Padre Sandro Barlone
appunti di Mario Ardigò da una meditazione in preparazione alla Pasqua
2015 svolta nell’Università Gregoriana, il 28-3-15, per gli antichi membri del
“Gruppo giovani” della parrocchia di San Saba. Il testo non è stato rivisto
dall’autore e riflette la capacità di comprensione di chi lo ha ascoltato e
trascritto in appunti.
1. La lettura evangelica della
Messa della prima domenica di Quaresima,
tratta dal Vangelo di Marco (Mc 1,12-15), ci è stato presentato un breve
racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto.
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto
rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli
angeli lo servivano. Domo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea proclamando
il vangelo di Dio, e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete nel Vangelo”.
Nel brano si concentra l’attenzione sullo
Spirito. Qual è la funzione dello Spirito? Genera, spinge alla libertà.
La Quaresima
è un itinerario liberante.
Le penitenze che si fanno in tempo di
Quaresima hanno un significato, ma devono esser collegate allo Spirito di Dio
che conduce alla libertà, al soffio dello Spirito verso la libertà (così il
teologo Pierangelo Sequeri). Lo Spirito di Dio ci riscatta alla libertà, vuole
figli, non servi. Lo Spirito vuole l’uomo libero.
Gesù è la radice del nuovo popolo di Dio,
nella sua umanità, verso la libertà, nel deserto [cita una riflessione del
teologo Johann Baptist Metz sulle tentazioni di Gesù nel deserto].
Gesù assume una umanità come la nostra, che
viene vagliata nel deserto. Non è una
umanità mitico-magica: è vera umanità.
Dio interviene nella storia umana attraverso
l’umanità, che deve essere vagliata perché limitata.
Come deserto il popolo di Dio incontrò i
propri idoli, così anche Gesù incontrò quegli idoli dell’umanità. Si recupera
così l’armonia perduta nel paradiso originario.
Nel cammino verso la libertà si incontrano le
nostre prigionie.
C’è, ad esempio, l’idolo del potere, che può
consistere anche in un uso magico della religione.
Un esempio di potere è quello che si affida al
numero, al gruppo numeroso, a volte anche come forma di propaganda, per
dimostrare il successo di una spiritualità o di una ideologia.
In Quaresima il vento di libertà dello Spirito
incontra i nostri legami e le nostre prigionie. Bisogna incontrare gli ostacoli
che ognuno di noi porta dentro di sé.
Nel cammino verso la libertà occorre dare il
nome esatto alle cose e combattere le falsificazioni [cita il libro del gesuita
Giovanni Ladiana, Se anche tutti, io no.
La Chiesa e l’impegno per la giustizia, Laterza, 2015].
2. Nella Messa della seconda
domenica di Quaresima è stato proclamato il brano del Vangelo di Marco con
l’episodio della trasfigurazione (Mc 9,2-10)
In quel tempo Gesù prese con sé
Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro
soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti,
bianchissime: nessun lavandaio potrebbe renderle così bianche. E apparve loro
Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a
Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una
per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce:
“Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. E improvvisamente, guardandosi
attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano
dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se
non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra
loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Occorre portare le coscienze alla consapevolezza e
incontrare, oltre i propri limiti, il volto di Dio, come nella Trasfigurazione
si poté cogliere il volto autentico di Dio.
Dio non è una realtà occasionale.
Nell’episodio evangelico della Trasfigurazione, Mosè rappresenta
l’Alleanza, è colui che deve proporre le parole di Dio agli Israeliti, dopo
averle ricevute nella solitudine dell’incontro con Dio.
I profeti, impersonati da Elia, rappresentano la tradizione che risveglia la
coscienza degli Israeliti, perché non si acquieti nel ritualismo.
In Gesù tutte queste realtà di realizzano, nel
vero volto di Dio.
Lo spirito di Dio è quello che ci spinge e che
non ci fa arrestare a nessuna tappa. Ci vuole liberi in un rapporto liberante
con Dio.
Dopo Auschwitz è chiaro che la potenza degli
uomini non è la potenza di Dio. Invece, ad esempio, nell’ideologia su base
religiosa islamica dell’ISIS, lo Stato Islamico che sta espandendosi nella
regione del Vicino Oriente Siria orientale e Iraq settentrionale, vi è
l’immagine di una competizione tra dei, al mondo delle lotte di potere umane.
Ci sono incrostazioni che vanno rimosse sotto
l’azione dello Spirito. Occorre ripulire l’immagine di Dio da tutte queste
incrostazioni. Ad esempio: Dio è il più
grande, è vero, ma in che senso?
3. Nella Messa della terza domenica di Quaresima
ci è stato proposto il brano evangelico,
tratto dal Vangelo di Giovanni, della cacciata dei venditori dal Tempio (Gv
2,13-25).
Si avvicinava la Pasqua dei
Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi,
pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di
cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a
terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di
colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre
mio un mercato!”. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi
divorerà”. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci
mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e
in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è
stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma
egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i
suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla
Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua,
durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome.
Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno
che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è
nell’uomo.
A volte c’è un rapporto mercantile con Dio: facciamo il bene per ottenere
da lui una retribuzione. E’ per questo che seguiamo le regole religiose.
Perché abbiamo tanta paura di essere il
liberi? A volte si preferisce la prigionia di regole che sono storicamente
connotate alla libertà.
L’impostazione legale, l’osservanza delle regole per avere una
retribuzione, dà sicurezza. Ma la securizzazione impedisce di vedere la
libertà.
Non tutti vogliono essere liberi. La libertà
richiede un lavoro impegnativo. Allora nel deserto si sognano e si rimpiangono
i vantaggi della schiavitù.
Nel rapporto mercantile si cerca di convincere
qualcuno promettendogli un premio. Ma Dio è una presenza avvolgente e
rassicurante [cita di Benedetto 16°, Il Dio di Gesù Cristo. Meditazioni sul Dio
uno e trino, Queriana, 2011].
Nella cacciata dei venditori dal Tempio si può
vedere la condanna di Gesù di un rapporto mercantile, viziato, con Dio, per cui
ci si attende un premio per aver agito bene, secondo le regole. Ma, come si
insegna nella parabola del fariseo e il pubblicano, chi si comporta come il fariseo
non torna giustificato.
La libertà di Dio è disturbante. Non ci rende giusti nel senso
forense [cita gli esempi biblici di Abramo e di Giuseppe]. Giustizia è, in questa prospettiva, agire secondo ciò che Dio si attende da
noi. Per opera di Dio, il giusto vivrà
nella fede nonostante l’esperienza del limite.
4. Nella Messa della quarta
domenica di Quaresima si è proclamato il
brano evangelico, tratto dal Vangelo di Giovanni (Gv 3,14-21), in cui Gesù
insegna di non essere un giudice venuto per condannare il mondo, ma di essere
venuto per salvarlo.
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: “Come Gesù innalzò il serpente
nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché
chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto,
ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per
condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede
in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha
creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce
è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce,
perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce,
e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa
la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono
state fatte da Dio.
Nell’immagine biblica dell’Antico Testamento,
citata da Gesù, del serpente infisso su un’asta e innalzato, in modo che chi lo
guardava si salvasse, i Padri della Chiesa hanno visto l’immagine della morte
che viene uccisa, infissa su un’asta: la morte della morte. E’ la logica di
Gesù che sconfigge la morte. Quella invece del rispondere al male con il male
non salva. E’ il martirio che salva, la vera vittoria, il pronunciare il nome
di Gesù mentre si viene uccisi, come hanno fatto i prigionieri copti di bande
libiche affiliate allo Stato islamico in Libia. La Chiesa copta ne ha celebrato
il martirio con i colori della Pasqua, considerandoli santi, cioè persone
appartenenti a Dio. I copti, che
conservano molto forte il senso cristiano delle origini, ci hanno così
ricordato un’antica verità cristiana.
5. Nel brano evangelico letto
nella Messa della quinta domenica di Quaresima, tratto dal Vangelo di Giovanni
(Gv 12, 20-33), si è trattato dell’innalzamento di Gesù alla gloria.
In quel tempo, tra quelli che
erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi
si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono:
“Signore, vogliamo vedere Gesù”. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e
Filippo Andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: “E’ venuta l’ora che il
Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco
di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce
molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in
questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi
segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il
Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami
da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica
il tuo nome”. Venne una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò
ancora!”. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un
tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Disse Gesù: “Questa voce non
è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe
di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra,
attirerò tutti a me”. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
Il concetto di gloria richiama l’idea di
essere innalzato ad un luogo elevato, dove c’è un trono. Nella prospettiva
dell’evangelista Giovanni l’innalzamento è la crocifissione, anche se non
utilizza il termine “crocifissione”. Giovanni utilizza il concetto di
glorificazione fin dal prologo del suo Vangelo. Nella glorificazione Dio ci
apparirà senza ombra di opacità. Nella morte e resurrezione Gesù si ha la
massima manifestazione di Dio, la sua glorificazione. La glorificazione, nella
visione cristiana, è preceduta da una
discesa (mentre l’ascesi è concepita
come una salita): il mondo non è da buttare.
E’ nel mondo che si gioca la realtà di Dio.
Contro i pericoli dello spiritualismo, la
manifestazione di Dio è nell’umanità di Dio. Proprio nella sconfitta umana,
nella Croce, Dio ci libera: egli è
Padre, non giudice, non ci schiavizza.
Nella parabola del Figliol prodigo, il figlio
più piccolo ha un’immagine sbagliata del padre, centrata sul rapporto
servo-padrone, finché, tornando, non incontra l’abbraccio del padre, che va
verso di lui, prende l’iniziativa. E’ Dio che per primo riallaccia il dialogo.
Anche nel figlio più grande della parabola,
quello che è rimasto vicino al padre, c’è la medesima immagine sbagliata del
padre, basata su un rapporto mercantile.
A volte si preferisce una religione da schiavi
invece che da figli. Anche nella Chiesa di oggi vi sono sacche di resistenza in
cui la si concepisce in questo modo. Si preferisce lo schema in cui c’è chi
comanda e chi obbedisce.
Il Papa, ad esempio, è ancora giuridicamente
un sovrano, ma questa è una contingenza storica.
Paolo 6° benedisse la fine del potere temporale dei papi, perché gli
aveva consentito di chiamare figli quelli che avrebbe chiamato sudditi.
Il papa è innanzi tutto un pastore: tutte le
altre immagini del papa sono falsificanti, anche se hanno potuto avere una loro
necessità storica.
Il compito del pastore è di confermare nella
fede, che significa rendere nella fede.
E i cardinali, come tutti gli altri organi
della Santa sede, non hanno autorità propria, ma derivata, sono in sostanza da
esperti al servizio del papa-pastore. Si dice infatti che essi sono creati dal papa.
Anche nella Chiesa è necessario disincrostare diverse immagini
falsificanti.
6. In conclusione: siamo chiamati
alla libertà. Ad essere liberi da e
ad essere liberi per.
L’unico signore è Gesù e noi siamo chiamati a
mettere in gioco le nostre vite in una diaconia, in un servizio.
Siamo chiamati alla libertà per vedere il
volto di Dio.