Per informarsi sul WEB sui cammini
sinodali
Sito del Sinodo 2021-2023 (generale)
Siti del cammino sinodale delle Chiese italiane
https://camminosinodale.chiesacattolica.it/
Sito della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi
http://secretariat.synod.va/content/synod/it.html
Manuale operativo di
sinodalità
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6 –
Il gruppo
La sinodalità è sempre espressa da un gruppo di persone. È un suo modo di manifestarsi che è percepibile da un osservatore esterno, ma anche da chi del gruppo fa parte. Coglierla riesce meglio però a chi sta all’esterno e quindi non vi è direttamente coinvolto. Non riguarda qualsiasi aspetto della convivenza nel gruppo, ma specificamente l’esercizio del potere nella collettività di riferimento. Storicamente si è però iniziato a parlare di sinodalità ecclesiale da quando, affermatosi, a cavallo tra il Primo e il Secondo secolo un episcopato monarchico, si cercò di giungere ad intese tra vescovi su qualche punto controverso. Ma, alle origini, prima che le Chiese locali si strutturassero come piccoli regni territoriali, come si decideva nel gruppo? Senz’altro dobbiamo pensare che si discutesse, e anche con una certa asprezza talvolta: ne rimane traccia negli Atti degli apostoli, negli scritti attribuiti a Paolo di Tarso nelle altre lettere confluite nel Nuovo Testamento. Nessuna comunità locale riteneva di poter bastare a se stessa: si riteneva di essere manifestazioni di una Chiesa. Questo è stato sempre un aspetto molto importante tra i cristiani. Si andasse d’accordo o si fosse in polemica, ci è si è sempre cercati per provare a intendersi. Qualche volta ci si è riusciti, più spesso no. All’intesa, allora, ha iniziato a preferirsi l’esercizio della forza per sottomettere i dissenzienti. L’idea di gerarchia è fondata su questo. Il movimento ecumenico, che ha preso particolare vigore dagli scorsi anni Cinquanta, segna la ripresa dell’anelito all’intesa.
Solo
negli ultimi decenni si sono andate diffondendo esperienze religiose, denominazioni
come le si chiama nel campo della sociologia della religione, per le quali
questo aspetto del cercarsi per intendersi è meno sensibile, o
addirittura non appare. Spesso esse appaiono suscitate e trascinate da capi
carismatici, che si impongono sulla base di un consenso e un’affiliazione
emotiva. È un fenomeno che si manifesta anche in alcuni movimenti ai quali,
nella nostra Chiesa, viene riconosciuto lo statuto ecclesiale.
Negli
anni scorsi sono stati definiti i connotati di ecclesialitá di
associazioni e movimenti, vale a dire le condizioni necessarie per riconoscerli
come parti della nostra Chiesa.
Il 22 maggio 1981 la Conferenza episcopale
italiana diffuse, dopo una fase molto approfondita di riflessione iniziata nel
1979, una Nota pastorale sui criteri di ecclesialità di associazioni,
movimenti e gruppi.
Il documento si dilunga in classificazioni di
natura descrittiva che, come si dice, lasciano il tempo che trovano. Molto
importanti e caratterizzanti sono invece
gli impegni a seguire gli orientamenti
della gerarchia anche oltre l’etica e la religione e, per il clero e i
religiosi coinvolti in quelle aggregazioni, di mantenere la sottomissione
gerarchica. In definitiva, il criterio fondamentale per riconoscere
l’ecclesialitá di un gruppo è il fatto che non rivendichi la libertà
decisionale, anche al di fuori delle materie che attengono più strettamente
alla vita nella Chiesa. Questo è un bel problema nell’attuazione di una Chiesa
sinodale finalizzata a una riforma. Infatti il principale ostacolo ai processi
di riforma è appunto la gerarchia com’è vissuta e impersonata attualmente.
I criteri indicati nella nota furono
molto inaspriti, nel senso dei vincoli gerarchici per le aggregazioni
ecclesiali, nel più importante (finora)
documento pontificio sullo statuto delle persone laiche nella Chiesa, vale a
dire l’Esortazione apostolica I fedeli cristiani laici – Christifideles
laici, diffusa nel 1988 dal papa Giovanni Paolo 2º - san Karol Wojtyla.
In definitiva, tra i cattolici l’ecclesialità
è legata all’accettazione di inserire i dirigenti delle aggregazioni in un rapporto
di sottomissione gerarchica. E’ una relazione che è teorizzata più in generale
nel diritto pubblico, nella Chiesa se ne dà una giustificazione teologica che
ai tempi nostri certamente non convince più. Nel coordinamento di tipo
gerarchico tra uffici pubblici, il superiore può sostituire l’inferiore o
sostituirsi a lui nell’esercizio di un potere o di una funzione. Le relazioni
gerarchiche ecclesiali sono strutturate nello stesso modo: La gerarchia,
come esercizio di un potere sacralizzato, è una forma ordinamentale che risale
all’antichità e che è stata assunta e poi sviluppata in modo innovativo dalle
nostre Chiese dal Quarto secolo, nel quadro istituzionale del nuovo impero
romano riformato, ma da ultimo la Chiesa cattolica si è fatta insegnare la
gerarchia, in senso giuridico, dal diritto pubblico degli stati, avendo voluto
farsi stato. Un potere propriamente gerarchico viene esercitato quando si
ordina di sciogliere un’aggregazione, come avvenne su grande scala in Italia
mettendo fine all’esperienza dell’Opera dei Congressi, a inizio Novecento in
Italia, o quando si sostituiscono d’autorità i dirigenti di un’aggregazione. E’
accaduto recentemente, ad esempio, con l’emarginazione di Enzo Bianchi dalla comunità
monastica che aveva fondato e nella quale, dopo l’abbandono del ruolo di
vertice, aveva mantenuto un’influenza carismatica, con l’invio di un delegato
speciale a sostituire la dirigenza dell’associazione
laicale Memores Domini e, su maggiore scala, con il decreto generale n.2021/466
del 3 giugno 2021 emesso dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, un
ufficio burocratico della Santa Sede, e approvato dal Papa il giorno precedente, con il quale è stata
limitata la durata degli incarichi di governo nelle associazioni
internazionali di fedeli riconosciute o erette dalla Sede Apostolica e soggette
alla vigilanza diretta di quell’ufficio, ed è stato imposto il ricambio dei
dirigenti di vertice di quelli che erano in carica.
Il rapporto
di subordinazione gerarchica è incompatibile con la sinodalità, che significa
co-decisione. Nella misura in cui le relazioni collettive sono improntate alla
subordinazione gerarchica non vi è, quindi, sinodalità. Di fatto le persone
laiche se ne sono affrancate anche all’interno della Chiesa, nel senso che in
genere non si sottomettono, ma aderiscono. Chi accetta di rivestire
un qualsiasi ufficio o ministero formalmente riconosciuti nella nostra Chiesa
deve tuttavia mettere in conto di vedersene estromesso per provvedimento
gerarchico. E’ la ragione per la quale io non accetterei mai alcun ufficio o ministero formale ecclesiale,
nell’attuale ordinamento canonico, in particolare
in quanto per professione devo mantenermi indipendente da qualsiasi potere sociale
e, più in generale, perché personalmente
ripudio qualsiasi sudditanza propriamente gerarchica che si estenda agli affari
di coscienza.
Naturalmente tutt’altro è l’impegno etico,
che necessariamente fa riferimento a una comunità e che non è tale se lasciato
al puro arbitrio di una persona. L’etica si impara. Lascia tuttavia integra la
coscienza personale e, anzi, la esige. Nessuno ama o è buono perché qualcun altro gliel’ordina. La bontà
imposta è ipocrita e servile. E l’amore
o è un moto dell’animo o semplicemente
non è. Non si ama a comando, nemmeno se chi comanda è un dio. L’essere umano è
fatto così. L’etica, non la gerarchia, è la dimensione congeniale alla sinodalità,
che può essere anche vista come una forma di amicizia. In particolare come
espressione dell’agàpe evangelica.
L’attivazione dei processi sinodali può essere
presentata anche così: la gerarchia
ci ha ordinato di essere sinodali, come in precedenza ci aveva vietato di
esserlo. L’ordine precedente, il divieto, aveva generato una certa
resistenza. Del resto, nell’Occidente
democratico contemporaneo, gli ordini dei gerarchi ecclesiali possono essere
ignorati senza gravi conseguenze. Così si è fatto in molte materie. Mi pare
però, anche, che l’ordine di sinodalità venga ignorato perché interiormente non
abbiamo sufficiente spirito di agàpe. Decenni di pervicaci divieti ci
hanno sfiancato, sembra. Ma è vero che spesso non ci piacciamo abbastanza per
essere sinodali. Si sono affermate forme religiose a bassa interiorità, come
quelle che mirano a stati di benessere psichico o si lasciano estasiare dagli
effetti speciali miracolanti, o quelle per le quali la religiosità è utile solo
come contesto cerimoniale. In questo contesto, a che serve riunirsi? Mi pare
che nella nostra parrocchia questo ostacolo sia piuttosto sensibile. E si fa
poco per rimediarvi. La sinodalità sembra proposta un po’ controvoglia dal
clero, non la si prepara, non la si organizza per darle seguito. Alla fine si
potrà scrivere in diocesi di aver tenuto un certo numero di incontri sinodali,
che tali non sono stati in realtà. Il gruppo di vertice della parrocchia non
mostra il minimo segno di volersi aprire ad una più ampia partecipazione. Inoltre
si teme la ripresa di una conflittualità che a poco a poco si era sopita, ma
che permane. E certamente siamo profondamente divisi nella nostra religiosità:
a volte mi sembra che addirittura si seguano religioni diverse. Seguendo le
tendenze più recenti che si sono manifestate nelle neo-Chiese cristiane non si sente
l’esigenza di cercarsi per intendersi.
In effetti questo è un bel problema.
La sinodalità non può essere imposta dall’esterno.
Il paradosso di una sinodalità per ordine gerarchico non può vivere
nella realtà: a nessuno può essere ordinato di essere amico di un’altra persona. Allora il
primo lavoro da fare, preliminare alla sinodalità praticata, è la costruzione
di un’amicizia ecclesiale, che richiede consuetudine reciproca e dialogo. Non
basta accostare prospettive come
il pretenzioso redattore delle indicazioni metodologiche per il cammino sinodale italiano suggerisce.
Sinodali si cresce, sia nel senso
che, essendo sinodali, si riesce a
sapere e a fare più e meglio sia nel senso che la sinodalità non è data in partenza,
ma va costruita in modo creativo incontrandosi.
Per essere sinodali occorre recuperare,
incontrandosi e facendo gruppo, quella naturalità dell’esperienza sociale che l’imposizione gerarchica
non può creare, perché non si ama a comando, né quando l’ordine viene da
un superiore né quando è scritto in una qualche tavola della legge. L’amore
non può mai essere legge, altrimenti non saremmo umani, ma formiche.
Ecco come nella Nota sull’ecclesialità delle aggregazioni sopra
citata viene definito (sulla base della psicologia corrente) un gruppo:
Il gruppo è di solito
caratterizzato da:
-
una certa « spontaneità» di adesione e di permanenza da parte dei membri;
-
una certa omogeneità anche «affettiva»;
-
grande libertà di auto-configurazione quanto a scopi, struttura e attività del
gruppo, e quindi tendenziale non-uniformità tra gruppo e gruppo;
-
dimensioni relativamente ridotte e diffusione piuttosto limitata; - talora,
soprattutto se si tratta di «gruppi di spiritualità», un certo riferimento
.comune a una « figura» o a un «valore» identici.
Mi pare
che questa descrizione si attagli bene al gruppo sinodale nel quale si possa fare pratica di sinodalità.
In questo contesto la programmazione e la strutturazione originano ldalle persone che vi partecipano. L’elemento propriamente gerarchico non esiste e non si parla mai di autorità ma di servizio reciproco. Il coordinamento
sorge dal basso.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli