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Manuale di sinodalità
-9-
Realtà e immaginazione
La vita religiosa consiste in un
delicato equilibrio tra realtà e immaginazione.
Certe cose possiamo solo immaginarle, perché non si vedono. Se ne parla come di misteri,
nel senso che non sono né possono essere a nostra disposizione: ci devono
venire rivelate e, prima della rivelazione, sono nascoste, ma lo rimangono
anche dopo in ciò che non ci viene rivelato. Nella concezione dei cristiani, la
rivelazione ci è giunta attraverso la storia, nel corso della quale si è
oggettivata in certe forme, che delimitano la nostra immaginazione dei misteri.
La teologia cerca di mettervi ordine, lavora su quelle forme. Si ammette anche che
nell’interiorità ogni persona possa avere illuminazioni che rimandano a quei
misteri, e questa è detta esperienza mistica, ma in genere, tra i
cristiani, si ritiene che esse valgano
solo nell’interiorità individuale e solo
nei limiti in cui non contrastino con ciò che come collettività di fede si è
ricevuto attraverso la storia. Si è
cristiani in quanto si ritiene di aver ricevuto il vangelo dal Cristo storico,
in eventi e rivelazioni accaduti una volta per tutte, nel Primo secolo.
Naturalmente la storia non si è fermata a quell’epoca, ci sono state cose nuove
e anche l’espressione della fede ne è stata condizionata, inevitabilmente. In
religione si ritiene che, di fronte a questi sviluppi, non si sia abbandonati a
noi stessi e che, detta con termini
esplicitamente religiosi, il Cristo sia rimasto tra noi e ci guidi nel vangelo
mediante lo Spirito. Lo Spirito ci insegna ad attualizzare il vangelo nel mondo
in cui viviamo, in modo che rimanga sempre il vangelo del Cristo pur nel trascorrere
dei tempi con le cose nuove che manifestano. Nella fede riteniamo anche che con
la venuta del Cristo la storia non si sia arrestata, ma che abbia preso a
dirigersi verso di lui che ci verrà incontro alla fine dei tempi.
— Se mi
amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi
darà un altro difensore che starà sempre con
voi, lo Spirito della verità. Il mondo non lo vede e non lo
conosce, perciò non può riceverlo. Voi lo conoscete, perché è con voi e sarà
con voi sempre. Non vi lascerò orfani, tornerò da voi. Fra poco il
mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io ho la vita e anche voi
vivrete. In quel giorno conoscerete che io vivo unito al Padre, e voi
siete uniti a me e io a voi. Chi mi ama veramente, conosce i miei
comandamenti e li mette in pratica. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio;
anch’io l’amerò e mi farò conoscere a lui.
Giuda (non l’Iscariota) gli disse:
— Signore, perché vuoi farti conoscere a noi e
non al mondo?
Gesù rispose:
— Se uno mi ama, metterà in pratica la mia
parola, e il Padre mio lo amerà. Io verrò da lui con il Padre mio e abiteremo
con lui. Chi non mi ama non mette in pratica quello che dico. E la parola
che voi udite non viene da me ma dal Padre che mi ha mandato.
[dal
Vangelo secondo Giovanni, capitolo 14, versetti dal 15 al 24 – versione in
italiano TILC – Traduzione interconfessionale in lingua corrente]
La
nostra immaginazione religiosa si nutre di simboli, narrazioni, riti e ci è
indispensabile per sorreggere la nostra interiorità e superare i nostri limiti.
E’ come uno strumento prezioso che ci consente di riuscire a intuire ciò che ci
è stato rivelato, ma non completamente, per cui la visione che ne abbiamo è
confusa, come in un antico specchio.
Ora la nostra visione è confusa,
come in un antico specchio;
ma un giorno saremo a faccia a
faccia
dinanzi a Dio.
Ora lo conosco solo in parte,
ma un giorno lo conoscerò
pienamente
come lui conosce me.
[dalla prima lettera ai Corinzi di san Paolo,
capitolo 13, versetto 12]
Quando però si costruiscono società con l’intenzione
di ordinarle secondo Dio, vale
dire ispirandole al vangelo, non basta l’immaginazione religiosa, anzi
talvolta, quando se ne abusa, è addirittura controproducente.
L’organizzazione
di una società funziona se è ben radicata nella realtà, vale a dire in una
cultura viva che esprima e sorregga l’ordine sociale. Altrimenti c’è la
violenza sociale, ma una società preda della violenza non funziona bene, perché
è fatalmente instabile.
Una
concezione totalitaria dell’incidenza della fede sull’umanità condurrà a
cercare di sostituire integralmente, abbattendo per poi ricostruire, ciò che
ancora non si ritiene che rechi connotati evangelici. A cose fatte però, ci si renderà
conto che ciò che si è costruito abbattendo non è il vangelo, ma qualcosa che
si è semplicemente ricoperto di immaginazione religiosa e che, al fondo, altro non
è che la cultura espressa dai vincitori.
Perché la violenza implicata in quell’abbattere non è sicuramente evangelica ed
è essa lo strumento che ha condotto alla vittoria e alla sottomissione di chi
si è dovuto ad essa piegare. Prendendo tra
le mani i Vangeli possiamo facilmente capire che non è stata quella la via
seguita e insegnata dal Maestro. La storia della colonizzazione europea del
mondo, che ha veicolato anche un’evangelizzazione brutale delle popolazioni
sottomesse, è piena di quella violenza. Tra i cattolici si è cominciato a distaccarsene solo dagli
scorsi anni ’50, quindi da poco tempo, tenendo conto delle dimensioni delle ere
dell’umanità, che si misurano in secoli e millenni. Una società che nasce nella
violenza, avrà necessità della violenza per continuare a esistere, salvo che
non muti i suoi presupposti: è ciò che si è fatto nella nostra Unione Europea, ne
è scaturito un periodo di pace lungo come mai prima d’ora c’era stato, tra popoli
che si erano duramente combattuti, e anche a motivo delle rispettive visioni
religiose.
Bisogna
dire che storicamente la brutalità appare come connaturata alle religioni, e
anche ai cristianesimi. La storia non può essere cambiata, ma se ne può trarre un
insegnamento per essere diversi nel presente e nel futuro.
Dunque,
costruendo società e volendo ripudiare la via della violenza, occorre capire
bene l’ambiente umano in cui si deve
operare, senza cercare di farlo rientrare a forza negli schemi dell’immaginazione
religiosa. Questo, in particolare, quando si opera in una società come quella
italiana che è ancora fortemente pervasa dei principi evangelici, che sono
stati profondamenti in essa inculturati.
C’è
però chi, abusando dell’immaginazione religiosa, pensa, ad esempio, di trovarsi tra pagani, vale a dire tra persone incolte che hanno
perso qualsiasi riferimento al vangelo e che per questo vengono disprezzate e
condannate.
Il
termine originario che traduciamo con pagano nelle versioni italiane del
greco neotestamentario, utilizzando una parola derivata dal latino, in realtà significa
genti, vale a dire, nel lessico del giudaismo in cui emerse Gesù di Nazaret,
i non giudei. Pagano deriva invece
da una storia violenta in cui i cristiani si contrapponevano ai seguaci degli antichi
culti politeistici, ai quali nel Quarto secolo fu vietata dalla legge la loro
religione. I cristianesimi, ne abbiamo testimonianza chiara nel Nuovo Testamento,
superarono la discriminazione dei gentili, includendo i non giudei nelle
loro comunità, e questo è sicuramente evangelico. Ai tempi del Maestro, giudei
e non giudei convivevano, anche se con varie tensioni, in Palestina, in particolare in Galilea, nel
Nord, detta appunto Galilea delle
genti, dove visse a lungo Gesù prima
di iniziare la sua missione di Messia. Affermandosi politicamente
i cristianesimi, specialmente dal Quarto secolo, tutto ciò che non era ancora
cristiano o si opponeva ai cristianesimi, compreso l’originario giudaismo,
venne demonizzato. Il nostro uso del termine pagano che con disinvoltura affibbiamo principalmente
a chi, in definitiva, pur inculturato dai cristianesimi, non vive la religione
al nostro stesso modo, in particolare non va in chiesa, riflette quella
violenza del Primo millennio, quando i cristiani da perseguitati divennero
persecutori.
L’immaginazione
religiosa porta anche a ritenerci in minoranza in Italia e a sottovalutare la potenza sociale, economica e politica della nostra Chiesa.
Si tratta di un atteggiamento schizofrenico, però. Quando, ad esempio, vorremmo
continuare a imporre il crocifisso nelle scuole, o vietare di chiamare matrimonio
le unioni civili delle persone
omosessuali, ci protestiamo maggioranza,
e anzi larga maggioranza. L’Italia avrebbe allora radici cristiane. Quando invece
ci criticano, allora ci protestiamo minoranza oppressa. L’Italia si sarebbe
paganizzata. Così anche quando le persone di fede vorrebbero partecipare di più
alle decisioni delle questioni che riguardano tutti, senza doverle semplicemente
subire: questa pretesa viene accolta molto male, si ragionerebbe da pagani avanzandola,
invece di obbedire. I veri
cristiani sarebbero pochi,
pochissimi, e sarebbero assediati da queste folle di pagani che vorrebbero distruggere
la Chiesa annacquando il vangelo. Si ha allora l’insulto facile. Al clero viene
naturale, del resto lo formano così, non se ne rende nemmeno conto, insulta ma non
sempre lo fa per cattiveria. Così come è stato un insulto molto duro la critica,
veramente ingiusta, che è stata
recentemente fatta a noi coniugi cristiani di preferire cani e gatti al fare figli.
Fatta poi da chi dalla genitorialità si è esonerato.
Nel Concilio
Vaticano 2° è stato deliberato un principio molto importante di azione sociale,
che è quello secondo il quale bisogna rispettare l’autonomia delle realtà terrene.
Molti
nostri contemporanei, però, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i
legami tra attività umana e religione, venga impedita l'autonomia degli uomini,
delle società, delle scienze.
Se per autonomia delle realtà terrene si vuol
dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che
l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una
esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini
del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore.
Infatti è dalla stessa loro condizione di
creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà,
le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a
rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza
o tecnica.
Perciò
la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente
scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la
fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal
medesimo Dio.
Anzi,
chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della
realtà, anche senza prenderne coscienza, viene come condotto dalla mano di Dio,
il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono.
[Dalla Costituzione
pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo La gioia e la speranza, n.36, del Concilio
Vaticano 2°]
Se ci si imbarca in un’azione di
costruzione sociale utilizzando solo lo strumentario dell’immaginazione
religiosa, si fallirà, appunto perché non si è rispettata l’autonomia di quella
realtà che è la società, e che ha regole sue proprie per essere organizzata. Non è diverso da quando si vuole costruire un’automobile:
l’immaginazione religiosa e la preghiera non bastano. Così come quando poi, una
volta acquistata, la si vuole guidare.
Di solito ho notato che si ha una visione stereotipata
delle persone di fede, in particolare poi dei giovani. Si tratta più che altro
di caricature. Quando si organizza qualcosa in parrocchia, e, non tenendo conto
della società nella quale si vuole incidere, poi si fallisce, si è poco
disposti a mettersi in questione, ad esempio in quel nostro scarso impegno nel capire
la gente con la quale vorremmo relazionarci, e ci si limita a imprecare contro
i costumi pagani della società
contemporanea, senza tener conto del fatto che l’Italia è probabilmente la
nazione più clericale dell’universo.
Capiamolo bene: la sinodalità è costruzione
sociale. Non abbiamo a che fare con le statuine di un presepio, ma con
gente vera. La costruzione sociale ha le sue regole, che non sono tutte scritte
nel vangelo, anche se esso contiene alcuni grandi principi umanitari e anche quello
fondamentale dell’esercizio del potere
sociale come servizio. Si costruisce in un contesto culturale democratico, nel
quale si pretende che la dignità della persona sia rispettata e che tutti
possano partecipare effettivamente alla decisione di ciò che riguarda tutti. Però
si fa riferimento a persone alle quali in genere la partecipazione ecclesiale è
stata vietata come indisciplina e che quindi a partecipare non sono abituate. La
sinodalità va quindi preparata. Purtroppo l’attività di formazione che
riguarda la maggior parte della gente di fede, quella non legata organicamente
alla gerarchia, è molto carente. Le si è inculcate una mentalità gregaria nei
confronti del clero e la ripulsa verso ogni manifestazione di diversità e libertà
di pensiero e verso tutto ciò che appare nuovo, presentati come peccato
e addirittura eresia. E’ proprio per questo che le indicazioni metodologiche
della CEI e della nostra Diocesi
raccomandano, nella fase di ascolto sinodale, di non consentire mai il dibattito, vale a dire la discussione degli
argomenti reciproci. Eppure il tirocinio di sinodalità dovrebbe partire proprio
da questo. E’ pratica consueta in Azione Cattolica ed è per questo che recentemente
il Papa l’ha definita palestra di sinodalità, come già lo era di
democrazia.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli