Ripubblico, per fare memoria di un nostro difficile passato e per dovere di resistenza, ora e sempre come si dice. Lo spirito sinodale finisce dove si fa questione di fondamentali: a quel punto, se non si riesce ad arrivare ad una condivisione, si ha il dovere di dividersi, in attesa che i tempi maturino, come sempre è avvenuto nella travagliata storia della nostra Chiesa. I costumi democratici consentono di farlo senza tragedie, a differenza di quanto accadde nel nostro tremendo passato.
Né ci si deve stupire che ciclicamente
occorra rinverdire la tradizione di principi ormai risalenti nel tempo, come
quelli che vennero deliberati nel corso della riforma decisa durante il
Concilio Vaticano 2° negli scorsi anni Sessanta. E’ un dovere che va adempiuto
di generazione in generazione e in cui possono svolgere un ruolo importante gli
anziani che hanno mantenuto memoria viva del passato.
L’obbedienza, come scrisse Lorenzo Milani, grande anima, non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni. In
coda ripubblico il suo articolo in tema la Lettera
ai giudici, del 1965, qualche giorno prima della chiusura del Concilio Vaticano
2°, che contiene, appunto quell’insegnamento:
«A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a
certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà
solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non
è mai avvenuto perché non ha autore.
C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco
di parole. Avere il coraggio di dire ai
giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una
virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far
scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano
ognuno l'unico responsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di
aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al
suo progresso tecnico.»]
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro Valli
Dialogo e obbedienza
14-1-15
Ai tempi nostri le divergenze tra tendenze conciliari e reazionarie nelle cose
della nostra fede vengono talvolta rappresentate nell’opposizione tra dialogo,
che caratterizzerebbe le prime, e obbedienza, che sarebbe propria delle
seconde.
Per i reazionari la fede che dialoga è
disobbediente. Meno parole e più fatti, dicono.
Per i conciliari si dialoga per obbedienza di
fede.
Può sembrare strano che i seguaci di un
Maestro che è presentato nei nostri scritti sacri come continuamente
dialogante, fin sul patibolo e alcuni istanti prima di morire e poi anche
successivamente, possano avere dubbi sul metodo dialogico. Egli è anche detto
il Verbo, la Parola. Ma la parola è sempre rivolta a qualcuno e attende una
risposta.
Che cos’è una fede senza la parola, senza il
dialogo tra le persone? La possiamo vedere rappresentata nelle statuine del
presepe. Anche nei presepi viventi, in genere, ai figuranti si nega
la parola. Non è accaduto così, però, nel nostro
presepe vivente di Ac, che trovate
descritto nel post del 23 dicembre
scorso. Lì, costruendo un presepe nella sala in cui ci riuniamo, abbiamo preso
la parola e costruito gli elementi un dialogo. La sceneggiatura era stata ideata da Lorenzo Daniele, ispirato
da tutta una lunga vita di fede. E’ stato veramente un presepe vivente.
Si dialoga come forma di carità religiosa, si
è detto, e quest’ultima, nella nostra fede, è legge. Com’è che è diventato così difficile comprenderlo?
In realtà è la fatica e il rischio del dialogo
che fanno paura. Dialogare significa aprirsi veramente agli altri e allora gli
altri, accettando il dialogo, ci possono
porre problemi difficili da risolvere. E se poi non avessimo tutte le risposte
che servono? Ma noi non siamo propagandisti del sacro, venditori porta a porta della fede. Non è che
giriamo portandoci appresso le risposte a tutte le domande che ci possono
essere poste. Non dobbiamo, penso, avere la presunzione di avere, noi, la
risposta a tutte le domande. E nemmeno dobbiamo avere paura delle domande degli
altri. Altrimenti iniziare un dialogo è impossibile.
Ricordate l’omelia di mons. Domenico Sigalini,
il quale per tanti anni ha svolto il suo ministero in Azione Cattolica, che ho
citato qualche giorno fa?
Non è scritto per nessun cristiano
il Libro delle Giovani Marmotte. Non so se avete letto Paperino.
Quando mancava Paperino, non sapevano che fare quelle oche lì;
allora c'era un libro nel quale andavano a leggersi come fare un uovo fritto,
lo prendi così, lo spacchi cosà, come fanno i vostri mariti quando non ci siete
voi a casa. Telefonano "Come faccio a fare questo?", eh?
Il Libro delle Giovani Marmotte, dove c'è scritto tutto quello che
devi fare quando manca il capo. Non abbiamo il Libro delle Giovani Marmotte perché
manca Gesù, dove c'è scritto tutto, già definito, tutto quello che si deve
fare. Quante volte voi mamme e papà avete dovuto tribolare per decidere cosa
fare nella vostra famiglia, pur essendo cristiani, pur sapendo il Vangelo, pur
sapendo tutti i Comandamenti! Perché la nostra vita non è mai all'altezza del
Vangelo, se non c'è lo Spirito Santo che ci illumina. "Prendi questa
decisione!", "Prendi quest'altra". Siamo sempre aperti, non
abbiate in tasca nessuno la verità! La verità è sempre Gesù ed è lo Spirito
Santo, che ci aiuta ad essere più docili. C'è solo lo Spirito Santo. La nostra
docilità e la nostra umanità, affidata tutta a Dio e soltanto a Dio.
[dall’omelia svolta da monsignor Domenico Sigalini, vescovo di
Palestrina, nel corso della Messa di Pentecoste, l'8-6-14, presso il Centro
dello Spirito Santo – Palestrina]
Si parla molto, tra noi,
di Parola, con l’iniziale maiuscola, intendendo quella che ci viene dall’alto.
Ma noi non la possediamo quella
Parola, la scopriamo nella nostra
vita. Questa è la mia esperienza, ma, come ho letto, è quella anche di persone
molto più sapienti di me nelle cose di fede. Noi scopriamo la Parola dialogando,
proprio come vediamo fare nei nostri scritti sacri.
Senza il dialogo, come
distinguere la Parola, quella che effettivamente ci è donata dall’alto, dalle
tante altre parole che circolano in società? Ed è proprio questo il problema
che talvolta si pone in materia di obbedienza.
Ci sono quelli che ci vogliono imporre la propria obbedienza, ma si deve sempre
capire se è alla loro volontà che ci si deve conformare o a quella del
fondamento di tutto. Uno dei criteri che ho sempre ritenuto validi in merito è
questo: non obbedire a chi ci vorrebbe trasformare in statuine del presepe, a
chi ci vorrebbe togliere la parola.
Che cosa succederebbe se
un predicatore venisse tra noi e cominciasse a parlarci di fede in aramaico,
l’antica lingua parlata dal Maestro? Non credo che in Italia, salvo alcuni
specialisti della materia, ci sarebbero molti a poter capire. Eppure, forse, le
parole sarebbero quelle giuste, ma non servirebbero a produrre un dialogo e il
miracolo della trasmissione della fede. I saggi del Concilio ci dicono che le
parole della fede vanno adattate agli interlocutori. Ci sono però quelli a cui
sembra piacere parlare in aramaico,
non farsi capire, e così tagliare corto con il dialogo. Uno dovrebbe rimanere
avvinto dalla loro testimonianza muta
di fede. Dovremmo contemplare, come in un presepe, le meraviglie della loro
vita e decidere di fare come loro. Loro non ci daranno tante spiegazioni e non
risponderanno alle nostre domande. Stare tra loro sarà allora come quando si va
tra stranieri e non si riesce a capire quello che dicono. Si cerca di intuire
come la pensano da ciò che fanno, ma è una grande sofferenza fino a quando non
si comincia ad avere le basi della loro lingua e allora si può parlare con loro, aprire un dialogo. Oppure sarà come quando si vede un film muto, senza
sottotitoli o con i sottotitoli in
un’altra lingua. Nella mia esperienza la
vita di fede non è mai stata un film muto, ma è stata fatta di gente che ha
accettato di parlare con me, pur non avendo tutte le risposte alle mie domande.
Per questo non mi rassegno all’obbedienza muta.
Ma è poi proprio questo che ci chiede la fede religiosa? Tanti nostri saggi ci
dicono di no.
Obbedienza cieca e assoluta fu il motto del fascismo storico
italiano, ma una teologia dell’obbedienza cieca e assoluta gerarchica fu costruita
anche nelle cose di fede, nel secondo millennio, quello dell’impero religioso. Ma la nostra fede, credo di aver capito, non
è né cieca né muta. “Venite e vedrete”
è la Parola che è risuonata nel brano evangelico su cui ieri abbiamo meditato
ed essa è stata pronunciata rivolgendosi a precisi interlocutori, nel corso di
un dialogo introdotto dalla frase “Che
cosa cercate?”. Su questo ieri abbiamo molto dialogato nel nostro gruppo di Ac, per capire il senso di quella
Parola. Noi, in religione, non siamo
obbligati a diventare statuine del presepio.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli
***************************************
Lettera ai giudici
Barbiana 18-10-1965
[Nel 1965 uscì L’obbedienza non è più
una virtù, con i documenti sul processo nato in seguito a una vivace
polemica giornalistica sull’obiezione di coscienza. Don Milani era stato
incriminato in seguito alla pubblicazione di una lettera in difesa degli
obiettore di coscienza, che egli aveva ritenuto offesi dai cappellani militari
ed ex cappellani militari della Toscana.
Nel 1966, don Milani e Luca Pavolini,
direttore responsabile del periodico “Rinascita”, che aveva pubblicato la
lettera del sacerdote, vennero assolti perché “il fatto non costituisce
reato”.
Nel 1967, in maggio, uscirono le prime copie
di “Lettera
a una professoressa”; il 26 giugno don Lorenzo Milani moriva nella casa
della madre a Firenze e veniva successivamente sepolto nel piccolo cimitero di
Barbiana; il 28 ottobre, in appello, Luca Pavolini venne condannato, mentre per
don Milani i giudici affermavano che “il reato è estinto per morte del reo”.]
Barbiana 18 ottobre 1965
Signori
Giudici,
vi
metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà
infatti facile ch'io possa venire a Roma perché sono da tempo malato. Allego un
certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza. La malattia è
l'unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi di
Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato.
E questa è proprio l'accusa che mi si fa in questo processo.
Ma
essa non è fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo per me. Vi
spiegherò anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della
legge e il rispetto per i tribunali degli uomini.
Una
precisazione a proposito del difensore. Le cose che ho voluto dire con la
lettera incriminata toccano da vicino la mia persona di maestro e di sacerdote.
In queste due vesti so parlare da me. Avevo perciò chiesto al mio difensore
d'ufficio di non prendere la parola. Ma egli mi ha spiegato che non me lo può
promettere né come avvocato né come uomo. Ho capito le sue ragioni e non ho
insistito.
Un'altra
precisazione a proposito della rivista che è coimputata per avermi gentilmente
ospitato. Io avevo diffuso per conto mio la lettera incriminata fin dal 23
Febbraio. Solo successivamente (6 Marzo) l'ha ripubblicata Rinascita e
poi altri giornali.
È
dunque per motivi procedurali cioè del tutto casuali ch'io trovo incriminata
con me una rivista comunista. Non ci troverei nulla da ridire se si trattasse
d'altri argomenti. Ma essa non meritava l'onore d'essere fatta bandiera di idee
che non le si addicono come la libertà di coscienza e la non violenza. Il fatto
non giova alla chiarezza cioè all'educazione dei giovani che guardano a questo
processo.
Verrò
ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di scrivere la lettera incriminata.
Ma vi occorrerà prima sapere come mai oltre che parroco io sia anche maestro.
La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola
elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta
semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che
avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo
religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero
consiste in una scuola. Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo
orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i
ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e
cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che
quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico.
La
questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire
il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con
me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la
posta. Scriviamo insieme.
COME MAESTRO
Il motivo occasionale
Eravamo
come sempre insieme quando un amico ci portò il ritaglio di un giornale. Si
presentava come un "Comunicato dei cappellani militari in congedo della
regione toscana". Più tardi abbiamo saputo che già questa dizione è
scorretta. Solo 20 di essi erano presenti alla riunione su un totale di 120.
Non ho potuto appurare quanti fossero stati avvertiti. Personalmente ne conosco
uno solo: don Vittorio Vacchiano pievano di Vicchio. Mi ha dichiarato che non è
stato invitato e che è sdegnato della sostanza e della forma del comunicato. Il
testo è infatti gratuitamente provocatorio. Basti pensare alla parola
"espressione di viltà".
Il
prof. Giorgio Peyrot dell'Università di Roma sta curando la raccolta di tutte
le sentenze contro obiettori italiani.
Mi
dice che dalla liberazione in qua ne son state pronunciate più di 200. Di 186
ha notizia sicura, di 100 il testo. Mi assicura che in nessuna ha trovato la
parola viltà o altra equivalente. In alcune anzi ha trovato espressioni di
rispetto per la figura morale dell'imputato. Per esempio: "Da tutto il
comportamento dell'imputato si deve ritenere che egli sia incorso nei rigori
della legge per amor di fede" (2 sentenze del T.M.T. di Torino 19 Dicembre
1963 imputato Scherillo, 3 Giugno 1964 imputato Fiorenza). In tre sentenze del
T.M.T. di Verona ha trovato il riconoscimento del motivo di particolare valore
morale e sociale (19 Ottobre 1953 imputato Valente, 11 Gennaio 1957 imputato
Perotto, 7 Maggio 1957 imputato Perotto). Allego il testo completo dei
risultati della ricerca che il prof. Peyrot ha avuto la bontà di fare per me.
Ora
io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di sacerdote
e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un
carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un
ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano
già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una
lezione di vita.
Dovevo
ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà di
parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al
vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
Su
una parete della nostra scuola c'è scritto grande "I care". È il
motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta
a cuore". È il contrario esatto del motto fascista "Me ne
frego".
Quando
quel comunicato era arrivato a noi era già vecchio di una settimana. Si seppe
che né le autorità civili, né quelle religiose avevano reagito. Allora abbiamo
reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione né
vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha perciò il
diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l'unica ricreazione
che concedo ai miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia
(umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati
cento anni di storia italiana in cerca d'una "guerra giusta". D'una
guerra cioè che fosse in regola con l'articolo 11 della Costituzione. Non è
colpa nostra se non l'abbiamo trovata. Da quel giorno a oggi abbiamo avuto
molti dispiaceri:
Ci
sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo
con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con
"interviste" piene di falsità. Da altri con incredibili illazioni
tratte da quelle "interviste" senza curarsi di controllarne la
serietà. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero
14-4-1965). La nostra lettera è stata incriminata. Ci è stato però di conforto
tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente
in carcere per un ideale. Così diversi dai milioni di giovani che affollano gli
stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che
seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di
politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di religione
all'Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il
comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di
essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l'automobile. Non toccava a lui
chiamare "vili e estranei al comandamento cristiano dell'amore" quei
31 giovani.
I
miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui. E ciò nonostante non
voglio che vengano su anarchici.
Il motivo profondo
A
questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola. E
siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono
accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque
accordarci su ciò che è scuola buona.
La
scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che
è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve
averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di
rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo
somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il
senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia
del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che
ancora non son tutte giuste. Son vivi in Italia dei magistrati che in passato
han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a
questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a
progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché,
in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico.
Il
ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti
sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato
nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro nostro
superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E allora il
maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i "segni dei
tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno
chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è dunque in
qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo
condannate attenterete al progresso legislativo. In quanto alla loro vita di
giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo
d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno
tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste
(cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono
giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi
perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La
Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di
queste due leve del potere è influire con la parola e con l'esempio sugli altri
votanti e scioperanti. E quando è l'ora non c'è scuola più grande che pagare di
persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza
che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio la
nostra lettera sul banco dell'imputato e è scuola la testimonianza di quei 31
giovani che sono a Gaeta.
Chi
paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge
più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l'anarchico.
Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto.
Questa
tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai ragazzi
mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del
Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del
pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto
con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo
migliore. L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di
cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa. Severamente
ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al
presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina.
Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime! Del resto
ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi
cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su
conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.
Ma è poi reato?
Vi
ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata costituisse
reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente. Vi ho fatto notare
che togliendomi questa libertà attentereste alla scuola cioè al progresso
legislativo.
Ma
è poi reato?
L'Assemblea
Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta Costituzionale
"al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte
conquiste morali e sociali". (ordine del giorno approvato all'unanimità
nella seduta dell'11 Dicembre 1947). Una di queste conquiste morali e sociali è
l'articolo 11: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli". Voi giuristi dite che le leggi si
riferiscono solo al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola ripudia
è molto più ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro. È un invito
a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la insegnavano a noi e
il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano ancora.
Mi
scuserete se su questo punto mi devo dilungare, ma il Pubblico Ministero ha
interpretato come apologia della disobbedienza una lettera che è una scorsa su
cento anni di storia alla luce del verbo ripudia. È dalla premessa di come
si giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o no obbedire nelle guerre
future. Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni, ci
avevano così bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci
ingannavano perché erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci,
ma avevano paura. I più erano forse solo dei superficiali.
A
sentir loro tutte le guerre erano "per la Patria". Esaminiamo ora
quattro tipi di guerra che "per la Patria" non erano. I nostri
maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli
eserciti marciano agli ordini della classe dominante. In Italia fino al 1880
aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel
1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare.
Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno, ma
arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi di
diritto il suffragio è universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci
avvertiva nel '47 con sconcertante sincerità che i lavoratori erano di fatto
esclusi dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta la revisione di
quell'articolo è lecito pensare (e io lo penso) che esso descriva una
situazione non ancora superata. Allora è ufficialmente riconosciuto che i
contadini e gli operai, cioè la gran massa del popolo italiano, non è mai stata
al potere. Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe
ristretta.
Del
resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva è compensato con 93.000
al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri,
essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono
serviti da un attendente figlio dei poveri. Allora l'esercito non ha mai o
quasi mai rappresentato la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza.
Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la
Patria?
Forse
quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo quello di Napoleone
in Russia.
Forse
l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l'esercito inglese a Suez.
Forse
l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l'esercito russo in Polonia.
Forse
l'esercito italiano al Piave. Ma non certo l'esercito italiano il 24 Maggio.
Ho
a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a
Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno
cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. Non posso non avvertire i miei
ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto soffrire in guerra per
difendere gli interessi di una classe ristretta (di cui non facevano nemmeno
parte!) non gli interessi della Patria.
Anche
la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si
adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se
anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l'idolo buono (la Patria),
certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l'idolo cattivo (le
speculazioni degli industriali). Dar la vita per nulla è peggio ancora. I
nostri maestri non ci dissero che nel '66 l'Austria ci aveva offerto il Veneto
gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo. Che è mostruoso andare a
morire e uccidere senza scopo.
Se
ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com'è complessa la verità. Come
anche quella guerra, come ogni guerra, era composita dell'entusiasmo eroico di
alcuni, dello sdegno eroico di altri, della delinquenza di altri ancora.
Lo
dico perché alcuni mi accusan di aver mancato di rispetto ai caduti. Non è
vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questo mi parrebbe
di offenderle se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si è messo in salvo.
Per
esempio quel re che scappò a Brindisi con Badoglio e molti generali e nella
fretta si dimenticò perfino di lasciar gli ordini.
Del
resto il rispetto per i morti non può farmi dimenticare i miei figlioli vivi.
Io non voglio che essi facciano quella tragica fine. Se un giorno sapranno
offrire la loro vita in sacrificio ne sarò orgoglioso, ma che sia per la causa
di Dio e dei poveri, non per il signor Savoia o il signor Krupp.
Bisognerà
ricordare anche le guerre per allargare i confini oltre il territorio
nazionale.
Ci
sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono lettere patetiche per dirmi
che prima di pronunciare il nome santo di Battisti devo sciacquarmi la bocca.
È
perché i nostri maestri ce l'avevano presentato come un eroe fascista. Si erano
dimenticati di dirci che era un socialista. Che se fosse stato vivo il 4
novembre quando gli italiani entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato. Non
avrebbe mosso un passo di là da Salorno per lo stessissimo motivo per cui
quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci di qua da
Salorno e s'era buttato disertore, come dico appunto nella mia lettera.
"Riterremmo
stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano" (Scritti politici di
Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97). "Certi italiani confondono troppo
facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono i confini d'Italia
estesi fino al Brennero" (ivi).
Sotto
il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata. E non solo sui
libri, ma perfino sul paesaggio. L'Alto Adige, dove nessun soldato italiano era
mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra finti (Colle Isarco, Passo Resia, S.
Candido) con caduti veri disseppelliti a Caporetto.
Parlo
di confini per chi crede ancora, come credeva Battisti, che i confini debbano
tagliare preciso tra nazione e nazione. Non certo per dar soddisfazione a quei
nazisti da museo che sparano a carabinieri di 20 anni.
In
quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati.
Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i nostri paletti di
confine sono stati sempre in viaggio. E ciò che seguita a cambiar di posto
secondo il capriccio delle fortune militari non può essere dogma di fede né
civile né religiosa.
Ci
presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi.
Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci
che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne
con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto
nulla.
Quella
scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre
anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di
Mussolini. Anzi, per essere più precisi, obbedienti agli ordini di Hitler.
Cinquanta milioni di morti.
E
dopo esser stato così volgarmente mistificato dai miei maestri quando avevo 13
anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli di 13 anni che amo,
vorreste che non sentissi l'obbligo non solo morale (come dicevo nella prima
parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare tutto, compresa
l'obbedienza militare come ce la insegnavano allora?
Perseguite
i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da allora a oggi non
hanno più studiato né pensato, non me.Abbiamo voluto scrivere questa lettera
senza l'aiuto d'un giurista. Ma a scuola una copia dei Codici l'abbiamo. Nel
testo stesso dell'art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza all'art. 51 del c.p.
abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando l'atto comandato è
manifestamente delittuoso. Che l'ordine deve avere un minimo d'apparenza di
legittimità. Una sentenza del T.S.M. condanna un soldato che ha obbedito a un
ordine di strage di civili (13-12-1949 imputato Strauch).
Allora
anche il Vostro ordinamento riconosce che perfino il soldato ha una coscienza e
deve saperla usare quando è l'ora. Come potrebbe avere un minimo di parvenza di
legittimità una decimazione, una rappresaglia su ostaggi, la deportazione degli
ebrei, la tortura, una guerra coloniale? Oppure, può avere un minimo di
parvenza di legittimità un atto condannato dagli accordi internazionali che
l'Italia ha sottoscritto?
Il
nostro Arcivescovo Card. Florit ha scritto che "è praticamente impossibile
all'individuo singolo valutare i molteplici aspetti relativi alla moralità
degli ordini che riceve" (Lettera al Clero 14-4-1965). Certo non voleva
riferirsi all'ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche di uccidere i
loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi
soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936). E
neppure all'uso dei gas.
Che
gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è un fatto su cui è inutile chiuder
gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato dall'Italia il
3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul Tacazzé. L'Enciclopedia
Britannica lo dà per pacifico. Lo denunciano oramai anche i giornali
cattolici (L'Avvenire d'Italia articoli di Angelo del Boca dal 13-5-1965
al 15-7-1965). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani:
"autorizzo impiego gas" (telegramma numero 12409 del 27-10-1935) di
Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie
e su qualunque scala" (29-3-1936). Hailè Selassiè l'ha confermato
autorevolmente e circostanziatamente (intervista per l'Espresso
29-9-1965 e sg.). Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano
barili d'iprite sono criminali di guerra e non son ancora stati processati.
Son
processato invece io perché ho scritto una lettera che molti considerano
nobile. (carissime fra le tante le lettere di affettuosa solidarietà delle
Commissioni Interne delle principali fabbriche fiorentine, quelle dei dirigenti
e attivisti della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L. di Firenze e quella dei
Valdesi).
Che
idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine? Oggi poi le convenzioni
internazionali son state accolte nella Costituzione (art. 10). Ai miei
montanari insegno a avere più in onore la Costituzione e i patti che la loro
Patria ha firmato che gli ordini opposti d'un generale.
Io
non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no bruciar
vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon senso
dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono talvolta
i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e ci han
regalato il fascismo e le sue guerre.
A
Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito.
L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c'è una legge
che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è
scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la chiama legge di Dio,
l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né
nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza malata. Sono i cultori
dell'obbedienza cieca.
Condannare
la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che essi non
devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi, che i loro delitti
li pagherà chi li avrà comandati.
E
invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che vede
ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele, rifiuta di
prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare quello che ha
fatto quand'era "un bravo ragazzo, un soldato disciplinato" (secondo
la definizione dei suoi superiori) "un povero imbecille
irresponsabile" (secondo la definizione che dà lui di sé ora). (carteggio
di Claude Eatherly e GŸnter Anders - Einaudi 1962).
Ho
poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che anche
voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo
conosce sotto forma di proverbio: "Tant'è ladro chi ruba che chi para il
sacco".
Quando
si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio il
mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono che
la responsabilità non si divide per due. Un delitto come quello di Hiroshima ha
richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati,
tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza
fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso
ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi.
E
così siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una
randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie
il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e
non si pente.
A
dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi,
dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era
irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non
ha autore.
C'è
un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per
cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni,
che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio,
che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto. A questo patto
l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale
parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico.
COME SACERDOTE
Fin
qui ho parlato come un cittadino e un maestro che crede con la sua scuola e la
sua lettera di aver reso un servizio alla società civile, non di aver compiuto
un reato.
Ma
poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato.
Quest'accusa
se fatta a me solo e non anche a tutti i miei confratelli mette in dubbio la
mia ortodossia di cattolico e di sacerdote. Sembrerà infatti che condanniate le
idee personali di un prete strano. Ma io son parte viva della Chiesa anzi suo
ministro. Se avessi detto cose estranee al suo insegnamento essa mi avrebbe
condannato. Non l'ha fatto perché la mia lettera dice cose elementari di
dottrina cristiana che tutti i preti insegnano da 2000 anni. Se ho commesso
reato perseguiteci tutti.
Ho
evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. Ho tentato
di educare i miei ragazzi così. Li ho indirizzati per quanto ho potuto verso i
sindacati (le uniche organizzazioni che applichino su larga scala le tecniche
non-violente). Ma la non-violenza non è ancora la dottrina ufficiale di tutta la
Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza sulla legge dello Stato
lo è certamente. Mi sarà facile dimostrarvi che nella mia lettera ho parlato da
cattolico integrale, anzi spesso da cattolico conservatore.
Cominciamo
dalla storia.
La
storia d'Italia fino al 1929 nella mia lettera è identica a come la
raccontavano i preti in seminario prima di quella data. Il mio vecchio parroco
mi diceva che La Squilla, il giornale cattolico di Firenze, aveva in
vetta e in fondo uno striscione nero. Portava il lutto del Risorgimento! In
quanto alla storia più recente cioè al giudizio sulle guerre fasciste, può
anche darsi che qualche mio confratello sia intimamente un nostalgico, ma è
notorio che la gran maggioranza dei preti sostiene un partito democratico che
fu il principale autore della Costituzione (dunque anche della parola ripudia).
Veniamo
alla dottrina.
La
dottrina del primato della legge di Dio sulla legge degli uomini è condivisa,
anzi glorificata, da tutta la Chiesa. Non andrò a cercare teologi moderni e
difficili per dimostrarlo. Si può domandarlo a un bambino che si prepara alla
Prima Comunione: "Se il padre o la madre comanda una cosa cattiva bisogna
obbedirlo? I martiri disobbedirono alle leggi dello Stato. Fecero bene o
male?". C'è chi cita a sproposito il detto di S. Pietro: "Obbedite ai
vostri superiori anche se son cattivi". Infatti. Non ha nessuna importanza
se chi comanda è personalmente buono o cattivo. Delle sue azioni
risponderà lui davanti a Dio. Ha però importanza se ci comanda cose buone o
cattive perché delle nostre azioni risponderemo noi davanti a Dio.
Tant'è vero che Pietro scriveva quelle sagge raccomandazioni all'obbedienza dal
carcere dove era chiuso per aver solennemente disobbedito.
Il
Concilio di Trento è esplicito su questo punto (Catechismo III parte, IV
precetto, 16¡ paragrafo): "Se le autorità politiche comanderanno
qualcosa di iniquo non sono assolutamente da ascoltare. Nello spiegare questa
cosa al popolo il parroco faccia notare che premio grande e proporzionato è riservato
in cielo a coloro che obbediscono a questo precetto divino" cioè di
disobbedire allo Stato!
Certi
cattolici di estrema destra (forse gli stessi che mi hanno denunciato) ammirano
la Mostra della Chiesa del Silenzio. Quella mostra è l'esaltazione di cittadini
che per motivo di coscienza si ribellano allo Stato. Allora anche i miei
superficialissimi accusatori la pensan come me. Hanno il solo difetto di
ricordarsi di quella legge eterna quando lo Stato è comunista e le vittime son
cattoliche e di dimenticarla nei casi (come in Spagna) dove lo Stato si
dichiara cattolico e le vittime sono comuniste.
Son
cose penose, ma le ho ricordate per mostrarvi che su questo punto l'arco dei
cattolici che la pensano come me è completo.
Tutti
sanno che la Chiesa onora i suoi martiri. Poco lontano dal vostro Tribunale
essa ha eretto una basilica per onorare l'umile pescatore che ha pagato con la
vita il contrasto fra la sua coscienza e l'ordinamento vigente. S. Pietro era
un "cattivo cittadino". I vostri predecessori del Tribunale di Roma
non ebbero tutti i torti a condannarlo.
Eppure
essi non erano intolleranti verso le religioni. Avevano costruito a Roma i
templi di tutti gli dei e avevano cura di offrir sacrifici ad ogni altare.
In
una sola religione il loro profondo senso del diritto ravvisò un pericolo
mortale per le loro istituzioni. Quella il cui primo comandamento dice:
"Io sono un Dio geloso. Non avere altro Dio fuori che me". A quei
tempi pareva dunque inevitabile che i buoni ebrei e i buoni cristiani paressero
cattivi cittadini.
Poi
le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei
laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Così va
diventando ogni giorno più facile per noi esser riconosciuti buoni cittadini.
Ma è per coincidenza e non per sua natura che questo avviene. Non
meravigliatevi dunque se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi degli
uomini. Miglioriamole ancora e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho detto che
come maestro civile sto dando una mano anch'io a migliorarle. Perché io ho
fiducia nelle leggi degli uomini. Nel breve corso della mia vita mi pare che
abbiano progredito a vista d'occhio.
Condannano
oggi tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la pena di morte,
l'assolutismo, la monarchia, la censura, le colonie, il razzismo, l'inferiorità
della donna, la prostituzione, il lavoro dei ragazzi. Onorano lo sciopero, i
sindacati, i partiti.
Tutto
questo è un irreversibile avvicinarsi alla legge di Dio. Già oggi la
coincidenza è così grande che normalmente un buon cristiano può passare anche
l'intera vita senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una legge
dello Stato.
Io
per esempio fino a questo momento sono incensurato. E spero di esserlo anche
alla fine di questo processo. È un augurio che faccio ai patrioti. Chissà come
patirebbero se potessero leggere le tante lettere che ricevo dall'estero. Da
paesi che non hanno il servizio di leva o riconoscono l'obiezione. Quelli che
le scrivono sono convinti di scrivere a un paese di selvaggi. Qualcuno mi
domanda quanto dovrà ancora stare in prigione il povero padre Balducci.
Dicevamo
dunque che oggi le nostre due leggi quasi coincidono. Ci sono però dei casi
eccezionali nei quali vige l'antica divergenza e l'antico comandamento della
Chiesa di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.
Ho
elencato nella lettera incriminata alcuni di questi casi. Posso aggiungere
altre considerazioni. Cominciamo dall'obiezione di coscienza in senso stretto.
Proprio
in questi giorni ho avuto conforto dalla Chiesa anche su questo punto
specifico. Il Concilio invita i legislatori a avere rispetto (respicere)
per coloro i quali "o per testimoniare della mitezza cristiana, o per
reverenza alla vita, o per orrore di esercitare qualsiasi violenza, ricusano
per motivo di coscienza o il servizio militare o alcuni singoli atti di immane
crudeltà cui conduce la guerra".
(Schema
13 paragrafo 101. Questo è il testo proposto dalla apposita Commissione la
quale rispecchia tutte le correnti del Concilio. Ha quindi tutte le probabilità
d'essere quello definitivo).
Quei
20 militari di Firenze han detto che l'obiettore è un vile. Io ho detto
soltanto che forse è un profeta. Mi pare che i Vescovi stiano dicendo molto più
di me.
Ricorderò
altri tre fatti sintomatici.
Nel
'18 i seminaristi reduci di guerra, se vollero diventare preti, dovettero
chiedere alla Santa Sede una sanatoria per le irregolarità canoniche in cui
potevano essere incorsi nell'obbedire ai loro ufficiali.
Nel
'29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare i seminaristi, i preti, i
vescovi dal servizio militare. Il canone 141 proibisce ai chierici di andare
volontari a meno che lo facciano per sortirne prima (ut citius liberi
evadant)! Chi disobbedisce è automaticamente ridotto allo stato laicale. La
Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa per un sacerdote l'attività
militare presa nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue luci. Quella che lo
Stato onora con medaglie e monumenti.
E
infine affrontiamo il problema più cocente delle ultime guerre e di quelle
future: l'uccisione dei civili.
La
Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a meno
che la cosa avvenisse incidentalmente cioè nel tentare di colpire un obiettivo
militare. Ora abbiamo letto a scuola su segnalazione del Giorno un
articolo del premio Nobel Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists,
aprile 1964).
Dice
che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari (si
poteva ancora sostenere che i civili erano morti "incidentalmente").
Nella
seconda 48% civili 52% militari (non si poteva più sostenere che i civili
fossero morti "incidentalmente").
In
quella di Corea 84% civili 16% militari (si può ormai sostenere che i militari
muoiono "incidentalmente").
Sappiamo
tutti che i generali studiano la strategia d'oggi con l'unità di misura del
megadeath (un milione di morti) cioè che le armi attuali mirano direttamente
ai civili e che si salveranno forse solo i militari.
Che
io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente (si
può ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del genere il
cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare
coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà partecipare
nemmeno come cuciniere. Gandhi l'aveva già capito quando ancora non si parlava
di armi atomiche.
"Io
non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di distruzione e
coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano alla guerra e
ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra"
(Non-violence in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1).
A
questo punto mi domando se non sia accademia seguitare a discutere di guerra
con termini che servivano già male per la seconda guerra mondiale. Eppure mi
tocca parlare anche della guerra futura perché accusandomi di apologia di reato
ci si riferisce appunto a quel che dovranno fare o non fare i nostri ragazzi
domani. Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini della nostra
teologia e della vostra legislazione è ancora più evidente.
È
noto che l'unica "difesa" possibile in una guerra di missili atomici
sarà di sparare circa 20 minuti prima dell'"aggressore". Ma in lingua
italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa. Oppure
immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua "difesa" spari 20
minuti dopo. Cioè che sparino i suoi sommergibili unici superstiti d'un paese
ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta
non difesa.
Mi
dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza, ma Kennedy e Krusciov
(i due artefici della distensione!) si sono lanciati l'un l'altro pubblicamente
minacce del genere.
"Siamo
pienamente consapevoli del fatto che questa guerra, se viene scatenata,
diventerà sin dalla primissima ora una guerra termonucleare e una guerra
mondiale. Ciò per noi è perfettamente ovvio" (lettera di Krusciov a B.
Russell, 23-10-1962).
Siamo
dunque tragicamente nel reale.
Allora
la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una "guerra
giusta" né per la Chiesa né per la Costituzione. A più riprese gli
scienziati ci hanno avvertiti che è in gioco la sopravvivenza della specie
umana. (Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace). E
noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la
specie umana?
Spero
di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare
l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che
seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè
che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di
legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.
Spero che in tutto il mondo i miei colleghi
preti e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola insegneranno come me. Poi
forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non
riusciremo a salvare l'umanità. Non è un motivo per non fare fino in fondo il
nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno
l'anima