Osservazioni sul Messaggio
per la Giornata mondiale della pace 2021 di papa Francesco
Nel pensiero di papa Francesco svolto nell’enciclica Fratelli tutti (3-10-20) e richiamato nel Messaggio per la giornata mondiale della pace 2021 (8-12-20), la mentalità di cura è descritta facendo
riferimento alla parabola del Buon
Samaritano (la trascrivo qui in fondo).
In essa di narra dell’estraneo che si fa
prossimo di un viandante assalito dai banditi sulla via per Gerico,
rapinato e lasciato malconcio per strada. Qui viene in rilievo la comune umanità dei due, a prescindere da
legami comunitari - essi erano, anzi, nemici dal punto di vista religioso.
Il Samaritano si muove a compassione e non rimane
indifferente, come invece altri che erano passati sulla scena del crimine, un
sacerdote e un levita [*], entrambi appartenenti allo stessa comunità della
vittima.
Il prendersi cura si manifesta, in quella storia, nel medicare il ferito, nel condurlo ad una
locanda, nel fare il possibile per aiutarlo e, il giorno dopo, allontanandosi,
nel pagare perché fosse ancora assistito, impegnandosi a ritornare e a pagare
quant’altro si fosse speso a quel fine.
Come può questa mentalità promuovere la pace, risolvendo le situazioni
di crisi e di conflitto?
Il ragionamento è che esse sono il risultato di assetti sociali
avvertiti come gravemente ingiusti e che quindi motivano ad una reazione a cui segue la repressione: da
qui i conflitti. Non è il caso, però, della parabola, in cui il ferito era
stato vittima di una rapina di strada senza potersi difendere validamente. In questo caso l’atteggiamento di cura
fu comunque un rimedio all’ingiustizia del delitto ed esso fu determinato da
solidarietà umana attivata dal sentimento di compassione.
La giustizia
di un ordine sociale nel Messaggio viene definita facendo ricorso alla nozione di bene comune, costruita e attualizzata dalla dottrina sociale sulla base di
un’antica teologia e su fondamento biblico, integrata da quelle della fraternità
tra tutti gli esseri umani, alla quale consegue il dovere di
solidarietà, e da quella della dignità umana,
anch’esse aventi le stesse origini culturali.
Nel Messaggio
si dichiara una connessione tra le
idee di pace, giustizia e solidarietà, nel senso
la pace è il risultato di giustizia e solidarietà, che non vi è giustizia
sociale senza pace e solidarietà e che la solidarietà implica pace e giustizia.
Questo implica lo sviluppo di istituzioni pubbliche come quelle che la Chiesa
ha storicamente organizzato in favore di malati e bisognosi e che vengono
ricordate nel documento.
Naturalmente, riportandoci al caso esemplare della parabola del Buon Samaritano, possiamo chiederci che
cosa sarebbe successo se il Samaritano
fosse arrivato nel mentre i banditi assalivano il viandante, e non dopo, quando gli aggressori si erano già allontanati. Questo esula
dall’insegnamento evangelico proposto in quella storia, ma certo quella diversa
situazione descrive un’altra delle cause dei conflitti: le azioni di conquista,
sottomissione e rapina contro chi è travolto dalla violenza altrui.
L’espansione degli europei negli altri continenti ebbe questo carattere, fino
agli anni ’50 del Novecento, quando iniziò la decolonizzazione.
Il metodo della lotta nonviolenta, teorizzato e
praticato dall’indiano Mohandas
Karamchand Ghandi, detto Mahātmā (parola
in sanscrito che significa "grande anima") [1869-1948] fino al
1948 contro l’occupazione britannica dell’India, e poi da suoi seguaci in altre
parti del mondo, ad esempio dal pastore battista statunitense Martin Luther
King negli scorsi anni ’50 e ’60, costituisce certamente un’alternativa al
conflitto armato. Tuttavia esso si è mostrato efficace, finora, solo per
opporsi, anche in modo molto intenso, a
violenze sociali e di stato attuate in ordinamenti statali di impostazione
liberale, in cui quindi erano in vigore leggi ispirate ad alti principi di
umanità, che nella pratica veniva disattesi, in cui c’erano tribunali liberi a
cui appellarsi e soprattutto in cui era presente e attiva un’opinione pubblica
libera che quei principi sosteneva. In questo caso la lotta nonviolenta, basata
sulla non collaborazione, sulla disobbedienza civile e sul rifiuto della nonverità, fa emergere le contraddizioni
tra principi e pratica sociale, genera una resistenza sociale diffusa che si
espande per solidarietà, e quindi provvedimenti pubblici per rimuovere le cause
di ingiustizia e discriminazione. In altre situazioni politiche quel metodo non
appare poter avere la stessa efficacia, soprattutto all’interno di stati
totalitari nei quali venga represso duramente il dissenso senza possibilità di
un vaglio giudiziario libero. Lo stesso deve dirsi in situazioni sociali
controllate da organizzazioni criminali in cui il controllo delle istituzioni
pubbliche sulla violenza privata risulti inefficace, come in alcuni stati
dell’America Centrale.
Il Messaggio appare rivolto in primo luogo ai governanti, come di solito avviene in
quel tipo di letteratura pontificia. Però si insiste anche sulla formazione, attraverso la scuola, i mezzi
di comunicazione sociale. Qui, allora, vengono in rilievo anche le popolazioni. Il discorso però non viene
sviluppato e, tutto sommato, spetta a noi laici farlo. Si parla di un ruolo
importante che dovrebbero avere le donne, di un loro protagonismo, senza
specificare ulteriormente. Anche qui noi laici dovremmo proseguire, e innanzi
tutto praticare la non discriminazione contro le donne, dalla
quale la nostra Chiesa è ancora molto lontana, per quanto ora cominci ad
avvertire l’incongruenza del suo atteggiamento verso le donne, imparando dalle
democrazie avanzate contemporanee.
Lavorando sulle popolazioni per elevarle alla
capacità politica, quindi di collaborazione attiva al governo
della società, si possono creare, e mantenere efficaci dove già sono state istituite, strutture sociali di contrasto della violenza in atto,
oltre che finalizzate a porre rimedio alle ferite da essa inferte, capaci
quindi di incidere sull’evoluzione sociale per costruire situazioni di pace in
ogni condizione politica e sociale, intervenendo nelle situazioni attive di
conflitte in ogni tipo di ordinamento politico. I metodi di lotta dovranno essere adattati alle situazioni sociali in cui la violenza è praticata e naturalmente in un'ottica cristiana si cercherà di valersi, fin dove possibile, di quelli che non implicano combattere il male con il male. La costruzione della pace, in questo senso, richiede anche lo sviluppo e l'affermazione di una cultura appropriata nella società di riferimento. La pace, infatti, è una
conquista culturale personale e collettiva, ma è quella collettiva che conta
per la costruzione di situazioni sociali di pace, e, aggiungo, una conquista culturale recente,
anche per la nostra Chiesa, perché essa non era considerata un obiettivo
realistico fino al Secondo dopoguerra, vale a dire fino al termine della
Seconda guerra mondiale (1939-1945). Naturalmente la teologia la auspicava, ma
più che altro come dono soprannaturale alla fine dei tempi. La guerra cominciò
ad essere avvertita come uno scandalo anche religioso dal Papato nel corso
della Prima guerra mondiale (1914-1918). Si ricorda in merito un appello del
papa Benedetto 15°, diffuso nel 1917 e rivolto ai Capi dei popoli in guerra, in cui, a proposito della guerra allora
in corso, si parlò di inutile strage.
L’unico strumento politico per influire in quel senso sulle
popolazioni e promuovere in esse la pace è la cultura democratica, ma in questo campo la
dottrina sociale ci aiuta poco, perché è
considerata una parte della teologia morale e, almeno nella nostra Chiesa, non
è stata ancora sviluppata una teologia della democrazia. Più in là è
indubbiamente andato il pensiero sociale cristiano che però dagli anni ’90, per
varie ragioni, si è andato inaridendo.
Infine:
il Messaggio è rivolto al mondo intero, in cui vi sono
anche società afflitte da guerre e insicurezza civile, ma per un cittadino dell’Europa
di oggi, nella quale si sono affermate democrazie avanzate, la scelta non è tra subire l’oppressione violenta, praticare la lotta violenta o
la nonviolenza, ma tra il partecipare e l’essere
trascinati, tra indifferenza e impegno
civile, tra il capire e il subire inconsapevolmente, tra la democrazia effettiva, quella
che si inscena unendosi ad altri nell’azione civile consapevole, e quella solo rituale, in cui ci si limita a tracciare
segni su schede di voto di tanto in tanto sulla base dell’emotività suscitata
dagli specialisti del consenso di massa.
[*] Nell’Antico Testamento, sono così chiamati
gli appartenenti a una tribù ebraica che aveva mansioni relative al culto, e
derivava il suo nome da quello di Levi (lat. Levi, gr. Λευεί o Λευί, ebr. Lēwī),
terzo figlio di Giacobbe e di Lia. [da Treccani
vocabolario on line]
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli
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La parabola del Buon Samaritano (dal Vangelo secondo Luca,
capitolo 10, versetti dal 25 al 37 - Lc 10,25-37 - versione in italiano TILC -
Traduzione interconfessionale in lingua corrente)
(25) Un maestro della Legge voleva tendere
un tranello a Gesù. Si alzò e disse: — Maestro, che cosa devo fare per avere la
vita eterna? (26) Gesù gli disse: — Che cosa c’è scritto
nella legge di Mosè? Che cosa vi leggi? (27) Quell’uomo rispose: — C’è scritto: Ama il Signore Dio tuo
con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con
tutta la tua mente, e ama il prossimo tuo come te stesso. (28) Gesù gli disse: — Hai risposto bene!
Fa’ questo e vivrai! (29) Ma
quel maestro della Legge per giustificare la sua domanda chiese ancora a Gesù:
— Ma chi è il mio prossimo? (30) Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme
verso Gèrico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a
bastonate e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. (31) Per caso passò di
là un sacerdote; vide l’uomo ferito, passò dall’altra parte della strada e
proseguì. (32) Anche un levita [*] del Tempio passò per quella strada; lo vide,
lo scansò e proseguì. (33) Invece un uomo della Samaria, che era
in viaggio, gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. (34) Gli andò vicino, versò olio e vino
sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino, lo portò a una
locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. (35) Il giorno dopo tirò fuori
due monete d’argento, le diede al padrone dell’albergo e gli disse: “Abbi cura
di lui e se spenderai di più pagherò io quando ritorno”». (36) A questo punto
Gesù domandò: — Secondo te, chi di questi tre si è comportato come prossimo per
quell’uomo che aveva incontrato i briganti? (37) Il maestro della Legge rispose: — Quello che ha avuto
compassione di lui. Gesù allora gli disse: — Va’ e comportati allo stesso modo.
[*] Nell’Antico Testamento, sono così chiamati
gli appartenenti a una tribù ebraica che aveva mansioni relative al culto, e
derivava il suo nome da quello di Levi (lat. Levi, gr. Λευεί o Λευί, ebr. Lēwī),
terzo figlio di Giacobbe e di Lia. [da Treccani
vocabolario on line]