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Manuale
operativo di sinodalità
-7-
Gli scopi
Nei processi sinodali in corso, quello per
tutte le Chiese del mondo e quello per le Chiese in Italia, la sinodalità è
insieme metodo e scopo. Andare d’accordo per fare il bene è già vangelo e
facendo il bene insieme si è più efficaci. Per andare d’accordo occorre però
intendersi su che cosa è il bene e questo lo si può stabilire solo facendo
riferimento ad uno specifico contesto umano, ad una storia, ad una società
o a più società in relazione tra loro. Il
vangelo iniziò ad essere predicato proprio in quel modo, in una specifica
società, nel mentre si faceva il bene e anche mediante quel bene che si faceva,
non solo a parole. Manifestò presto una notevole capacità espansiva, già
durante la vita terrena del Maestro, man mano che raggiungeva altre società e
culture e così l’iniziale predicazione si fece via via più complessa. Scaturì
in una società complessa, nella quale si intrecciavano più culture, nella
Galilea degli inizi del Primo secolo, detta “delle genti”¸ appunto per
quel suo essere l’ambiente di gruppi di differenti etnie, culture, lingue.
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato
arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a
Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di
Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta
Isaia:
Terra
di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla
via del mare, oltre il Giordano,
Galilea
delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide
una grande luce,
per
quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una
luce è sorta. [*]
Da
allora Gesù cominciò a predicare e a dire: "Convertitevi, perché il regno
dei cieli è vicino".
[dal Vangelo secondo Matteo, dal capitolo 4,
versetti da 12 a 17 – Mt 4, 12-17 – versione CEI 2008]
Poi Gesù andò via di là e si ritirò dalle parti
di Tiro e di Sidone. Una donna pagana che veniva da quella regione si
presentò a Gesù gridando:
— Signore, Figlio di Davide, abbi pietà di me!
Mia figlia sta molto male, uno spirito maligno la tormenta.
Ma Gesù
non rispondeva nulla. Si avvicinarono allora i suoi discepoli e gli
dissero:
— Mandala a casa, perché continua a venirci
dietro e a gridare.
Gesù disse:
— Io sono stato mandato soltanto per le pecore
sperdute del popolo d’Israele.
Ma quella donna si metteva in ginocchio davanti
a lui e diceva:
— Signore, aiutami!
Allora Gesù rispose:
— Non è giusto prendere il pane dei figli e
buttarlo ai cagnolini.
E la donna disse:
— È vero, Signore. Però, sotto la tavola, i
cagnolini possono mangiare le briciole che cadono ai loro padroni.
Allora Gesù le disse:
— O donna, davvero la tua fede è grande! Accada
come tu vuoi.
E in quel momento sua figlia guarì.
[Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 15,
versetti da 21 a 28 – Mt 15, 21-28 – versione italiana TILC Traduzione interconfessionale in lingua
corrente]
Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue
parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. Il servo
di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione [un ufficiale
dell’esercito romano occupante, persona non di etnia né di religione giudaiche
– nota mia] l'aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di
Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il
suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza:
"Egli merita che tu gli conceda quello che chiede - dicevano
-, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la
sinagoga". Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante
dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: "Signore,
non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per
questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di' una parola
e il mio servo sarà guarito. Anch'io infatti sono nella condizione di
subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: "Va'!", ed egli
va; e a un altro: "Vieni!", ed egli viene; e al mio servo: "Fa'
questo!", ed egli lo fa". All'udire questo, Gesù lo ammirò e,
volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: "Io vi dico che neanche in
Israele ho trovato una fede così grande!". E gli inviati, quando
tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
[Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 7, versetti
dal primo al 10 – Lc 7,1-10 – versione CEI 2008]
[*] Citazione dal libro del profeta Isaia:
In passato umiliò la terra di Zàbulon e la
terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il
Giordano, Galilea delle genti.
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
[dal libro del profeta Isaia dal capitolo 8,
versetto 23 e dal capitolo 9, versetto 1 – Is 8,23; 9,1 – Versione CEI 2008]
Ciò
che viene ritenuto bene in un
gruppo può non essere tale in un altro.
Ogni società costruisce la sua idea di bene, che quindi è un suo
elemento culturale, e, come tutti gli elementi culturali, varia nel tempo, in
particolare di generazione in generazione e quando i gruppi si incontrano. I
gruppi umani apprendono gli uni dagli altri molto velocemente e questa è una
caratteristica fondamentale che distingue gli umani dagli altri viventi, anche
dalle specie più vicine, ed è anche la
ragione per la quale essi sono arrivati a dominare tutte le altre specie
diffondendosi massivamente sulla Terra, fino ad arrivare a sentirsene
responsabili. L’assimilazione dei costumi di altri popoli era sentito come una
colpa nell’antico giudaismo, come una prostituzione e contaminazione. I cristianesimi, nel Primo
secolo, iniziarono a separarsi dall’originario giudaismo proprio superando questa
concezione.
Al
centro dell’enciclica Laudato si’, diffusa sotto l’autorità di papa
Francesco nel 2015
vi è l’individuazione di una serie di beni, quindi anche di scopi perché si tende verso il bene, che vengono
ritenuti cruciali per la sopravvivenza dell’umanità, non di una qualche sua
società, e quindi comuni in questo senso e rilevanti anche in religione,
perché il vangelo è per la vita e fin dal Maestro la sua predicazione fu
accompagnata dal soccorso alla vita.
Quell’enciclica, come ricordato dallo stesso Papa, è frutto di un lavoro
collettivo, come tutti i documenti che rientrano nella dottrina sociale contemporanea. Non scaturisce solo dalla
riflessione teologica, sebbene la contenga. Ha in sé il risultato di diverse
altre scienze, della natura e sociali. Questa è una conquista, recente, molto
importante, perché, almeno fino dagli inizi del secolo scorso, la nostra fede
si manifestò come nemica delle scienze non teologiche. Va detto anche che, tra
i cattolici, solo da pochi decenni e non senza difficoltà la stessa teologia si
manifesta come una scienza libera nel suo riflettere, benché costretta dal 1992
nelle strette maglie di un catechismo che, utile strumento formativo per
i più, verso i teologi, in particolare quelli espressi da clero e religiosi, è
un asfissiante strumento di polizia ideologica.
Ora,
bisogna capire che, secondo papa Francesco, la sinodalità totale che egli propone serve non solo alla vita
liturgica e alla spiritualità personale, ma anche a contribuire a realizzare quei
beni dai quali oggi dipende la sopravvivenza, innanzi tutto, e poi anche la
felicità dell’umanità. E’ una visione anche specificamente politica perché occorrerà correggere il governo delle
società umane a livello globale, che attualmente è ancora improntato alla lotta
per la sopravvivenza e il predominio condotta dalle società le une contro le
altre, fondamentalmente secondo i nostri costumi ancestrali, risalenti addirittura
a prima che la nostra specie si differenziasse dagli altri primati.
Se però
si segue la via della sinodalità quell’obiettivo non può essere
imposto in base alla supremazia gerarchica, ma deve essere condiviso acculturandosene.
Insomma
la sinodalità non può essere gerarchicamente imposta, perché altrimenti
non è più tale. Lo stesso deve dirsi per tutto gli obiettivi che si voglia
conseguire per via sinodale.
Questo
naturalmente pone in primo piano le intese tra i gruppi, anche all’interno della nostra
Chiesa. Benché la si voglia immaginare come totalitaria, in realtà non
lo è e non lo è mai stata. E’ stata sempre nella sua lunga storia una realtà sociale pluralistica,
anche se spesso il pluralismo è stato concepito come una imperfezione o una
colpa. Quindi si è cercato di rimediarvi costruendo autorità gerarchiche sacralizzate,
dichiarate come voci del Cielo, sue vicarie, specialmente da
quando i capi delle nostre Chiese si assunsero il compito di ordinare il
mondo secondo Dio. Questa espressione, discutibile sotto vari aspetti, si
trova anche usata in uno dei più importanti documenti del Concilio Vaticano 2°,
la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti, a proposito del
compito svolto nella società dai fedeli liberi da legami propriamente
gerarchici:
31. […] Per loro
vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose
temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti
i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita
familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio
chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla
santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello
spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri
principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della
loro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta
di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente
legati, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e
siano di lode al Creatore e Redentore.
Osservando senza paraocchi teologici la vita religiosa
praticata nelle nostre Chiese, è possibile individuare le seguenti tendenze,
che troviamo anche nella nostra parrocchia, che espongo nell’ordine di frequenza:
a)la vita di fede strutturata per l’edificazione della propria
spiritualità personale e per meritarsi la salvezza nell’aldilà mediante la frequenza
ai sacramenti, la correzione delle condotte ritenute peccaminose dalla Chiesa, la
pratica della benevolenza misericordiosa in famiglia e nella società in genere;
b)la vita di fede centrata sugli effetti miracolanti di persone e
santuari, da suscitare implorandoli orando;
c)la vita di fede che si attua mediante azioni collettive di solidarietà
sociale (il volontariato);
d)la vita di fede finalizzata essenzialmente alla costruzione di
neo-comunità molto coese e separate dalla società intorno mediante barriere
dottrinali e divieti di commistione;
e)la vita di fede vissuta come difesa di una tradizione ecclesiale contro i costumi della contemporaneità, vista
essenzialmente come degenerati;
f)la vita di fede concepita come approfondimento intellettuale di ciò
che la Chiesa propone a credere;
g)la vita di fede concepita come sinodalità per cambiare il mondo nel
senso della pace, della solidarietà e benevolenza, della programmazione dell’uso
delle risorse in modo che tutti ne abbiano almeno la parte che occorre per
vivere liberi dalla povertà, che non si esauriscano in modo da privarne le
future generazioni e da danneggiare irrimediabilmente gli ecosistemi indispensabili
per la sopravvivenza, e ciò in unione fraterna con tutte le altre forze sociali
che si propongono lo stesso obiettivo, in particolare senza alcuna discriminazione
religiosa. Questi sono gli obiettivi indicati nell’enciclica Laudato si’.
In alcuni gruppi, queste tendenze coesistono.
Altri ne radicalizzano una e ne avversano altre. Questo accade, in particolare,
nei gruppi di orientamento fondamentalista e integralista.
Fondamentalismo è quando si cerca pervicacemente di mantenere
costante e immodificabile un nucleo di alcune concezioni o tradizioni
ritenute non negoziabili ritenendole. quelle e solo
quelle, costitutive dalla propria identità sociale; integralismo è
quando si cerca di contrastare le tendenza all’assimilazione da parte di altri
gruppi. Fondamentalisti e integralisti sono accomunati dal far poco
conto sulle ragioni degli altri e, quindi, dalle difficoltà nel dialogare con
loro.
Analogamente si fa nei gruppi che si dicono tradizionalisti.
Il tradizionalismo
ecclesiale cattolico è espresso da quei gruppi che ritengono voluto dal Cielo
l’ordinamento gerarchico totalitario espresso nel Secondo Millennio dal Papato
romano e che, inoltre, sacralizzano etnie, costumi, ordinamenti sociali,
poteri gerarchici, rapporti di classe, vissuti
prima dell’affermazione dei processi democratici, nel Settecento.
Essi avversano
duramente papa Francesco, perché vive ed esprime la propria missione in modo abbastanza
diverso dai suoi predecessori, in particolare quando promuove la sinodalità
totale. Per manifestarlo meglio, egli è andato a vivere in un albergo nella
Città del Vaticano e non nella reggia che gli spetterebbe in quanto sovrano
assoluto di un regno territoriale e, insieme, religioso.
Dalla
metà degli anni ’80 la vita religiosa nella nostra parrocchia è stata
caratterizzata dal conflitto durissimo tra tendenze fondamentaliste e integraliste
e gli altri orientamenti, sopito ma non
ancora risolto. In realtà mi pare che si vivano dure religioni diverse, tanto
sono distante le vedute e si è diffidenti, e anzi insofferenti, gli uni degli
altri.
In
passato, la via per ristabilire l’unità era quella della sconfessione di uno o
più tendenze da parte della gerarchia. Da qui poi anche un certo clientelismo
clericale dei gruppi per assicurarsi il favore di questo o quel gerarca. L’Azione
Cattolica italiana ne ha fatto purtroppo le spese, perché a lungo è stata ritenuta
non più adeguata a quella lotta contro le tendenze laiciste che contrastavano i
valori evangelici, il potere dell’apparato
ecclesiastico nella e sulla società, nell’educazione e nelle questioni coniugali,
riproduttive, di mantenimento artificiale della vita, e i suoi interessi economici, il tutto indistintamente
denominato valori non negoziabili.
Se si
prende sul serio l’esortazione alla sinodalità, occorre ripudiare quel
metodo.
Ma,
allora, come fare unità sul da farsi, come intendersi sugli scopi da perseguire nella vita di Chiesa?
Innanzi
tutto occorre accettare che gli altri esistano con i loro orientamenti e riconoscerli
come parte della Chiesa, anche se ne
hanno diversi dai nostri. Anche all’interno della nostra stessa Chiesa occorre
ripudiare il proselitismo, che avvelena l’ecumenismo contemporaneo e che
consiste nel cercare di distruggere gli altri gruppi convertendone gli aderenti, spacciando la propria via come l’unica
praticabile in concreto o la
migliore, o, addirittura, l’unica voluta dal Cielo, affibbiando alle altre
una patente di eresia.
E poi
occorre vedere se, in concreto, vi sono spazi di collaborazione, per rimanere
uniti nello stesso modo in cui lo si è partecipando all’Eucaristica, che i pastori
ci presentano come il centro della vita ecclesiale.
Il
principale ostacolo all’intesa sono i partiti presi, vale a dire i
pregiudizi, e le questioni di sole parole. Spesso nella vita di Chiesa mi sono
trovato in mezzo a un insopportabile e incolto chiacchiericcio in ecclesialese,
il gergo che mischia disinvoltamente termini teologici per strumentalizzarli a
proprio uso e consumo. Fortunatamente dal punto di vista teologico non dobbiamo
inventarci nulla perché di teologia, e in particolare di definizioni, abbondiamo
e non starei a rimestarci sopra, data anche la scarsa padronanza dei più nelle discipline
di riferimento. Ci sono costate tanto dolore e ciò fin dalle origini, dai
bellicosi e irascibili cosiddetti Padri della Chiesa e con tutti quelli che nei secoli
seguenti si sono posti sulla stessa via, incapaci di vera sinodalità, che c’è
non quando si raggiunge una qualche precaria adesione a delle definizioni, ma
quando si realizza in concreto l’agàpe.
La via
giusta per l’intesa è cercare di capire gli altri, dialogando con loro. E’ quindi
assurdo il metodo del semplice accostamento di prospettive, senza dibattito, quindi senza dialogo,
suggerito dal pretenzioso redattore delle Indicazioni metodologiche per il cammino sinodale delle Chiese italiane.
Come capirsi senza parlarsi? Certo: c’è la possibilità del contrasto, ad
esempio quando proprio non ci si sopporta. Ma, allora, sarebbe meglio ignorare questa
realtà, senza cercare di sanarla?
Ma, dialogando, non si cambierà nelle
convinzioni che, prima del dialogo, ritenevamo non negoziabili? Un
gruppo integralista temerà questo effetto e cercherà di limitare la sinodalità al
proprio interno, controllandola gerarchicamente. Questo naturalmente impedirà
di intendersi. Non vi è sinodalità se non si cerca di superare le divisioni e,
soprattutto, quando le persone rimangono sottomesse a poteri gerarchici, per
cui non sono libere.
Bisogna
osservare che, se si fosse scelta con pervicacia quella via, probabilmente i cristianesimi
si sarebbero estinti già nella fase in cui erano espressione del giudaismo loro
coevo. Non si sarebbero acculturati all’ellenismo e il vangelo non sarebbe
stato predicato al di fuori della diaspora giudaica, nella quale storicamente
prevalsero altre tendenze. In particolare non avrebbero sviluppato quell’universalismo
che ancora consente loro di avere presa nelle più diverse società del mondo.
Scrisse
il sociologo Peter L. Berger, in I molti altari della modernità. Le
religioni al tempo del pluralismo, 2014 Walter de Gruyter inc.; edizione
italiana EMI 2017:
Un modo semplice per descrivere
la globalizzazione è mostrare che, in modo crescente, tutti parlano con tutti.
Non solo le grandi masse di persone si spostano in tutti il pianeta, temporaneamente
come viaggiatori o permanentemente come migranti, vi è anche un enorme aumento
della conversazione “virtuale”, perché la stampa e i media elettronici diffondano
la conoscenza di culture diverse dalla propria. La religione non rimane fuori
di questa interazione planetaria.
Nel
1910 la grande Conferenza missionaria mondiale di Edimburgo, formata per lo più
da delegati protestanti provenienti dall’Europa e dal Nord America, proclamò il
XX secolo l’era dell’evangelizzazione del mondo intero. E così è stato. Nel
secolo scorso il cristianesimo è cresciuto enormemente in tutto il globo, al
punto che ora vi sono più cristiani nel cosiddetto Sud del pianeta (America Latina,
Africa e Asia) che nei due continenti da cui provenivano i delegati che si
riunirono a Edimburgo.
[…]
Almeno le grandi tradizioni religiose sono,
per così dire, disponibili come non mai – attraverso i libri, i media e, occasionalmente,
per mezzo di loro rappresentanti in carne e ossa. Perciò il pluralismo religioso
non è più un fenomeno limitato agli occidentali curiosi che si aggirano tra gli
scaffali della sezione “Religioni” delle migliori librerie.
[…]
Il pluralismo
ha l’effetto di relativizzare le visioni del mondo, e porta a capire che il
mondo può essere compreso in maniere differenti. In altre parole, gli individui
non possono più dare per certa la visione del mondo in cui sono nati.
[…]
Il
fondamentalismo può essere definito come un progetto di eliminazione totale del
dubbio. Rappresenta anche un tentativo di restaurare, nell’ambito della
modernità, la certezza data per scontata di una società premoderna. E’ un’operazione
molto difficile che richiede l’instaurazione di un regime totalitario che
controlli l’intera società – operazione a costi altissimi, sia in termini
economici sia in altri termini – oppure di istituire un minitotalitarismo contro
le contaminazione cognitive dall’esterno. Ovunque la libertà venga assunta come
un valore, un’analisi come questa può sembrare poco incoraggiante.
Un’ultima
osservazione: il pluralismo cambia la modalità (il “come) piuttosto che i
contenuti (il “che cosa”) della fede di un individuo. […] Quel che prima era un
destino sicuro è divenuto oggi una scelta deliberata. Le implicazioni di tale cambiamento
sono immense.
[…]
La
confluenza di due sviluppi moderni, l’ampia diffusione del pluralismo come dato
di fatto e della libertà religiosa come norma politica, è ormai diventata un fenomeno globale.
[…]
Il pluralismo
cambia anche i rapporti reciproci tra le istituzioni religiose, orientandole in
senso lato verso la tolleranza ecumenica e interreligiosa.
[…]
Infine,
il pluralismo cambia la relazione tra clero e laici. Un laicato non gravato da
costrizioni acquisisce inevitabilmente potere di fronte alle autorità religiose
e al clero.
Se si vuole seguire con
determinazione la via della sinodalità intraecclesiale, indispensabile per rendere
capace la nostra Chiesa di predicare e praticare il vangelo nel mondo globalizzato
di oggi, occorre anche organizzare un ecumenismo tra gruppi ecclesiali che si atteggiano a
religioni distinte, nonostante i comuni riferimenti culturali.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli