Abbracciare
Dallo sfiorare all’abbracciare:
questo sabato proseguiremo il dialogo sull’itinerario formativo “Da
corpo a corpo” dell’Azione cattolica.
Lo sfiorare e l’abbracciare
sono gesti umani. Esprimono sentimenti e partono da
emozioni. Rientrano nella sfera dell’intimità, che si ha quando una persona è
ammessa da un’altra ad avvicinarsi molto, a meno di circa cm 50, che è l’area
nella quale di solito, a parte certe situazioni di calca, gli esseri umani non
tollerano intrusioni intenzionali. Ci sono tre situazioni in cui questo si
verifica: negli atteggiamenti di cura, nell’amore, nell’amicizia e nelle
relazioni parentali nel corso di eventi caratterizzati da forte emotività
collettiva. Di solito, negli ambienti religiosi ci si occupa prevalentemente
del primo, perché gli altri due imbarazzano. Questo si deve all’influsso che l’esperienza
monacale ha avuto sulla nostra teologia. Dal punto di vista sociale è
sicuramente la terza situazione quella più interessante, perché ha a che fare
con la costruzione delle società: non vi è vera società senza un certo
coinvolgimento emotivo. Riti e miti servono a produrlo.
Dal punto di vista personale è però la situazione dell’amore quella più entusiasmante.
Non si tratta solo di romanticherie. Ma l’amore nella nostra religione,
fortemente dogmatizzata, è visto con sospetto, perché volubile, salvo che non
si irrobustisca nell’amicizia, come avviene nelle relazioni coniugali di lunga
durata. L’amore idealizzato dalla nostra teologia morale ha poco a che fare con
la realtà, come chi l'amore pratica sa bene.
Per il marcato orientamento cristologico dato alla nostra formazione
religiosa di primo e secondo livello del tempo del rinnovamento della
catechesi, negli anni ’70, si cerca sempre di far riferimento alle narrazioni
sulla vita del Maestro per costruire gli insegnamenti. In esse però, sul tema
di cui ci occupiamo, troviamo raccontante più che altro numerose situazioni di
cura. Egli infatti volle accreditare e spiegare il senso del suo ministero
anche con gesti taumaturgici. Però volle che il gruppo che più strettamente lo
seguiva si considerasse di tipo amicale:
Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete
miei amici se fate quel che io vi comando. Non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non
sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere
tutto quel che ho udito dal Padre mio [Giovanni
15, 13-15]
Le
narrazioni evangeliche non mi sembrano molto dettagliate per quanto riguarda
gli atteggiamenti propriamente amicali, come l’abbraccio. C’è l’episodio del bacio di Giuda e mi viene da pensare che
potesse essere un costume di quella cerchia:
Intanto Giuda si avvicinò a Gesù e disse:
«Salve, Maestro!». Poi lo baciò. [Giovanni
26,49].
Nelle
riprese televisive delle liturgie in cui i cardinali si avvicinano al Papa e
tra loro, si vede che a volte mimano lo scambiarsi di due baci sulle guance: scrivo
mimano, perché non se li danno
davvero. Nella formazione etica di clero e religiosi si sconsiglia l’intimità,
perché è considerata pericolosa. Nella liturgia della Penitenza e nella direzione spirituale ci si intromette
abbastanza in quella sfera, ma in genere con poca efficacia, per scarsa esperienza.
Così
quando si parla di queste cose, si finisce di solito a trattare di
atteggiamenti di cura, ad esempio parlando di volontariato in favore di bisognosi
e sofferenti.
In
realtà sarebbe molto importante mettere a fuoco anche l’emotività di tipo
amicale. Non è facile come sembra e questo perché essa, tra gli esseri umani, è
veramente possibile solo in piccoli gruppi, e la Chiesa vorrebbe invece
rigenerare moltitudini. Va detto che nei piccoli gruppi a volte può essere
anche controproducente, generando poteri carismatici e aspettative destinate a
rimanere deluse, con conseguente frustrazione. Ma soprattutto gruppi chiusi.
In
realtà, il miracolo che talvolta scaturisce dalla nostra fede è di farci
sentire prossimi anche degli sconosciuti: ma in realtà questo
effetto è in genere frutto di una determinata formazione, che comprende una
specifica spiritualità. Allora gli aspetti della cura e dell’emotività amicale
si fondono in quello che con parola del greco antico nel Nuovo Testamento viene
definito agàpe, che è quando in una
collettività di tipo amicale ci si preoccupa di capire i bisogni degli altri e
di aiutarli, in particolare dividendo ciò che si ha, come accadde nei miracoli evangelici delle moltiplicazioni del cibo. Ciò
costruisce comunità, vale a dire
collettività in cui si divide e si mette in comune ciò che si ha. E comunità
particolarmente coese, ma non chiuse, quindi adatte all’evangelizzazione.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa
- Roma, Monte Sacro Valli.