Scheda di lettura - ANNI Gioele, LANCELLOTTI
Roberta (a cura di), Serve ancora la politica - Dieci interviste di
protagonisti d’oggi - introduzione di Marco Damilano, Ave, 2020 -
parte sesta
12. Elena Bonetti, di quarantacinque anni, professoressa associata di
matematica all’Università statale di Milano, è Ministra delle Pari opportunità
e la famiglia. A lungo fu impegnate nell’Agesci,
l’associazione degli scout cattolici.
Lo scoutismo, dice, le ha insegnato a interpretare il servizio come un’esperienza
a tempo pieno; siamo chiamati a ricevere qualcosa che non ci appartiene, a
trattarlo con cura e a passare il testimone nelle mani di chi verrà dopo.
Iniziò lo scoutismo in quarta elementare, sull’esempio
dei genitori e delle cugine più grandi. Il mondi associativo ha una
caratteristica preziosa: ti porta ad aderire ad una dimensione comunitaria,
secondo due dimensioni: una orizzontale, perché si costruiscono azioni insieme ad altre persone; un’altra immersa
nel divenire del tempo, perché entri a far parte di una storia che è nata prima
di te e proseguirà anche dopo di te. Lo scoutismo è un servizio che ha a che
fare con il rischio e il coraggio: due valori importanti tra gli scout. L’esperienza
in Agesci la portò a dare priorità
alla dimensione educativa. La gestione delle responsabilità è condivisa tra
uomini e donne: le decisioni sono sempre collegiali e nessuno fa niente per se
stesso. Ogni mandato è a tempo, così ci
si mette nell’ottica di custodire qualcosa che si deve poi restituire.
Iniziò l’esperienza nel Governo con la
consapevolezza di dover imparare. L’attitudine matematica la aiuta: in quella
disciplina, infatti, prima di scrivere bisogna conoscere, prima di decidere si
deve avere le idee ben chiare sulle ipotesi in campo.
Si sforza di semplificare i processi. Si è
resa conto che molto pasa dai rapporti umani che si stringono con le persone.
Ritiene che si debbano riattivare le energie
di umanità che sono diffuse nel paese. Serve che le famiglie si sentano
accompagnate nel loro ruolo educativo.
E’ importante ritrovare la capacità di
proiettare se stessi nel futuro, anche con scelte irreversibili come quella di
diventare genitore.
Si ritiene fortunata per aver frequentato luoghi che hanno fatto crescere la sua
consapevolezza del suo valore di donna senza entrare in una logica
rivendicativa.
Prima di andare al Quirinale, per giurare da
ministra nelle mani del Presidente della Repubblica, ha rinnovato la promessa
scout, la scelta di servizio fondamentale della sua vita.
Pensa che non ci sia un unico modo di fare
politica, ognuno deve guardare alla sua vita e capire dove può mettersi in
gioco. Consiglia di iniziare a fare esperienza, ma non da soli, cercando altri
con cui camminare, un luogo dove servire; poi di dedicare del tempo a studiare,
ascoltare, imparare; infine di impegnarsi avendo un sogno da inseguire, non per
realizzarsi personalmente come politico.
Il buon politico, secondo il motto degli
scout, dovrebbe saper lasciare il mondo migliore di come l’ha trovato.
Le sue figure di riferimento in politica sono
Giorgio La Pira, Tina Anselmi, Primo Mazzolari, Lorenzo Milani e, infine, padre
Fabrizio Valletti, che a Scampia sta facendo un lavoro straordinario.
In politica si ha bisogno di non sentirsi
soli. Una politica deve nutrirsi e trovare impulso in una comunità condivisa.
13. Michele Nicoletti, di sessantaquattro anni, trentino, si formò nel
cattolicesimo democratico degli ani Settanta e Ottanta fra Trento, Bologna e
Roma. Lavrò nella FUCI, l’organizzazione degli universitari cattolici.
Ha insegnato
prima nei licei e poi nelle università di Padova e Trento. Nel 2013 fu eletto deputato. Tra
gennaio e giugno 2018 fu presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa,
organizzazione con sede a Strasburgo, in Alsazia - Francia, fondata il 5
maggio 1949 con il Trattato di Londra, firmato da dieci paesi tra cui l'Italia.
Il suo obiettivo è assicurare il rispetto di tre principi fondamentali: la
democrazia pluralista, il rispetto dei diritti umani e la preminenza del
diritto.
Ricorda
che gli anni Settanta, dopo il Concilio Vaticano 2° e i movimenti sociali del Sessantotto, furono un’epoca di grande
attivismo.
Entrò
nella Democrazia Cristiana nel 1976, a vent’anni, dopo l’appello del segretario
riformatore Benigno Zaccagnini per una rifondazione del partito.
Ritiene
che per la formazione alla politica sia importante la trama di amicizie e
relazioni, come fu in FUCI, grande scuola di alta formazione cristiana e
politica.
Fara
politica oggi è molto più semplice che negli anni Settanta. A quell’epoca il
confronto era più aspro, la politica
impregnava la vita degli attivisti in ogni sua dimensione. Tuttavia a quell’epoca
in genere chi aveva un ruolo pubblico comunicava in modo molto rispettoso,
formale e formalizzato. Questo costringeva a ricordarsi di esercitare una
funzione pubblica. Ora invece si è indebolito il senso istituzionale dell’incarico
pubblico.
Dagli
anni Ottanta si è iniziato a diffondere un certo cinismo. L’esplosione delle inchieste
sulla corruzione in politica denominate Tangentopoli,
all’inizio degli anni Novanta, segnò uno spartiacque. Alcuni dei politici
accusati si difesero con la scusa “Così
fanno tutti” e questo segnò una rottura di un’etica pubblica.
Dalla
metà degli anni Novanta, poi, personalizzazione e spettacolarizzazione presero
il sopravvento.
La
proposta della FUCI l’aiutò a capire che spiritualità cristiana e libertà
interiore potevano convivere.
Negli
anni Settanta/Ottanta si teorizzava che le associazioni dovessero occuparsi
della formazione cristiana, mentre chi sentiva il desiderio di impegnarsi
direttamente in politica era invitato a iscriversi a un partito. La FUCI,
dunque, fu una scuola politica in senso lato, perché aiutava a sviluppare un metodo per affrontare le questioni con uno studio rigoroso, con il
confronto con maestri e professori e la
scrittura di documenti puntuali e approfonditi.
Ricorda la
lettura dell’enciclica Populorum
progressio (diffusa sotto l’autorità del papa Paolo 6° nel 1967) come una
boccata d’aria fresca. Il mondo cattolico che all’epoca frequentò era sensibile alle istanze di giustizia
sociale e aperto ai temi del pacifismo in un’ottica globale. Il Sessantotto fu per i cattolici la traduzione politica di valori come la
solidarietà internazionale e la giustizia che il Concilio Vaticano 2°
(1962-1965) aveva affermato con anni di anticipo. Il mondo cattolico aveva
proposto una riflessione avanzata ssul tema della nonviolenza.
I
cattolici, seguendo l’insegnamento di Lorenzo Milani e Aldo Capitini non
facevano alcuna concessione sull’esercizio della violenza anche in alcune
situazioni estreme. Ciò portò molti della sua generazione all’obiezione di
coscienza al servizio militare.
Dopo la
fine della Democrazia Cristiana, i cattolici democratici si sentirono senza
casa, ma avevano il desiderio di un partito dei progressisti italiani.
La politica, osserva, è un’impresa
comunitaria, non solitaria. Il suo compito è tentare di risolvere assieme i
problemi comuni attraverso un’interpretazione della società. Dunque i partiti servono ancora, perché sono contenitori utili a
elaborare quel pensiero.
Oggi le
sfide politiche si sono spostate ad un livello più alto, internazionale. La
possibilità di incidere nel servizio politico nei Parlamenti nazionali è più
limitata di un tempo.
I
partiti, ai nostri tempi, sono diventati un po’ come squadre di calcio. Non ci
si aspetta che risolvano problemi, ma che si facciano sentire nel dibattito
pubblico. C’è quindi una tendenza alla spettacolarizzazione nella loro azione.
La gente
teme che tutto ciò che aveva conquistato possa essere a rischio: è quello che
Nicoletti definisce “paura dello
spossessamento di sé”. Così una parte della politica finisce per
idealizzare il passato in cui si aveva, anche a livello personale, il controllo
degli eventi. Ma il compito di una politica progressista
dovrebbe essere quello di immaginare il futuro verso cui stiamo andando e di
mobilitare i cittadini verso un domani
migliore. Questo sforzo, però, finora
non sta riuscendo, così risulta più convincente chi propone un ritorno al passato.
Osserva
che nelle realtà internazionali c’è un metodo di lavoro più rigoroso che nel
parlamento italiano: i politici di altri paesi sono più specializzati dei
nostri e acquisiscono maggiore competenza.
Durante il
suo servizio parlamentare ha partecipato ad incontri ad altissimo livello a
livello internazionale. L’ideale europeo
di unità nella diversità si realizza solo attraverso un grande rispetto per i
paesi e le culture. I politici devono fare uno sforzo di mettersi continuamente
nei panni dei loro interlocutori. Il declino del nostro continente è iniziato
con i nazionalismi, poi sfociati nel dramma della Seconda Guerra mondiale: il
peggior nemico dell’Europa è la divisione.
Gli
orientamenti dei paese dell’Europa orientale del cosiddetto Blocco di Visegràdi sono un problema. Dopo
il crollo del regime sovietico che li dominava, si sono buttati dapprima in un
capitalismo spietato; ora c’è stata una reazione nazionalistica.
Pensa che
dobbiamo tenerci stretto il valore della laicità della politica: i sentimenti
religiosi non devono essere strumentalizzati. E tuttavia l’Unione Europea nasce
dallo spirito dei valori cristiani; europeismo e tradizioni spirituali non sono affatto in contraddizione. Il
progetto dell’Unione ha sempre favorito la pace tra le nazioni. Osserva che se il nostro contenitore non sarà
l’Unione Europea, sarà qualche forma di impero: preferirebbe l’Unione perché,
con tutti i suoi limiti, gli sembra più democratica.
Il
contributo più significativo dei grandi
cattolici democratici alla politica ha riguardato la cultura giuridica:
Dossetti, Moro, Mortati, La Pira, Bachelet, furono tutti giuristi di prim’ordine. Purtroppo la tradizione dei giuristi
cattolici si è indebolita.
Chiesa e
associazioni dovrebbero essere più attrezzate riguardo alle dinamiche tecniche
della politica, bisognerebbe creare scuole
di formazione alla politica capaci
di andare in profondità. Ricorda che lo storico Pietro Scoppola sosteneva che la politica è una forma di lotta, per
cui serve anche oggi ritrovare una spiritualità
del combattimento, per discernere con sapienza tra il bene e il male, che spesso si annidano nelle sfumature delle
varie vicende. Per questo serve una
preparazione anche spirituale e bisogna istituire spazi di confronto tra
cristiani che seguono strade politiche diverse.
La storia
del cattolicesimo democratico insegna il rispetto: c’è bisogno di imparare a discutere di poliica senza mettere in dubbio la fede e le scelte
cristiane dell’altro.
La Dottrina sociale, poi, non va letta come
una sorta di vadecum, ma imparare a
confrontarsi con le Scritture, il pensiero dei Padri della Chiesa, i grandi
orizzonti del pensiero filosofico e teologico che ci sono dietro quei testi.