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Manuale operativo di sinodalità
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10.3
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Il metodo – 3
In religione è frequente la sindrome del redentore. Una persona,
pasticciando in maniera incolta nel gergo teologico, pensa di dover cambiare
gli altri, addirittura di doverli ricostruire dalle fondamenta. Dice di essere spinta
da un qualche suo spirito.
Quando si affronta il tirocinio di sinodalità occorrerebbe mettersi d’accordo su alcuni
punti fermi. Uno di questi è di non pasticciare con la teologia, l’altro è il
divieto di tentare di ristrutturare gli altri.
La teologia è utile quando aiuta a fare chiarezza nelle forme della religione, ma da circa un millennio è
organizzata come una scienza e quindi occorre esservi almeno acculturati. Da
qualche decennio ha conquistato tra i cattolici una certa libertà, scientifica
appunto, e ha ridotto le sue passate pretese totalitarie, almeno in Occidente.
Storicamente è stata lo strumento politico di poteri sacralizzati e ha fatto
anche molto danno. Quando esorbita dal suo ambito di ragionevolezza, che è appunto
quello delle forme della
religione è, letteralmente, campata in aria. Non potendosene dare,
ovviamente, una conferma sperimentale, ma solo una ricostruzione storica,
in quel caso diventa impossibile intendersi e non rimane che passare a vie di
fatto, secondo un costume che risale alle origini. In particolare, la storia
dei Concili e, in genere, dei Sinodi, non è stata sempre edificante.
Il rischio di esorbitare è massimo quando il gergo teologico è utilizzato
da incolti. Ai tempi nostri i teologi, quando rimangono nel campo dell’argomentare
scientifico, riescono talvolta a intendersi, più spesso a coesistere senza sbranarsi
(solo a parole, in genere, ai tempi nostri). Questo agli incolti non riesce
mai. Leggono qualcosa e sono portati a ritenere che quella sia la verità, vale a dire ciò che tutti devono
credere. Non hanno il senso del
limite e delle proporzioni. Sentono qualcosa dentro e scambiano per spirito
ciò che invece è solo emozione, a volte letteralmente moti viscerali. Del
resto, le scienze cognitive l’hanno scoperto e teorizzato, noi capiamo
emotivamente, e non ci possiamo fare nulla, perché siamo fatti così. Una
persona colta cerca di fare chiarezza cercando di avere un panorama più ampio
degli argomenti rilevanti e mettendoli a confronto. Una persona incolta tende a
demonizzare quello che non riesce a integrare in ciò che crede di aver capito. E
la teologia contemporanea è diventata molto complicata, perché lo è la realtà con
cui si confronta.
Allora, ad esempio, si è catechisti e ci si improvvisa direttori
spirituali, esorbitando. La direzione spirituale, sulla cui reale utilità si
discute, è un campo in cui i preti ricevono una specifica e approfondita formazione,
ma vengono abilitati ad esercitarla solo dopo un tirocinio. Non basta essere ordinati
preti. Comporta l’esercizio di un potere sulla psicologia delle persone e
questo significa che si può destabilizzarle gravemente, specialmente quando si
fa troppo conto su una para-teologia del tipo di quella campata in aria,
condita emotivamente.
All’inizio
di un gruppo sinodale bisogna
definire obiettivi concreti. Ad esempio l’auto-formazione, che si fa leggendo
e discutendo su ciò che si è letto
per orientarsi, possibilmente
valendosi di persone competenti, ma comunque cercando di farlo da persone
colte, vale a dire sforzandosi di approfondire senza attaccarsi alla prima cosa
che si sente o legge o a quella che suona meglio.
Nessuno oggi riesce più a dominare l’intero campo studiato dalla
teologia, o meglio dalle teologie. E’ importante essere consapevoli di
ciò. Le teologie si relazionano con molte altre scienze, non solo con la
filosofia come in un recente passato, e divengono quindi via via molto più
complesse. Però non serve essere teologi per vivere la fede. Per dirla,
per spiegarla, occorre però essere
acculturati a quella limitata parte della teologia che è la dottrina corrente.
Tenendo conto che, tuttavia, l’espressione della fede non riesce mai a rendere totalmente
il senso del nostro affidamento
religioso. La vita sorprende sempre, ma bisogna rimanere aperti a queste sorprese: è il mestiere del cristiano.
La nostra è una fede in cui ci si
aspetta che vengano fatte nuove tutte
le cose, non che restino eternamente come quelle degli avi.
Nelle nostre Chiese si è a lungo rimasti ossessionati dalla verità,
vale a dire da ciò che doveva essere creduto, o meglio proclamato.
Molti dei cosiddetti Padri ci si sono sfiancati sopra, alle origini. Questo
ebbe particolare importanza quando la fede fu al servizio di poteri sacralizzati,
che quindi pretendevano di esseri immutabili per volontà divina. A quel punto
le questioni teologiche divennero questione di vita o di morte, letteralmente. Noi
dobbiamo staccarci da quel tremendo passato, molto più orrido di quello che in
genere si è portati comunemente a credere. La fede non è questione di definizioni.
Il centro della nostra fede è il vangelo, che
è molto ben rappresentato nella vita del Maestro e nelle parabole che ci
narrò. Quello è ciò che non passa e questa
è certo una convinzione che è stata sempre molto diffusa tra le persone di
fede. Tutto il resto, regimi e teologie, passano, nel senso che cambiano,
perché la storia non si è fermata nel Primo secolo, benché gli eventi
evangelici ne costituiscano, nella concezione dei cristiani, il centro. Si va verso
il compimento, che però non sarà opera nostra: ci verrà incontro alla fine dei
tempi.
Rimanendo attaccati al vangelo, ci sarà più facile fare i conti con una
realtà molto caratteristica dei tempi nostri, vale a dire l’accentuato pluralismo
sociale, che si manifesta anche
nelle nostre Chiese, e anche nella nostra parrocchia. Se ciascuna componente
ecclesiale rimanesse ancorata a una sua verità, allora l’intesa sarebbe
impossibile, e quindi anche la sinodalità fallirebbe. E’ appunto questo che
accade quando in un contesto ecclesiale si manifestano tendenze fondamentaliste. A ciò che mi è stato
riferito, questo è stato alla base del fallimento del nostro Consiglio pastorale
parrocchiale. Non ci si riusciva
proprio a intendere e, in fondo, nemmeno si voleva farlo. Con la pretesa di mettere ordine
il fondamentalismo distrugge. Individua la metaforica zizzania da bruciare, e passa a vie di fatto, senza
tener conto della moratoria evangelica in questo campo, che riserva addirittura
alla fine dei tempi la resa dei conti. Il fondamentalismo della sua epoca, in
Palestina, creò molti problemi al Maestro, il quale, mentre mostrava come
praticare il vangelo, venne assillato continuamente con questione di
definizioni. Penso sia meglio seguire il suo esempio, piuttosto che quello dei
suoi contraddittori.
La sinodalità serve anche a promuovere la collaborazione tra diversi
orientamenti in materia di spiritualità e di pratica evangelica, che del tutto
legittimamente si manifestano. Questo è sostanzialmente il metodo democratico
seguito oggi in Occidente, nella cui messa a punto i cristiani hanno avuto un
ruolo molto importante, insieme a molti altri. Si è cercato di imparare la
tremenda lezione che veniva dalla storia, con tutta la sua efferata violenza,
anche a sfondo religioso. Perché negarlo? I teologi, in certe epoche, hanno
legittimato razionalmente anche
le stragi. E’ un fatto e non ci si può fare nulla, perché è accaduto. Mi
ha sempre sorpreso che questi oltraggi all’umanità potessero essere ricondotti
all’insegnamento del Maestro, ma anche questo si è fatto. Ad un certo punto è
parso che addirittura i teologi si mettessero a riordinare il Cielo, spiegando
a un Onnipotente quello che poteva o non poteva fare. E’ tipico della teologia tiranna costruire ostacoli insuperabili, per
poi affermare di non poterli superare. Fortunatamente nella sinodalità parrocchiale
possiamo tranquillamente esimerci dal pasticciare in quel campo, attenendoci al
concreto, che, in definitiva, corrisponde al motto francescano pace e bene.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli