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Sito della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi
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Sintesi dell’articolo del sociologo Franco
Garelli, professore ordinario presso l’Università di Torino, dal titolo Appunti per il Sinodo della
Chiesa italiana pubblicato il 17-12-21
dal periodico on line settimananews.it
Il Sinodo della Chiesa italiana è stato voluto
dal Papa o dai vescovi italiani? Ritiene che la prima sfida sia venuta dal Papa durante il Convegno ecclesiale
nazionale di Firenze tenuto nel
2015. La riposta della CEI alla richiesta di un sinodo nazionale si è fatta a lungo
attendere. Probabilmente ci si è chiesti
se la Chiesa italiana avesse la risorse umane, culturali, spirituali per intraprendere
il cammino sinodale, che non si voleva
che si muovesse nell’ordine di idee del Sinodo della Chiesa tedesca, attualmente
in corso.
Probabilmente la pandemia da Covid 19, che ha aggravato i nodi critici
da tempo individuati nella Chiesa italiana, è stato l’evento esterno che ha
determinato la CEI a iniziare il cammino sinodale nazionale. Ciò spiega il
titolo del cammino sinodale: “Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita”.
La Chiesa italiana ha una lunga tradizione di Convegni
nazionali ogni dieci anni. Ma il Papa chiede di passare dal modo di
procedere deduttivo e applicativo
a quello della ricerca e della sperimentazione,
che comprende il costruire dal basso e l’ascolto dei territori. Il lavoro dal basso deve poi confluire in un momento unitario
nazionale, per poi tornare alle comunità locali, in un percorso di confronto
circolare, con coinvolgimento di vari soggetti ecclesiali. Si tratta di un
percorso che non può essere progettato fin dall’inizio, perché la pandemia
scombina i disegni precostituiti e perché la sinodalità si sviluppa nel tempo,
con l’ascolto, la ricerca, il confronto, la comunione. Il processo si prospetta
molto più aperto di analoghe esperienze del passato.
Vengono proposti per la riflessione sinodale temi classici come
-l’annosa questione dell’emergenza
educativa,
-la
formazione delle coscienze in un’epoca carente di riferimenti etici,
-la
necessità di descolarizzare la catechesi (che non deve essere considerata
un’ora di religione); l’esigenza di una catechesi che superi il modello
scolastico,
-l’urgenza
di favorire vocazioni all’impegno politico, per evitare che il campo privilegiato
della presenza pubblica dei cattolici sia quello (pur essenziale e fecondo) del
volontariato («la pratica di una cittadinanza e di un servizio politico all’altezza delle sfide attuali»).
Altri temi sono legati ai problemi causati
dalla pandemia:
-la semina della
parola attraverso nuovi canali di ascolto e gli strumenti tecnologici»
da
integrare con le modalità in presenza;
-il
coinvolgimento delle famiglie nella proposta di fede, per far sì che il nostro non
sia
solo
un cristianesimo di chiesa, ma anche di casa»;
-la
valorizzazione (oltre alla centralità dell’eucarestia) di altre forme di
preghiera
individuale
e comunitaria, come la lectio divina, la meditazione personale, le forme
rituali
nello spazio familiare;
-e,
inoltre, la preoccupazione per il forte calo della presenza dei ragazzi negli
ambienti
ecclesiali, ulteriore segno di una socializzazione religiosa sempre più precocemente
interrotta per le giovani generazioni.
Per Garelli è molto importante il tema
sinodale, precisato nella Carta d’intenti del maggio scorso, consistente nel «recupero
dell’aspetto escatologico della fede cristiana nell’aldilà e della speranza
oltre la morte».
Scrive Garelli:
«L’italiano medio (è
stato detto) ha vissuto male l’afonia pubblica e spirituale della Chiesa alta
nell’emergenza sanitaria. Una Chiesa italiana che è parsa più preoccupata delle
chiese chiuse dal potere politico, che capace di riflettere pubblicamente sui
drammi che si stavano vivendo, sulle morti in solitudine e senza funerali,
sulle bare accatastate, sul senso di eventi che hanno stravolto la vita umana,
civile e quella ecclesiale. Per cui la comunicazione pubblica della fede è
stata debole o pavida in questo dramma sociale e sanitario. Di qui il rischio
che anche la Chiesa nel suo insieme contribuisca a rendere evanescente la
dimensione escatologica del cristianesimo.»
Tra temi esplicitati nella Carta d’intenti manca la proposta di una riflessione sinodale
sulle questioni strutturali. Le formule utilizzata sono troppo generiche.
Sembra il manifestarsi di una ritrosia ad affrontare tali questioni.
Scrive Garelli, proponendo una integrazione:
Questo capitolo potrebbe intitolarsi
come la riflessione sulla “FORMA CHIESA”, e alimentarsi dei molti spunti al
riguardo che circolano negli ambienti ecclesiali di base e tra gli addetti ai
lavori. Faccio solo alcuni accenni, a titolo esemplificativo.
-Ha ancor
senso, in Italia, una presenza così disseminata di diocesi sul territorio nazionale
(sono oltre 220 e il 60% di esse conta una popolazione inferiore ai 150 mila
abitanti), quando un accorpamento di queste strutture renderebbe la Chiesa italiana
più snella e libererebbe risorse umane e spirituali per l’impegno pastorale?
-La formula della parrocchia non sembra
in discussione; tuttavia essa deve
essere ripensata in un’epoca carente di clero e di grande mobilità (anche
religiosa) della popolazione; in vari territori, le “Unità pastorali” saranno
le parrocchie del futuro?
-Ha ancora senso pensare all’Italia
religiosa evocando l’immagine di un “cattolicesimo di popolo”? Quando tutte le
indagini (ma anche il vissuto ecclesiale) attestano che sotto la “sacra volta
cattolica” convivono identità religiose molto diverse tra di loro (ad esempio i
cattolici impegnati e i cattolici culturali o anagrafici), che richiedono
quindi approcci pastorali specifici e dedicatI;
-Il Sinodo sembra orientato a superare
la struttura piramidale della Chiesa, ma in questo quadro, come attrarre e
valorizzare un laicato attivo desideroso di condividere le responsabilità,
capace di occuparsi anche di varie incombenze gestionali che gravano sulla
Chiesa locale, alleggerendo in tal modo il clero di
compiti
impropri?
-Ad ogni “convenire ecclesiale”, poi, la
comunità credente è interpellata dalla questione femminile nella Chiesa, che
non si esaurisce con il tema del sacerdozio femminile. Insomma, (con questi
ultimi punti) l’invito è a mettere un po’ d’ordine in un campo dove i preti soffrono (per le troppe
incombenze e responsabilità cui devono far fronte), i laici scalpitano o si
deprimono (e molti si impegnano altrove), mentre le donne giustamente non si
accontentano più di riconoscimenti più elogiativi che sostanziali. Da troppo
tempo si parla dell’accesso delle donne al diaconato.
Questi temi, che non figurano nell’agenda
sinodale, secondo Garelli saranno certamente al centro dei lavori.
La consultazione
diffusa del Popolo di Dio è,
secondo Garelli, una prospettiva importante. Lo stile dell’ascolto reciproco
è visto come propedeutico al “costruire insieme” e al tendere alla comunione. E, tuttavia,
proprio tra i fedeli più impegnati le differenze di sensibilità sono assai spiccate
circa il modo di intendere la fede, il rapporto Chiesa-mondo, l’autorità della
Chiesa, l’essere credenti nella società plurale. L’unità sui valori è un
obiettivo accattivante, ma bisogna attrezzarsi a gestire le tensioni che hanno
sempre attraversato il cattolicesimo di base. Spunti interessanti potrebbero poi
venire dall’ascolto di un Popolo di Dio più allargato, quello dei quasi
credenti, dei quasi cattolici, dei cattolici oltre il recinto, degli
uomini di buona volontà, di quanti credono diversamente. E ciò anche
se in giro ci sono molti che dichiarano di non sapere che farsene della Chiesa.
Ci si propone di riflettere sull’emergenza
educativa, ma di anno in anno si riducono le persone che all’educazione si
dedicano, si chiudono gli oratori, ci si affida a una pastorale degli eventi.
Certo, preti e religiosi sono sempre più anziani, ma una Chiesa che non investe
in questo campo è destinata a situarsi ai margini della storia.