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Manuale operativo di sinodalità
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Introduzione
1. Il 9 ottobre 2021 sono iniziati due
processi sinodali. Il primo in vista dell’Assemblea generale del Sinodo dei
vescovi che si terrà nell’ottobre 2023. Prevede una fase di consultazione del Popolo
di Dio che si concluderà nell’agosto 2022. Il secondo riguarda “le
Chiese italiane” e se ne farà un bilancio nell’ottobre 2025, durante l’Anno
Santo che si terrà quell’anno. Lo si è articolato in tre fasi denominati “Narrativa” (dal 2021 al
2023), “Sapienzale” (dal 2023 al 2024), “Profetica” (2025).
Nel 2025 è programmata un’Assemblea nazionale, nella quale saranno “assunte”
(fatte in quella sede? Fatte in altra sede e semplicemente recepite dall'Assemblea?
Co-decise dall'Assemeblea?) delle “scelte evangeliche” che si proporrà alle comunità
locali di realizzare tra il 2025 e il 2030.
Anche nell’Assemblea del Sinodo dei vescovi del 2023 saranno fatte delle
scelte e si vedrà quale forma prenderanno (documento del Sinodo assentito dal
Papa o provvedimento post-sinodale del Papa sulla base del documento conclusivo
approvato dal Sinodo). Fino ad agosto 2022 i due processi coincideranno e
prevedono la consultazione del Popolo di Dio. Il loro oggetto è la
realizzazione di una Chiesa sinodale. Sono stati avviati da Papa
Francesco. Quello italiano era stato richiesto dal Papa nel 2015, durante un
Convegno ecclesiale nazionale, ed è stato da lui sollecitato il 30 gennaio 2021, in un discorso ai partecipanti ad un incontro promosso dall’Ufficio
catechistico nazionale della CEI con
queste parole
Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di
Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo
processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione
della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E
incominciare a camminare.
In molte parti del mondo, dopo la conclusione
del Concilio Vaticano 2° si erano tenuti dei Sinodi delle Chiese nazionali. E’
in corso attualmente quello della Chiesa tedesca. In Italia non se ne erano mai
tenuti perché non si sapeva bene come inquadrarvi il Papato. Si era quindi
proceduto con Convegni ecclesiali nazionali, Convegni eucaristici nazionali,
Settimane sociali, tutte iniziative caratterizzate dall’essere dominate dalla
gerarchia, che vi invita chi crede.
2. Chiesa sinodale significa una Chiesa in cui ogni persona di
fede possa contribuire in qualche modo alla decisione sulle questioni che riguardano tutti,
assumendo impegni personali nella fase di realizzazione di ciò che è stato
deciso. Ciò implica il superamento della dura emarginazione dalle fasi
decisionali della gran parte della gente di fede, vale a dire di quella che non
ha legami gerarchici ad autocrazie sacralizzate quanto a stato di vita (altro sono gli
impegni etici) e, in questo senso, è libera da gerarchie autocratiche nei modi
fondamentali in cui lo si può esserlo: in coscienza, nel pensiero,
nell’espressione del pensiero, nelle scelte. Questa condizione di libertà è
già una realtà giuridica in alcune società del mondo. Nella Chiesa italiana, che vive in una società di
democrazia avanzata, è stata di fatto conquistata dalle persone libere da
legami gerarchici, ma è solo parzialmente riconosciuta dalla gerarchia
ecclesiale. La nostra Chiesa, dal punto di vista antropologico e sociologico,
non è una società libera e, dal punto di vista giuridico, che però non
corrisponde più a ciò che di fatto viene attuato, è un sistema sociale
totalitario. E’ totalitario il sistema sociale nel quale il potere pubblico si
estende anche all’interiorità delle persone, privandole delle libertà di
coscienza, di pensiero, di espressione del pensiero, e in cui ogni scelta deve
essere autorizzata e manifestare comunque sottomissione al quel potere. La gran
parte delle persone di fede, in Italia, non esprime più la sua religiosità come
sottomissione sacrale a una
gerarchia, ma come adesione di coscienza. La gerarchia invece mantiene, o almeno pretende di mantenere, il
controllo totalitario sul clero e sui religiosi. Questa struttura della nostra
Chiesa è divenuta obsoleta in Italia ed è il motivo fondamentale per il quale
la gente non va più in chiesa e si è manifestato un vertiginoso calo delle
vocazioni nel clero e nei religiosi. Non andare più in chiesa non significa però non essere più religiosi.
Da tempo le indagini sociologiche sulla religiosità segnalano che la cosiddetta
secolarizzazione riguarda essenzialmente, in Occidente, il rapporto con
la gerarchia e non le credenze nel soprannaturale.
Ogni struttura sociale che diviene obsoleta
si estingue se non si trasforma e questo a prescindere da persecuzioni attive, ostilità o disistima nell’ambiente di riferimento. In genere però le società tendono
a trasformarsi, evolvendo. Le nostre Chiese lo hanno sempre fatto, tanto che si
dice che devono sempre essere riformate. Tuttavia in passato le
trasformazioni non sono mai state indolori. Hanno suscitato aspri conflitti e
anche guerre.
Mediante i processi sinodali che sono
iniziati nel 2021 si vorrebbe realizzare una riforma pacifica, mediante
l’acquisizione di ciò che viene definito sinodalità che da un lato
significa apertura alla partecipazione più ampia della gente di fede e dall’altro capacità della gente di fede
di partecipare realmente. Queste sono le condizioni indispensabili perché
una riforma sinodale dia frutti. Sinodalità è un'orientamento procedurale ma anche un sistema di valori.
Il problema è che le nostre Chiese non sono mai
state sinodali come oggi le si
vorrebbe. In particolare, poi, l’emarginazione della gente di fede più libera è
divenuta molto più dura dal Seicento, da quando il Papato si diede struttura
analoga a quella di uno stato e, in specie, dall’Ottocento, quando divenne
un sistema politico totalitario. Dagli anni Sessanta, con il Concilio Vaticano
2°, si cercò di uscirne, ma, dopo circa vent’anni, con una serie di decisioni del Papato, tutto rimase sospeso, e in alcuni casi si arretrò. Attualmente
tutte le fasi decisionali ecclesiali sono controllate dal clero e dai religiosi, che nel
complesso possiamo individuare dal punto di vista sociologico come “la
gerarchia” ecclesiastica. Sotto quello specifico aspetto, si possono farvi rientrare anche
le classi dirigenti di alcuni movimenti che negli ultimi decenni hanno assunto
la capacità di influenzare Papato ed episcopato e addirittura la successione
papale, in particolare esprimendo un proprio clero. Per quella stessa
via vi rientravano anche gli ordini religiosi.
La storia delle nostre Chiesa è stata lunga e
complessa. Sfugge di solito alla gran parte dei fedeli, ai quali in genere si
somministra solo la storia sacra, vale a dire quella che emerge dalla
Bibbia. La struttura sociale e giuridica delle nostre Chiese non risale però
alla storia sacra, se non come ispirazione ideale e contesto simbolico e
semantico. Ciò che c’è oggi è radicato fondamentalmente nel Quarto secolo, al
quale risale il Credo che
recitiamo nella messa. E’ a quell’epoca che si formò ciò che definiamo gerarchia.
In breve (vi prego di verificare personalmente
facendo riferimento ai manuali di storia ecclesiale disponibili numerosi in
commercio).
Tra la fine del Primo
secolo e il Secondo si affermò l'episcopato monarchico e poi si formò un clero,
ispirato all’antico sacerdozio giudaico. Non c’era ancora ciò che
chiamiamo gerarchia. I proto-vescovi si federavano gli
uni contro gli altri. Maestri indipendenti generavano liberamente idee; atleti dello
spirito pontificavano dal deserto; c'era tanta effervescenza, vissuta in genere come confusione dai capi delle Chiese locali. I sinodi sorsero spontaneamente, convocati dai vescovi – capi
monarchici delle rispettive Chiese locali - con la partecipazione di
intellettuali dell’epoca, per cercare
intese più larghe: inutilmente in genere. Permanevano aspri dissensi. Volavano
anatemi e si è continuato così fino al Concilio Vaticano 1° (interrotto nel
1870), che fu l’ultimo di quelli che li lanciarono (I Concilio Vaticano 2° non
li formulò). Nel Quarto secolo tutto diventò una questione di stato, per
iniziativa di Costantino 1°, nel quadro di una spettacolare riforma che portò
il centro dell'impero romano a Bisanzio-Costantinopoli, in
Tracia, in ambiente ellenistico. L'idea: il potere dell'imperatore non più come
quello di un dio in una religione politeistica in cui gli dei non erano
onnipotenti, nascevano e morivano, ma come quello del vicario dell'unico
Dio onnipotente, Creatore del Cielo e della Terra. L'obiettivo del primo dei
Concili detti ecumenici, convocato dall’imperatore romano svoltosi a Nicea nel 325, fu, dal punto
di vista politico, quello di creare la cornice teologica per sacralizzare
quel potere supremo. Ha funzionato fino a metà Novecento. Da quella teologia
nacque la gerarchia, in un processo di accentramento
intorno all'imperatore. Gli storici ricordano che nel corso del fatale Quarto
secolo si creò un corso degli onori, una carriera, parallelo a quello
civile, i cui gerarchi esercitavano anche poteri pubblici. Era conveniente
seguire la via ecclesiastica, perché a) non si trattava di poteri a scadenza,
come quelli dei funzionari civili; b) non si aveva l'onere di raccogliere
tributi per l'imperatore; c)non si avevano quei problemi di celibato che poi
sorsero molto dopo. Un esempio di passaggio dalla carriera civile
a quella ecclesiastica fu quello di Ambrogio, a Milano.
La concezione teologica del Popolo di Dio accreditata
durante il Concilio Vaticano 2° si distaccò marcatamente da quel quadro.
Gli storici ricordano che nei documenti di quel Concilio si mantennero però
formule di compromesso per allargare i consensi. Ciononostante, i fondamenti
del potere della gerarchia furono piuttosto scossi. Dagli anni '80, con una
serie di provvedimenti del Papa regnante si cercò di tornare indietro.
In una Chiesa sinodale, come oggi si vorrebbe suscitare, quindi
anche con l’attiva partecipazione della gente non incatenata alla gerarchia quanto
a stato di vita, la gerarchia com’è
ora strutturata ed espressa è dissonante. Ne risulta coinvolto anche il Papato, che ancora viene
presentato in una cornice giuridica totalitaria. Questo della conciliazione tra
partecipazione larga e potere
gerarchico, se mai vi può essere, è
il centro della questione sulla sinodalità. Tutto il resto è
contorno. Una volta superato questo problema, non avrebbe più senso la
categoria di persona laica, perché tutta la gente di fede, a prescindere
dal ministero ecclesiale svolto, sarebbe libera di partecipare realmente
alla vita della Chiesa.
Ci sono due modi di risolvere la questione: dall'alto e dal
basso.
Dall'alto la via si presenta sbarrata, perché tutto il potere è della
gerarchia, che non appare disposta a rinunciarvi. Non accetta la
partecipazione, ma solo limitate forme di consulenza, e una cooperazione
meramente esecutiva di decisioni già prese. Qui la riforma è ostacolata dalle aspettative
personali di carriera, dai contrasti tra centri di potere per il controllo e
dal peso della gestione di un immane patrimonio.
Dal basso c'è invece qualche possibilità, iniziando progressivamente
a sviluppare forme di codecisione nelle realtà di prossimità, come le
parrocchie. Per creare una cultura popolare della sinodalità che non c'è mai
stata, ma che, almeno in Italia, può essere favorita dal contesto democratico
in cui si vive, nel quale le persone fanno esperienza reale di codecisione
negli affari pubblici. E' appunto a questo livello che i processi
sinodali sono iniziati e la scelta, del Papa, è stata consapevole. Si confida
che un moto dal basso finisca per esercitare una pressione in alto. Ma le
indicazioni, non vincolanti, date finora da chi ha assunto il controllo di
questi processi a livello intermedio è quella di non consentire di
discuterne, di questo come di ogni altra cosa. Sembra che si voglia trasformare
i processi, almeno per le persone laiche, in una specie di serie di esercizi
spirituali edificanti, nei quali ciascuno manifesti la propria
interiorità senza cercare intese con gli altri. Le conclusioni dovrebbero
essere tratte in alto. Del resto non
siamo più nel clima effervescente degli anni Settanta. Oggi ci si serve
della religione per il benessere personale, per le cerimonie delle tappe della
vita e, delegando l’episcopato, a fini identitari. Quindi poi l'interiorità non viene impegnata più di tanto: per questo temo che la spiritualità sinodale,
se tutto si limiterà ad essa, si risolva, a poco. Infatti, guardando
come si è iniziato, si è visto che si lanciano appelli alla gente (non sempre
convinti, però, e raramente con informazioni sul contesto) e vengono in poche
decine, che non sanno bene di che si tratta e che nemmeno possono esprimersi
liberamente.
Tuttavia non siamo condannati a
rassegnarci a questo.
L’idea del Papa, espressa in più
occasione, è che iniziando a camminare insieme nei processi sinodali già si realizza una Chiesa sinodale. Ma,
se ognuno non fa uno sforzo per intendersi con le altre persone, limitandosi a
proporre la propria prospettiva, questo non accadrà. Occorre non solo
questo, ma suscitare e mantenere attivo nel tempo un movimento di Chiesa sinodale,
iniziando con il ripristinare e allargare nelle realtà di base gli spazi di
partecipazione che già sono previsti. Questi processi sinodali in corso non sono una volta tanto. Ma
come sarà possibile farlo se si ha così poca consuetudine con che oggi si
intende per sinodalità?
Ecco, è per questo che ho pensato a
un manuale operativo di sinodalità.
3. Un manuale operativo
di sinodalità si basa sull’esperienza
dell’organizzazione della partecipazione secondo il metodo democratico fatta in
Azione Cattolica, in altre associazioni ecclesiale e nell’associazionismo in
genere.
Vuole fornire sintesi storiche per inquadrare
il contesto nel quale è sorta l’esigenza di maggiore sinodalità, cercando di contribuire a superare le profonde lacune che in merito vi sono in genere nella
formazione di base.
Rifugge fini propagandistici e non ha come
obiettivo quello di incentivare o incrementare una qualche spiritualità. Non ha di mira l’approfondimento
dottrinale, se non per evidenziare gli strettissimi nessi tra l’evoluzione in
quel campo e quella sociale.
Si propone di dare indicazioni per
organizzare concretamente la sinodalità, in particolare su come strutturare il
processo decisionale partecipato in una collettività di prossimità come la nostra
parrocchia.
Un manuale di questo tipo è sempre un lavoro
in corso: deve essere costantemente integrato e corretto sulla base dell’esperienza
che si va facendo. Si impara dall’esperienza.
Chiesa sinodale è dove, nel campo delle attività
ecclesiali, che riguarda essenzialmente la diffusione e la pratica del vangelo,
si decide collettivamente in modo realmente partecipato, in modo che nessuna persona
ne venga emarginata. Si dà per presupposto che ciò rientri nell’agàpe religiosamente intesa. Si dà anche per
presupposto che ciò che oggi serve per la partecipazione dipende dallo sviluppo dei
tempi, per cui non si possono trarre indicazioni operative dalla teologia
biblica, se non come ispirazione ideale. Non si tratta, in particolare, di
riproporre qualcosa che c’è sempre stato, o che ci fu alle origini per cui basti ritornarvi, e che, quindi, rientri in ciò che
in teologia si definisce come Tradizione: la sinodalità totale come oggi ci viene proposta è un’idea nuova
nella nostra Chiesa ed è sostanzialmente collegata ai processi democratici
avanzati che si sono affermati in Occidente dalla metà del secolo scorso, quelli
che comprendono l’obiettivo politico della costruzione della pace globale nelle
proprie ideologie.
Mario Ardigò
– Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli