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sinodali
Sito del Sinodo 2021-2023 (generale)
Siti del cammino sinodale delle Chiese italiane
https://camminosinodale.chiesacattolica.it/
Sito della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi
http://secretariat.synod.va/content/synod/it.html
Manuale
di sinodalità
-5-
Scopi e
condizioni della sinodalità totale
1. Sinodalità totale significa revisionare ideologie e strutture
ecclesiali in modo che ogni persona di fede possa realmente partecipare alle
nostre Chiese, che attualmente non sono sinodali in quel senso.
Infatti:
-solo le
persone che si legano alla gerarchia ecclesiale con un impegno rafforzato di sudditanza e ne
dipendono per vivere, rischiando la rovina personale violandolo, sono ammesse a
partecipare alle decisioni;
-tutte
le altre persone sono del tutto escluse da quell’ambito, e possono intervenire
solo come consulenti, a discrezione della gerarchia;
-il
potere esercitato dalla gerarchia ecclesiale è accentrato intorno al Papato
romano, che si presenta come una struttura totalitaria;
-lo
statuto ecclesiale di movimenti, associazioni, confraternite organizzate dalle
persone di fede libere è condizionato ad una qualche forma di sudditanza alla
gerarchia ecclesiale, nei confronti della quale le relazioni non sono mai paritarie.
La Chiesa, almeno in Occidente, e in
particolare nell’Unione Europea, è composta da persone libere, ma in sé non è
una società libera.
Il punto di vista del Papato sul
totalitarismo è in fondo rimasto quello espresso dal papa Pio 11° - Achille
Ratti in un discorso tenuto il 18 settembre 1938 a Castel Gandolfo, che non
sono riuscito a reperire nel testo integrale.
Se ne fa menzione in Daniele Menozzi, Storia
della Chiesa. 4. L’età contemporanea, EDB 2019 [1]:
Il 18
settembre 1938, ricevendo a Castel Gandolfo il pellegrinaggio della Confédération
Française des travailleurs chrétiens, Pio XI pronuncia un discorso in cui, dopo aver
affrontato la questione del rapporto tra comunità e individuo alla luce della
dottrina sociale della Chiesa, prende esplicitamente posizione sul
totalitarismo.
[…]
L’intervento pronunciato da Pio XI nel
settembre del 1938 marca una presa di coscienza rispetto al rilievo assunto dal
fenomeno del totalitarismo nella società contemporanea. Pur segnando uno scarto
rispetto alla precedente manifestazione di disponibilità, non implica però
l’acquisizione della elaborazione compiuta dalla coeva cultura politica. Il
papa infatti proclama che la proposta di uno «stato totalitario» rappresenta
una falsità evidente, dal momento che essa attribuisce allo Stato il compito di
disciplinare tutta la vita dell’individuo, persino gli aspetti spirituali e
interiori. Si manifesta così la sua antitesi al cristianesimo. Il pontefice la
esprime con queste parole: «se c’è un regime
totalitario – totalitario di fatto e di diritto – è il regime della Chiesa,
perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa [deve appartenerle, dato che l’uomo è
la creatura del buon Dio, egli è il prezzo della Redenzione divina, è il servitore
di Dio, destinato a vivere quaggiù, e con Dio in cielo. E il
rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio non è che la
Chiesa. Allora la Chiesa ha veramente il diritto e il dovere di reclamare
la totalità del suo potere sugli individui: ogni uomo, tutto intero, appartiene
alla Chiesa, perché tutto intero appartiene a Dio. – parole tratta dalla fonte
di cui alla nota 1]». Ratti dunque non mette in questione il totalitarismo
che, anzi, sembra apprezzare al punto da presentarlo come il regime della
Chiesa. Asserisce però che l’unica sua autentica realizzazione si trova nella
Chiesa. Non si tratta soltanto di una contrapposizione di principio. Riguarda
anche il concreto assetto della vita collettiva.
L’idea che una persona
umana sia totalmente nel potere di una organizzazione sociale, sebbene
sacralizzata come una Chiesa, è diventata obsoleta in Europa. I cristiani
democratici, molto più che il Papato, l’hanno contrastata radicalmente e, anzi,
il Papato ha seguito progressivamente, a partire dal regno del papa Pio 12° -
Eugenio Pacelli, quel loro orientamento,
muovendo dalle posizioni espresse nel 1938 dal papa Pio XI, sotto il cui regno
furono conclusi con il Regno d’Italia dominato dal fascismo mussoliniano i
discussi Patti Lateranensi. La si
vuole correggere anche all’interno delle nostre Chiese e anche con riguardo al
potere del Papato con la proposta della sinodalità totale.
2. Sinodalità totale è quella non limitata ai gerarchi. Nella
storia della Chiesa cattolica si trova solo quella dei gerarchi.
L’uso
del termine gerarca suona quasi
offensivo, irrispettoso, nell’italiano
contemporaneo, perché si ha ancora memoria di quando anche i capi più
importanti del Partito Nazionale Fascista vennero definiti come tali. Ma la
parola origine nel lessico ecclesiastico, dove è ancora di uso comune. Si legge
ad esempio nel Documento preparatorio per il Sinodo dei Vescovi 2021-2023 diffuso lo
scorso settembre:
28. Inoltre, nella
rilettura delle esperienze, occorre tenere presente che “camminare insieme” può
essere inteso secondo due diverse prospettive, fortemente interconnesse. La
prima guarda alla vita interna delle Chiese particolari, ai rapporti tra i
soggetti che le costituiscono (in primo luogo quelli tra i Fedeli e i loro
Pastori, anche attraverso gli organismi di partecipazione previsti dalla
disciplina canonica, compreso il sinodo diocesano) e alle comunità in cui si
articolano (in particolare le parrocchie). Considera poi i rapporti dei Vescovi
tra di loro e con il Vescovo di Roma, anche attraverso gli organismi intermedi
di sinodalità (Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali e arcivescovili
maggiori, Consigli dei Gerarchi e Assemblee dei Gerarchi delle Chiese sui
iuris, Conferenze Episcopali, con le loro espressioni nazionali,
internazionali e continentali).
Il gerarca non è solo una persona il cui potere è sacralizzato,
vale a dire presentato come voluto da un dio e quindi intangibile pena sanzioni
soprannaturali. E’ la persona che domina sulle altre mediante il sacro,
vale a dire presentandosi come vicaria di un dio: essa tiene luogo del dio in Terra.
E’ proprio questo aspetto che determinò, nel Quarto secolo, l’imperatore romano
Costantino 1° a integrare la religione cristiana nel suo potere assoluto,
facendosi costruire nel primo Concilio ecumenico della storia delle nostre Chiesa una teologia
appropriata, che ancora oggi funziona e che si ritiene inglobata nella
Tradizione, vale a dire nel complesso di definizioni essenziali della
nostra fede che si ritiene siano state sempre e dovunque credute, fin dalle prime
origini e per questo dotate di particolare affidabilità. Elemento che, va
detto, non storicamente ricorre per le definizioni approvate in quel
Concilio, che infatti rimasero a lungo controverse. Anche la definizione di Tradizione
è, in definitiva, un elemento
culturale e ogni epoca si è scelta la propria.
A
proposito di gerarchi e di gerarchia, Il filosofo Aldo Capitini, l’ideatore e promotore della marcia per la
pace Perugia Assisi, il 27 ottobre 1958 spedì al vescovo di Perugia, dopo
l’assoluzione in appello del prelato, condannato in primo grado per diffamazione
per aver definito concubini due
coniugi sposati solo in sede civile, una lettera della quale trascrivo alcuni
passi:
Signor
Arcivescovo,
nei registri dei battezzati di Perugia risulta
che, poco dopo la mia nascita – così mi è stato detto - fui battezzato; ma da più decenni non
frequento la Chiesa cattolica, ed ho più volte affermato che la religione
cattolica non è la religione che intendo
professare. E alla porta di alcune chiese perugine sta un suo “Monito”, che fa
divieto ai cattolici di frequentare il Centro di orientamento religioso perché,
come dice il Monito, “diretto” da me.
Le ragioni del mio distacco dalla religione
cattolica le ho esposte più volte, e non sto qui a ripeterle.
[…]
E a me, mai iscritto al fascismo per fedeltà alla nonviolenza, alla
libertà di tutti e alla giustizia nella struttura sociale, la conciliazione tra
il Vaticano e il tiranno, accompagnata da un opulento scambio per anni di
favori e di elogi, chiarì per sempre che
non si poteva aspettare dalla Chiesa di Roma né lo sviluppo dello spirito
cristiano, né la difesa della libertà, della giustizia, della pace. E’
insostenibile ciò che ora si tenta di fare
attraverso citazioni di frasi generiche, per ricoprire che il Vaticano
aiutò per anni il regime fascista in
modo decisivo, ed assomiglia ai pietosi racconti di certe private persone che
ci è accaduto di incontrare negli anni successivi al ’44 e ’45.
L’attuale potenza poi, e le moltiplicate espressioni dottrinarie e
l’ancor più accresciuta attività pratica, hanno secondo me, il solo vantaggio
(a parte gli utili che ne traggono i devolti conformisti) di confermare ciò che alcuni di noi pensarono nel trentennio passato, dover
lavorare intensamente per una riforma
religiosa: quando i più si sveglieranno, saranno portati, come accade nelle
reazioni, a travolgere lo strapotere politico-economico e le posizioni religiose,
s che cadranno tante parti vecchie di queste; allora ci vorranno posizioni,
idee, persone, centri, iniziative, all’altezza di una rinascita religiosa,
certamente non più papista, ma tale da accumunare Occidente e Oriente;
rinascita e nuova vita religiosa che urge, e che l’animo di tutti, malgrado
tutto, chiede e invoca. A questo io vorrei lavorare, e non da solo, ma con
tanti, liberi cristiani, liberi religiosi, gandhiani.
Per questo non posso e non voglio dirmi cattolico, nel senso di credente
nella dottrina professata dalla Chiesa
di Roma e dal suo Capo, eletto dai cardinali: che io sia stato battezzato, cioè
iscritto nei registri di tale istituzione, è un fatto che non ricorso; e non
posso ammettere che per tale fatto un’autorità che non riconosco per tale,
esiga da me ubbidienza e credenza, e possa legittimamente anche insultarmi.
[…]
La prego, signor Arcivescovo, di fare quegli
atti che mi sottraggano alla giurisdizione di gerarchi a cui non riconosco su
di me un potere superiore a quello di ogni altro essere. Non ho odio per nessuno,
e certamente non l’ho per quei
gerarchi. E voglio essere libero di
considerare le osservazioni, le
critiche, le ingiurie che essi mi rivolgano, nello stesso modo con cui posso
considerare quella rivolte da altri uomini, che possono sbagliare e possono aver ragione.
Ma se lo Stato di cui facci parte come cittadino non tutela tale
uguaglianza, debbo provvedere io con la mia coscienza, del tutto aliena dal
portare offesa ai miei amatissimi genitori, che credettero di farmi un bene
battezzandomi, ma che ebbero sempre
rispetto per le mie decisioni, compresa quella di rifiutare l’iscrizione al
partito fascista, con la pena del licenziamento dall’impiego.
La riforma religiosa agognata da Capitini fu promossa dal papa Giovanni
23° - Angelo Roncalli l’anno successivo a quella lettera e fu progettata tra il
1962 e il 1965 dal Concilio Vaticano 2°. Oggi ci troviamo in una situazione
molto diversa da quella degli anni Cinquanta. In particolare con la Dichiarazione sulla
libertà religiosa Della dignità umana è stata riconosciuta la libertà di
coscienza di ogni persona, comprese quelle di fede cattolica, per cui
anche l’esercizio dell’autorità pontificia ed episcopale si atteggia in maniera
diversa, almeno nei confronti di coloro che sono incatenati nella gerarchia e che costituiscano la grande
maggioranza dei Popolo di Dio. Si tratta ora di portare a termine quel
disegno dopo la lunga fase di stasi e addirittura di arretramento dalla metà
degli anni ’80.
Il totalitarismo gerarchico, determinato
fondamentalmente da questioni di politica è ecclesiastica, è il maggior
ostacolo allo sviluppo dei ministeri ecclesiali esercitabili dalle persone non
inquadrate in un ordine sacralizzato. Ma è anche ciò che impedisce alle
nostre Chiese di avvantaggiarsi dell’esperienza di fede di tutti in quel campo
di attività che viene denominato pastorale perché riguarda il lavoro in società e non la definizione
di formule in base alle quali discriminare l’appartenenza
delle persone.
3. Nelle varie
commissioni che si vanno costituendo per indirizzare i cammini sinodali iniziati dallo scorso ottobre, vedo l’assoluta
preponderanza dei teologi, come se, invece si trattasse appunto di discutere di
formule, di definizioni. In realtà, una volta che si convenga
teologicamente che la sinodalità non sono non è controindicata nella nostra
Chiesa ma va promossa a livello più ampio, il lavoro dei teologi è concluso e
occorrerebbe lasciare il campo ad altri specialisti, ad esempio agli
antropologi e ai sociologi. Sinodalità è infatti costruzione sociale. Ma,
per costruire, occorre capire veramente come stanno le cose in società. Mi
pare che invece in questo campo i teologi si limitino a immaginarle. Temo che,
in materia di sinodo e sinodalità, talvolta ricostruiscono un passato che non
c’è mai stato, un neo-passato, nel quale s’andava d’amore e d’accordo, e poi
cerchino di calarlo nella vita di oggi, dove, come sempre è accaduto, ci si
scontra. Bisogna essere chiari: la sinodalità storicamente non ha mai evitato le
guerre ecclesiali. E, a proposito dei Concili ecumenici, quelli cruciali tra il
Quarto e l’Ottavo secolo, pesantemente controllati dai sovrani politici, furono
più espressione di totalitarismo religioso che della vivace sinodalità come si
era espressa nel Secondo e Terzo secolo.
Dal
punto di vista sociale, attuaemente le nostre Chiese sono caratterizzate da una
grandissima varietà, da un ampio pluralismo.
L’impressione di uniformità che a volte
superficialmente se ne ricava è data dal fatto di considerare principalmente
ciò che c’è nella Santa Sede, il complesso di uffici nei quali si articola il
Papato, e, innanzi tutto, lo stesso Papa, che dagli ultimi anni del papa Paolo
6° - Giovanni Battista Montini in poi, viene sempre più presentato nel suo lato
umano, di persona, abbandonando le pose ieratiche dei precedenti Papi.
Non sono le stesse le Chiese che si trovano in contesti democratici come
quello dell’Unione Europea e quelle che vivono soggette ad altre situazioni
politiche. Ma le differenze non si limitano a questo e, ad esempio, nella
nostra stessa città si manifestano di parrocchia in parrocchia.
Non in tutte le parrocchie vi sono le condizioni per un effettivo inizio
di una sinodalità come oggi la si vorrebbe. Ciò si rifletterà inevitabilmente sull’esito
dei cammini sinodali.
Certamente in tutte le parrocchie romane si svolgeranno delle attività
che faranno incontrare i fedeli sui temi proposti nel Documento preparatorio
del settembre scorso e su quelli
proposti dalla Conferenza episcopale italiana per il cammino italiano. Ma si potrà inscenare una vera
sinodalità, vale a dire una attiva compartecipazione, solo dove si riesca a
suscitare un movimento tra i fedeli che prema sugli attuali gruppi di comando
per un allargamento delle fasi decisionali. E’ importante anche capire se in
una parrocchia il parroco e le persone che principalmente con lui collaborano,
di solito un piccolo gruppo composto da clero e da altre persone che svolgono
attività varie, di consulenza o operative, sono convinte del percorso sinodale
che viene proposto. In caso negativo tutto si risolverà in un sorta di esercizio
spirituale prolungato senza nessuna
incidenza concreta nell’articolazione delle fasi decisionali. E, allora, nelle
paginette che saranno spedite in diocesi si scriverà ciò che si pensa che in
diocesi si voglia sentirsi riferire, confezionando il tutto nell’ecclesialese
corrente. Documenti che saranno letti distrattamente dai destinatari e subito
spediti in archivio. Penso anzi che in diocesi si stia già preparando la bozza
delle dieci pagine che bisognerà spedire alla CEI perché poi se ne riferisca in
sede continentale e, infine, al Sinodo dei vescovi organizzato per l’ottobre
2023. Se però si riuscirà a organizzare un movimento che spinga per un corso
diverso e che riesca ad espandersi di parrocchia in parrocchia, potrebbe essere
diverso. Del resto questo è uno dei suggerimenti che ci vengono nel Vademecum
per il Sinodo dei vescovi 2023: di
organizzare incontri tra diverse parrocchie. Questa via, naturalmente,
confligge con l’anatema al dibattito e al parlamentarismo che come un
mantra il clero ci ripete. Bisognerà trovare la forza di affrancarsene. Ora o
mai più.
Mari Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli
Nota:
[1]
Pubblichiamo
l’estratto di un discorso di Pio XI del 18 settembre 1938 (pochi mesi prima di
morire e molti anni dopo la “Non abbiamo
bisogno” del 1931) alla Federazione dei sindacati cristiani
francesi. Fatto salvo qualche breve accenno, questo testo risulta irreperibile
online, persino sul sito del Vaticano. Qui Papa Ratti parla di Stato, di Uomo,
di Dio, dei diritti della Chiesa, della “questione totalitaria”, con un
chiarissimo riferimento al fascismo. Perché proporlo? Per la sua tremenda
attualità e la sua “scorrettezza politica”, inoltre perché introduce la prossima
uscita delle Edizioni Radio Spada: un libro che parlerà dell’incompatibilità
tra statolatria e Cattolicesimo, con un saggio di Piergiorgio Seveso relativo a
“Concordato e fascismo” e uno di Andrea Giacobazzi intitolato “Peronismo
scomunicato?”. Grassettature nostre. [RS]
[… ] La nostra prima
parola ha relazione con un punto di dottrina importante. Avete annoverato tra i
vostri grandi principi – l’abbiamo visto, e non poteva essere altrimenti per
dei lavoratori cristiani – il rifiuto della tesi così frequente oggi, la quale
dice che la collettività è tutto, e l’individuo è nulla. Avete fatto bene,
perché la Chiesa non parla in questo modo; non è tale la dottrina della Chiesa.
Si potrebbe riassumere così questa teoria, con una semplicità brutale: tutto
allo Stato, niente alla persona. No, è suo privilegio, camminare, in qualche
modo attraverso i popoli e i continenti, attraverso tutte le genti del mondo (non
diciamo le razze), e di conservare in tutto, dappertutto questa direzione media nella
quale consiste sempre la virtù, in
medio stat virtus. La virtù è sempre nel mezzo né in un estremo, né nell’altro.
La Chiesa professa e
insegna una dottrina che sottolinea i giusti rapporti tra collettività e
individuo. Certamente (è l’evidenza stessa), a causa delle necessità della
vita, dalla nascita alla morte l’individuo ha bisogno della collettività: per
vivere, per sviluppare la sua vita. Ma non è vero che la collettività sia essa
stessa una persona, una persona indipendente, che parla nome proprio. No la scienza
come l’ignoranza, la scienza come la virtù sono proprie dell’individuo. Anche
quando si parla dell’anima della collettività, è un modo di dire, che ha sì il
suo fondamento nella realtà, ma che rimane una astrazione. E la
collettività non può esercitare nessuna funzione personale, se non attraverso
gli individui che la compongono: è
l’evidenza, ma un’evidenza che, ai nostri giorni, non è più riconosciuta in
molti ambienti. Si dice troppo, un po’ dappertutto in un modo o in un altro – e
ci si è abituati a sentir dire – che tutto appartiene allo Stato, nulla
all’individuo. Oh! Cari figli, quale falsità in questa espressione: essa va dapprima
contro i fatti, perché se l’individuo è realmente dipendente a tal punto dalla
società, la società d’altra parte non sarà nulla senza gli individui se non una
pura astrazione. Ma ci sono delle intenzioni occulte ben
gravi; E quelli che dicono: tutto alla collettività, dicono
anche che la collettività e qualcosa di divino; e allora ecco l’individuo
divinizzato, ma in maniera nuova: è una specie di panteismo sociale. Ecco, cari figli,
la lezione di catechismo elementare ci insegna. È il
nemico dell’uomo che ha detto: Eritis sicut dii. Voi conoscete
tutto quello che questa frase voleva dire, e come si è tradotta nei secoli
che si sono succeduti sulla povera umanità peccatrice. Così si dice un po’
dappertutto; tutto deve essere dello Stato: ed ecco lo Stato totalitario,
come lo si chiama: nulla senza lo Stato, tutto allo Stato. Ma in
ciò vi è una falsità così evidente, che fa meraviglia che gli uomini, del resto
seri e dotati di talenti, lo dicano e l’insegnino alle folle.
Infatti come lo Stato
potrebbe essere veramente totalitario, dare tutto all’individuo e chiedergli
tutto; come potrebbe dare tutto all’individuo per la sua perfezione interiore –
poiché si tratta di cristiani – per la santificazione e la glorificazione delle
anime? Perciò quante cose sfuggono alla
possibilità dello Stato nella vita presente e in vista della vita futura,
eterna! E in questo caso, ci sarebbe una grande usurpazione, perché
se c’è un regime totalitario – totalitario di fatto e di diritto – è il regime
della Chiesa, perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle, dato che l’uomo è la creatura del buon Dio,
egli è il prezzo della Redenzione divina, è il servitore di Dio, destinato a
vivere quaggiù, e con Dio in cielo. E il rappresentante delle idee, dei
pensieri e dei diritti di Dio non è che la Chiesa. Allora la Chiesa ha veramente il diritto e
il dovere di reclamare la totalità del suo potere sugli individui: ogni uomo,
tutto intero, appartiene alla Chiesa, perché tutto intero appartiene a Dio. Quanto
a noi, bisogna ringraziare il Buon Dio di essere a una così buona scuola, in un
sì bello e ricco splendore di verità.
[…]
Discorsi
di Pio XI, a cura di D. Bertetto, v. 3. SEI, 1961, pp. 813-814.