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Manuale operativo di sinodalità
-10.1-
Il metodo – 1-
Praticare la sinodalità in un piccolo
gruppo di amici è semplice. Molto più complesso è invece riorganizzare in modo
in senso sinodale una parrocchia, intesa come istituzione.
In queste cose è necessaria la progressività. Non basta progettare,
occorre anche programmare. Nella programmazione è compresa la
valutazione delle risorse disponibili: persone, beni materiali, opportunità
locali. Progettazione e programmazione
sono strettamente connesse. Quando
ci si impegna in una costruzione sociale, ed è appunto il caso della
sinodalità, è necessario essere realisti nella valutazione delle risorse: infatti
non è saggio proporsi risultati troppo lontani nel tempo, perché le persone
cambiano rapidamente e dunque, con esse,
una parte fondamentale delle forze disponibili.
Meglio però non pensare a rivoluzionare l’esistente in tempi brevissimi: si
rischia di sfasciare senza riuscire a sostituire in tempo utile per sbrigare gli
affari correnti, che in una parrocchia sono molti. E’ più razionale, quindi,
pensare a una espansione dell’esperienza sinodale, man mano che della
sinodalità si fa esperienza e tirocinio. La mia esperienza in queste cose,
ormai abbastanza lunga, è che non sempre tutto riesce secondo i propositi, principalmente
perché per lavorare bene insieme bisogna conoscersi e intendersi e questo
richiede tempo e soprattutto un ambiente favorevole. Non bisogna però
demoralizzarsi, ma nemmeno pretendere troppo.
Nella precedente lunga era della parrocchia si è fatta l’esperienza di
che cosa accade quando si cerca di inculcare con troppo poca progressività e
troppo poca duttilità un modello sociale progettato senza tener conto delle
condizioni sociali in cui si è immersi e dell’ambiente umano. Se ne rimane
frustrati. Sentivo spesso lamentare, dopo l’insuccesso di varie iniziative: “Vi
scivola tutto addosso”. In effetti era così. Alle persone che venivano in
chiesa non era consentito di dire la propria né di loro si teneva veramente conto, ci si limitava a cercare di inculcare
certe idee di orientamento che mi
parve fondamentalista, ma loro poi reagivano per vie di fatto, allontanandosi. Così da parte di chi dirigeva il processo si era insoddisfatti dei praticanti, perché, si diceva, si
limitavano a voler essere buoni, mentre si sarebbe voluto da loro qualcosa di più, perché anche i
pagani desiderano mostrarsi buoni. La gente di fede, secondo quella
concezione, dovrebbe invece mostrarsi super-buona, qualcosa di eccezionale,
sorprendente, in modo da far vedere che cosa può produrre il soprannaturale.
Così, invece di essere confortati dall’idea che in genere si prova ancora ad essere buoni, e soprattutto
che l’idea di bontà è ancora basata sull’etica cristiana, se ne era delusi.
La sfiducia traspariva e così se ne era anche ricambiati. In democrazia la
gente non accetta più di essere strapazzata in quel modo. Quindi poi diminuì
anche la gente che veniva in chiesa.
Nella progettazione è bene partire
dall’idea fondamentale di sinodalità: realizzare un’effettiva partecipazione
alle decisioni che riguardano tutti, secondo un benevolente spirito evangelico per il quale tutti si interessano a tutti e non solo a ciò che a ciascuno
viene in tasca – la mentalità condominiale
è l’antitesi dello spirito sinodale,
con una contestuale assunzione di responsabilità per l’esecuzione delle
decisioni prese. Questo è molto importante in un ambiente come quello italiano
in cui c’è una certa propensione a dirigere – si dice che ciascuno si pensa
come direttore tecnico della Nazionale di calcio, ma molto meno a impegnarsi nel
dare una mano con continuità in qualsiasi cosa, accettando anche i relativi
rischi.
Quindi si dovrà cercare di cominciare nei campi in cui è possibile e si
vuole realmente creare spazi di
decisione condivisa e di assunzione di responsabilità.
Ribadisco che, quando si istituisce uno spazio di responsabilità, la
partecipazione alle decisioni implica anche l’impegno a partecipare con
continuità all’esecuzione di quelle decisioni, anche se poi si cambia idea
o ce se ne stufa o, anche, si trova di meglio da fare. In questo bisogna darsi
una disciplina, un’etica, che sia presidiata anche da una adeguata
spiritualità. Questo perché non si partecipa ad un condominio o ad un qualche
passatempo od hobby, ma alla Chiesa. L’abbandono di solito è praticato
dai fedeli come forma di reazione al totalitarismo ecclesiale o di gruppo,
quando insomma si è tiranneggiati, impediti a partecipare, e ad un certo punto non lo si sopporta più e
allora ci si allontana. Nella sinodalità, se
è reale, è tutto diverso: tutti fanno conto su tutti, di tutti si tiene conto, e tutti sono
necessari all’attuazione del programma deliberato. Si è, prima di tutto, amici.
E lo si è, nella Chiesa, per diffondere e praticare il vangelo, dunque per
estendere quel particolare tipo di amicizia insegnato dal Maestro, che
trasforma la società in senso benevolente e solidale.
La preparazione della sinodalità dovrebbe consistere innanzi tutto nel
capire chi è disposto a fare che cosa e dove si può iniziare a sperimentare
questa partecipazione. Comunque non ci si dovrebbe riunire solo per parlare come si sta facendo ora nella fase di ascolto nei cammini sinodali che sono in corso,
perché altrimenti se ne esce frustrati e dalla frustrazione scaturisce la
demotivazione. Per di più, ora si parla, forse si ascolta, ma
viene sconsigliato il dibattito, vale a dire la discussione sulle
argomentazioni in campo, e soprattutto non si passa mai a proporre e votare su mozioni
per deliberare che fare prendendo i conseguenti impegni.
Le disponibilità personali di impegno, che sono quelle che contano nel
costruire la sinodalità, variano a seconda delle persone, ad esempio a seconda
dell’età, degli impegni di studio, di lavoro o di famiglia, di tutte le altre
attività sociali in cui si è inseriti. Il tempo delle persone è una risorsa
preziosa, che non va sprecata. Spesso mi pare che clero e religiosi, i quali
hanno fatto in definitiva della religione un mestiere e si esonerano da carichi
di famiglia, non abbiano piena consapevolezza che il tempo delle altre persone è
in gran parte preso da altro.
Sento criticare i giovani perché pensano solo a divertirsi tra loro,
in particolare pensando molto al sesso, senza considerare che non fanno nulla
di diverso da ciò che la natura impone loro di fare. Così si propongono loro
forme di spiritualità del tutto inadeguate dalle quali, assolutamente a
ragione, essi si esonerano. Tutti sappiamo bene che l’etica religiosa proposta
ai giovani non è sostenibile, e
infatti nella nostra vita più o meno tutti ce ne siamo affrancati, ma poiché
siamo tiranneggiati da un’immaginifica teologia che è lo scotto che sembra
doversi pagare per rimanere agganciati alla Chiesa, ci passiamo sopra,
letteralmente. Non coinvolgeremo i più giovani se non offriamo loro di
partecipare in modo che sia loro realmente utile.
Il grosso problema del modo di vivere la religione proposto in genere
nelle parrocchie è che spesso è inutile. L’indifferenza religiosa
che clero e religiosi lamentano dipende in gran parte da questo.
Dunque: si cominci a contare le forze e a vedere che cosa ogni persona che risponda
all’appello è disposta a fare con
continuità.
Può accadere che il tempo che una persona mette a disposizione della
religione sia assorbito quasi interamente nella partecipazione di comunità
totalitarie. In gran parte i movimenti che hanno preso piede dopo il Concilio
Vaticano 2° hanno queste caratteristiche che hanno recepito fondamentalmente
dall’esperienza storica delle congregazioni religiose.
Nella riunione sinodale a cui ho partecipato e
che verteva sui compagni di viaggio, uno dei partecipanti ci ha confidato
che tutta la sua energia era assorbita dal piccolo gruppo in cui viveva molto
intensamente la propria spiritualità. Dal punto di vista spirituale, così, si
fa vita da monaci cenobiti ed è
come se sulla porta di quel piccolo gruppo fosse scritto “Clausura” come
nelle parti dei conventi che sono inibite agli estranei.
Che succede se, come accade nella nostra parrocchia, una parte
significativa dei praticanti, spesso frequentanti ma non residenti,
è in quella condizione? Certo con loro la sinodalità sarà difficile, come in
effetti lo si è dimostrato da noi. Probabilmente non è con loro che si dovrebbe
iniziare. La sinodalità, infatti, assorbe tempo. Forse potrebbero essere
coinvolti in un secondo momento, ma forse anche tra loro si potrebbe trovare chi
comunque riesce a ricavare tempo anche per la sinodalità. Capisco, però, i loro
problemi, la loro via è comunque
virtuosa, la riconosco come genuinamente cristiana, e non sto ad attaccare loro
dei pipponi moraleggianti. Si potrebbero inserire in esperienze di sinodalità
che comportino minor impiego di tempo, ma che consentano comunque di
frequentarsi con continuità varcando le rispettive clausure. Ad esempio
iniziare un’esperienza di autoformazione come un gruppo di lettura, che non
appare come particolarmente connotata in senso religioso e quindi valida in una
parrocchia, ma in realtà lo è, perché comporta condivisione e, nel dibattito, tirocinio di convivenza. Se
pensiamo alla liturgia della Messa, sotto certi aspetti chi vi partecipa lo fa
anche con lo spirito di un gruppo di lettura, perché vi si condivide ciò che
chiamiamo Parola e che ricaviamo
dalle letture bibliche che si fanno, e che vengono (o dovrebbero essere) spiegate nell'omelia e meditate da tutti.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli