona come me,
ultrasessantenne, che ha vissuto la lunga egemonia del partito cristiano, la Democrazia Cristiana, e ha anche approfondito
leggendo un po’. Ma vedo che non lo è più per quelli più giovani.
La nostra Repubblica democratica
è nata con il contributo determinante dei cattolici democratici: la
nostra Costituzione è piena di principi tratti dalla dottrina sociale. Negli
anni ’40, quando il papa Eugenio Pacelli - Pio 12°, ordinò la svolta
democratica, i cattolici democratici, dopo
vent’anni di compromissione con il fascismo mussoliniano della loro
Chiesa, era ridotti a poca cosa. Nelle elezioni del 1919, invece, le prime dopo
la Guerra mondiale, il Partito popolare di Luigi Sturzo era stato il secondo
per consenso elettorale dopo quello socialista, e aveva mantenuto la sua forza
anche in quelle del 1919, le ultime democratiche prima dell’avvento del
fascismo storico. Negli anni Venti si produsse il lungo processo di
avvicinamento del Papato al fascismo mussoliniano, che fu formalizzato nei
Patti Lateranensi, stipulati nel 1929 con il Mussolini quale rappresentante del
Governo del Regno d’Italia, e nell’enciclica sociale Il Quarantennale - Quadragesimo
anno del papa Achille Ratti - Pio
11°, con la quale i cattolici italiani furono esortati a collaborare con le
opere sociali del fascismo mussoliniano, nel quadro del sistema corporativo che
in quegli anni si andava progettando ed edificando. Negli anni ’30 l’associazionismo
cattolico italiano si allineò a questo orientamento, ad eccezione, in parte, di alcuni suoi rami intellettuali e per azione dei Giovanni Battista Monti, l’ispiratore
della svolta democratica sotto Eugenio Pacelli: la FUCI e il Movimento Laureati, poche centinaia di
persone. E’ per effetto di questo
processo che nel 1942, quando fu fondata la Democrazia Cristiana, tra i fondatori i vecchi popolari Alcide
De Gasperi, Giuseppe Spataro, Mario Scelba, Pietro
Campilli e i “giovani” provenienti dall’ associazionismo cattolico. Giorgio
La Pira, Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Amintore
Fanfani, Giulio Andreotti, la base elettorale del nuovo
partito era praticamente inesistente, mentre ancora il Papato manteneva una
capacità di influenza popolare nonostante tutto. Quindi, come spiegato bene dallo storico Pietro
Scoppola, Alcide De Gasperi concluse un
compromesso con il Papato, secondo il quale quest’ultimo, mediante l’estesa
rete ecclesiale ancora capace di diffondere dottrina sociale, avrebbe
appoggiato il partito nel suo progetto di costruzione democratica e il partito
avrebbe appoggiato gli interessi politici del Papato, innanzi tutto quello del
mantenimento in vigore dei Patti Lateranensi. Il partito riuscì però sempre a
mantenere una certa autonomia politica dal Papato, ma ne fu asservito sotto
altri aspetti e, comunque, ne rimase dipendente per la formazione alla politica,
che si faceva essenzialmente in Azione Cattolica, e l’organizzazione del
consenso elettorale e ciò fino alla fine agli anni Settanta, quando manifestò di essere
divenuto indipendente anche dal punto di vista elettorale. La svolta si ebbe a
seguito del risultato sfavorevole alla linea del partito del referendum del ‘74
contro la nuova legge sul divorzio e la cessazione degli effetti religiosi del
matrimonio concordatario, nel quale il partito era stato trascinato dal Papato,
e questo in un’epoca nella quale il partito manteneva ancora un consenso
elettorale maggioritario nel Paese. Fu evidente che l’influenza politica del
Papato sul consenso elettorale andava rapidamente scemando, a differenza di
quella del partito. Questo risultato era stato dovuto essenzialmente al
radicamento dei processi democratici nella popolazione, l’obiettivo a cui il
partito aveva mirato fin dal principio, e dalla conseguente desacralizzazione della forza elettorale del partito,
assecondata dai processi di riforma avviati dopo il Concilio Vaticano 2°
(1962-1965) e da quelli, conseguenti, nell’Azione Cattolica Italiana sotto la
guida di Vittorio Bachelet. Desacralizzazione
significa che nessuna decisione politica
è più sottratta al libero dibattito con la pretesa di obbedienza canonica, come
in Italia è accaduto per l’ultima volta, appunto, sulla questione del voto al
referendum sulla legge sul divorzio. La desacralizzazione, che è un aspetto
della secolarizzazione, è un valore
molto importante nei processi democratici: non può esistere democrazia se non
in un ambiente politico secolarizzato, quindi nel quale si può discutere di
tutto. Questo valore viene anche enunciato come laicità della politica. Esso non comporta minimamente un rifiuto
della fede religiosa nel soprannaturale, perché è limitato solo alle questioni
politiche. Infatti, un partito di
esplicita ispirazione religiosa, la Democrazia Cristiana, poté quindi aderire
completamente e sinceramente alla democrazia repubblicana. La desacralizzazione della politica democratica implica non
riconoscere al Papato e a nessun’altra autorità religiosa obbedienza canonica
sulle questioni politiche.
Ma tra
gli anni Sessanta e Settanta si prese anche coscienza dei gravi danni all’evangelizzazione provocati dai processi
di sacralizzazione della politica che l’appoggio del Papato alla
Democrazia Cristiana aveva comportato. Essi avevano significato, in particolare,
il subordinare il riconoscimento religioso
al seguire quella linea politica del Papato. Nel caso dell’adesione al Partito
Comunista Italiano questo ad un certo punto comportò addirittura la scomunica
canonica, che negli anni Ottanta però si riteneva in genere superata, per i
profondi mutamenti ideologici avvenuti tra i comunisti italiani, anche se mai
formalmente revocata. Negli altri casi la conseguenza era l’emarginazione
ecclesiale e, per preti e religiosi, sanzioni canoniche.
Il
Papato e la Chiesa italiana hanno importanti interessi specificamente politici
in Italia, come organizzazioni e a prescindere da principi religiosi. Entrambi
sono grandi proprietari immobiliari e hanno i problemi di tutti i proprietari immobiliari,
in particolare relativi a manutenzione ordinaria e straordinaria e a tassazione.
Inoltre hanno estese attività finanziarie e imprenditoriali per le quali
ambiscono a un regime di privilegio a motivo delle connotazioni religiose
delle organizzazioni a cui fanno capo. La Chiesa cattolica italiana è, in più,
totalmente dipendente dal finanziamento statale per la propria sussistenza
materiale, con circa un miliardo di euro di trasferimenti ogni anno. Le
istituzioni pubbliche della Repubblica sono impegnate con importanti
finanziamenti per la manutenzione degli immobili religiosi storici. Alcune
imprese esercitate da istituzioni religiose nel campo della sanità, dell’assistenza
sociale, della scuola, beneficiano di convenzioni con istituzioni
pubbliche a diverso titolo. Tutta
queste materie in passato sono state fatte rientrare nel quadro dei cosiddetti valori non negoziabili, vale a dire che,
per chi volesse beneficiare del consenso ancora organizzato dalla Chiesa, erano
sottratte al libero dibattito, bisognava fare come pretendevano le autorità
religiose.
Quindi è molto chiaro il problema del politico che vorrebbe essere aiutato dalla Chiesa nell’organizzazione del proprio
consenso elettorale. C’è infatti un prezzo da pagare, perché, in politica
democratica, è chi riesce ad organizzare il consenso elettorale ad dirigere il
gioco. E, poiché la Chiesa non è un’organizzazione democratica, il politico
che partecipa ad una democrazia sotto il controllo della Chiesa, introduce in
quella democrazia elementi anti-democratici e, quanto a lui, non è più
completamente libero. E deve avere anche ben chiaro che, se una parte del
consenso elettorale è organizzato dalla Chiesa, per quell’altra parte che non lo è possono
essere pregiudicati valori religiosi perché chi vi aderisce sarà catalogato (del
tutto arbitrariamente visti gli interessi politici che in genere sono in gioco)
tra i disobbedienti anche in materia di fede.
In
realtà la nostra Costituzione repubblicana, scritta anche dai cattolici
democratici, prevede orientamenti molto chiari in merito: la pace politica con
la Chiesa cattolica è subordinata alla sua rinuncia a incidere con la pretesa
di obbedienza canonica sulla politica democratica (questo significa quello che
è scritto all’art.7, secondo la quale la Chiesa è sovrana solo nel suo
ordine); l’aggregazione mediante la quale i cittadini partecipano alla politica
democratica è il partito politico, che deve darsi uno statuto democratico (ora
è previsto espressamente dal decreto legge 149 del 2013, convertito in legge
con legge n.13 del 2014). Quindi il politico che pretendesse di essere appoggiato
dalla Chiesa cattolica, organismo con statuto non democratico, ad organizzare il proprio consenso elettorale anche sfruttando, in particolare,
lo strumento della pretesa di obbedienza canonica, si porrebbe anche in
contrasto con quei principi costituzionali.
Invece certamente la Chiesa può, e anzi deve (mio zio Achille ci scrisse sopra un capitolo del suo Crisi di governabilità e mondi vitali),
essere l’ambiente in cui ci si confronta liberamente sulle scelte politiche in
relazione ai loro profili morali e religiosi e, in questo lavoro, dovendosi tenere conto delle indicazioni di maestri
e dottori, perché si è in un ambiente ecclesiale, è indicato il metodo sinodale, il cui risultato,
tuttavia, non ha titolo per essere trasferito, come tale, sul piano politico,
dove vigono altri principi. Questo è anche l’orientamento che si ricava da
importanti documenti del Concilio Vaticano 2°, che non possono con
superficialità essere ignorati o fraintesi.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli