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sinodali
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https://camminosinodale.chiesacattolica.it/
Sito della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi
http://secretariat.synod.va/content/synod/it.html
Manuale di sinodalità
-3-
Il conflitto
Pensare alla nostra Chiesa come una società in conflitto suona strano.
Questo perché vi si fa tanto parlare di pace e di pacificazione. Ma, in realtà,
non dovrebbe stupire perché fin dalle origini le nostre Chiese sono state
percorse da aspre controversie e da vere e proprie guerre, ideologiche ma anche
guerreggiate. La nostra
situazione attuale non è diversa, dunque, da quella che è sempre stata.
Nella Chiesa cattolica due fattori contribuiscono a indurire le
contrapposizioni: il suo perdurante rilievo nella politica generale in molte
parti del mondo, e in particolare in Italia, e il suo ingente patrimonio, che
da noi comprende addirittura un simulacro di stato a Roma. E’ anche per questo
che il parlare di povertà della Chiesa e di opzione preferenziale per il poveri suona rivoluzionario in ambito ecclesiale. La gerarchia
pretende il monopolio dell’influenza
politica e del controllo del patrimonio e assolutamente non mostra di volervi
rinunciare. La predica è, quindi, rivolta in basso, ma, come tanto altro che si
predica, di solito è accolta distrattamente, salvo il caso delle grandi anime
che sempre ci sono state tra noi, in genere duramente osteggiate e additate
come sospette di indisciplina. Tutto questo è storia, non opinione.
A Roma ci si può rendere conto molto meglio del patrimonio di cui dicevo, perché la città è piena di
grandi chiesoni e loro
pertinenze.
In Italia la nostra Chiesa riceve
automaticamente, in base ad un accordo di revisione del Concordato Lateranense concluso nel 1984, circa un miliardo di euro
all’anno (nell’esercizio 2020 vi sono stati all’attivo €1.139.218.217 erogati dallo Stato). Le offerte deducibili, vale a dire i contributi dei fedeli
erogati nelle forme che consentano di computarle fino ad €1.032,91 annui in
riduzione dell’imposta sul reddito, come oneri, al pari delle spese
sanitarie, sono stati nel medesimo esercizio circa € 8,7 milioni. La Chiesa
italiana ha, infine, propri proventi da impieghi finanziari e attività
economiche varie. Tutte queste entrate vengono gestite dalla Conferenza
episcopale italiana. Ad esse si aggiungono le raccolte delle offerte durante le
Messe, che in genere vengono impiegate dalle istituzioni alle quali sono
versate, ad esempio le parrocchie, e i contributi
pubblici per attività assistenziali o caritative svolte in convenzione da
istituzioni ecclesiali, gestiti in genere da queste ultime. La Santa Sede
promuove poi raccolte di offerte per propri scopi, come l’Obolo di San
Pietro e la raccolta per le Missioni,
ma questi fondi non sono gestiti dalla nostra Conferenza episcopale. Va
detto che all’erogazione pubblica provento della raccolta tributaria si
aggiungono altre provvidenze versate in altre forme dallo Stato e da altri enti
pubblici, ad esempio per la manutenzione o costruzione degli immobili destinati
al culto. Dunque la nostra Chiesa è economicamente quasi totalmente dipendente dallo Stato per
le sue attività ordinarie. Questo spiega
il rilevatissimo interesse della
gerarchia a mantenere una influenza politica in Italia. In sostanza politica
ed economia sono due aspetti strettamente intrecciati.
Quanto
all’impiego delle risorse a disposizione, tutto viene deciso dalla gerarchia,
con una limitata consulenza anche
di persone laiche. La Conferenza episcopale italiana pubblica dei consuntivi
sintetici della gestione, che sono disponibili anche sul WEB. I commenti che li
accompagnano mi sembrano di tono piuttosto propagandistico e, più che altro,
esplicitano i buoni propositi ma non i criteri realmente seguiti nella scelta
degli obiettivi e nella ripartizione delle risorse. In merito, di quando in
quando, ho letto critiche anche molto dure. Negli anni scorsi le stesse
istituzioni della Santa Sede sono state attraversate da sconvolgenti scandali
economici e finanziari, ancor più scandalosi perché riguardano un’istituzione che predica
a se stessa la povertà.
Anche una
parrocchia come la nostra ha un patrimonio, in particolare immobiliare, di un
certo rilievo. La gestione è prerogativa del parroco, che è assistito dal Consiglio
degli affari economici, la cui istituzione è obbligatoria. Non pubblica
risultati della gestione, quindi non si sa a quanto ammontino le entrate e
l’indebitamento e come vengono impiegate le risorse. Non sapendone nulla di
nulla, il fedele può solo confidare che si segua una gestione ordinata e
rendicontabile. Del resto, sul patrimonio parrocchiale i fedeli non hanno voce,
non contano nulla, anche se si tratta di un aspetto importante per la loro vita
di fede. Questo costume meriterebbe di essere corretto nell’attuazione della
sinodalità che ora ci si propone di realizzare. Ciò che riguarda tutti, deve
essere deciso da tutti, si diceva in pieno Medioevo, ed è stato osservato
che questo è anche un principio cardine della democrazia. Quando il rendiconto
di una gestione diviene pubblico, quella gestione viene detta trasparente.
La trasparenza della gestione è condizione essenziale per l’instaurazione di un
governo democratico, vale a dire nel quale tutti contino in qualche modo, ma anche di una
gestione sinodale, che non dovrebbe essere qualcosa di meno
rispetto a quella democratica ma qualcosa di più, nel senso di un
maggior disinteresse egoistico.
I
conflitti ecclesiali originano in genere da questioni di potere politico,
quindi relative al governo dell’istituzione, o di patrimonio, come detto
strettamente intrecciate con le prime. La gestione del patrimonio è un aspetto
molto importante del governo di un’istituzione e in genere si cerca di
mantenere quest’ultimo per mezzo dell’influenza politica sulla gente. Per
questo si è spesso infastiditi dalla manifestazione
pubblica del dissenso. Nelle nostre Chiese non di rado la si sospetta di eresia,
facendo ricorso spregiudicatamente ad un’efferata teologia dogmatica
totalitaria.
E’ una
questione attinente al patrimonio anche quella per assegnare i locali della
parrocchia certe attività piuttosto che
ad altre. Anni fa scoprii che la bella biblioteca della nostra parrocchia non
c’era più. Che destinazione le era stata data e per quali motivi? Non l’ho mai
saputo, e questo è tutto quello che posso dire. Mi dispiacque che non ci fosse
più, anche se abitualmente non la frequentavo, però sapevo che in certi giorni
e ore della settimana avrei potuto farlo, prendere anche dei libri in prestito.
Mi dispiacque ancora di più non aver saputo nulla prima che si decidesse
che farne e di non aver potuto interloquire. Naturalmente ci sono molte ragioni
per le quali un bene patrimoniale può essere dismesso. Può essere troppo
costoso mantenerlo. Può darsi che non serva più. Può darsi che urgano risorse
per attività molto importanti, senza che se ne abbiano di sufficienti, e che,
quindi, per finanziarle ci si debba rassegnare a cedere qualche elemento del
patrimonio per ricavarne i fondi che servono. Ciò che è umiliante è non saperne
nulla.
Istituire
una reale sinodalità parrocchiale, non fatta solo di vaghi pipponi spiritualistici, richiederebbe anche di fare
parte ai fedeli della gestione del patrimonio parrocchiale, al di là della consulenza
resa dall’organismo specificamente
istituito per questi affari. E’ prevedibile che su questo si accenderebbero dei
conflitti, come sempre accade quando si tratta di soldi. Se ne narra anche nei
Vangeli:
Sei
giorni prima della Pasqua ebraica Gesù andò a Betània dove c’era
Lazzaro, quello che egli aveva risuscitato dai morti. Lì prepararono per
lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali.
Maria
prese un vaso di nardo purissimo, unguento profumato di grande
valore, e lo versò sui piedi di Gesù; poi li asciugò con i suoi capelli, e il
profumo si diffuse per tutta la casa.
C’era
anche Giuda Iscariota (uno dei discepoli di Gesù: quello che poi lo
tradirà). Giuda disse: «Si poteva vendere questo unguento per trecento
monete d’argento, e poi distribuirle ai poveri!». Non lo disse perché si curava
dei poveri, ma perché era ladro: teneva la cassa comune, e prendeva quello che
c’era dentro.
Gesù dunque disse: «Lasciatela in pace: ha
fatto questo per il giorno della mia sepoltura. I poveri li avete sempre
con voi, ma non sempre avrete me».
Una gran
folla venne a sapere che Gesù era a Betània, e ci andò: non solo per lui, ma
anche per vedere Lazzaro, che Gesù aveva risuscitato dai morti. Allora i capi
dei sacerdoti decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti
andavano a vederlo e credevano in Gesù.
[Dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 12,
versetti da 1 a 11 – Gv 12, 1-11 – versione in italiano TILC – Traduzione
interconfessionale in lingua corrente]
Ma se si
inizia a discutere di questo, sicuramente poi si litiga! E’ questo che si
paventa dove si sta decidendo come essere sinodali. Oddio, ecco l’ideologia.
Diventerà come un parlamento… Meglio quindi il pippone spiritualistico e fare molto silenzio.
Si rimane in ascolto. Ma di che? Vi pare che lo Spirito possa
veramente intervenire sui rendiconti e preventivi? Dicono di sì, e ne prendo
atto. A me appare addirittura blasfemo, e poi non mi è mai accaduto. Di fatto,
se non si parla, non ci si intende e se non ci si intende la gestione cade
nelle mani di pochi che fatalmente saranno tentati di abusare, se sanno che poi
non uscirà nulla di quello che fanno. Ma veramente parlando ci si può intendere? In realtà è il
solo modo di farlo, altrimenti c’è solo l’esercizio della forza, lì dove poi
qualcuno chiude la bocca agli altri e questi ultimi si sottomettono. E’ certo
il principio cardine del parlamentarismo: discutere per intendersi,
rispettandosi a vicenda però. Non è principalmente questione di mettere ai
voti. Come sanno bene coloro che hanno lunga pratica di queste cose, come
se ne ha, ad esempio, in Azione Cattolica, che è palestra di democrazia,
non solo di sinodalità, una buona e franca discussione prepara una buona
votazione.
Se
guardiamo alla nostra realtà parrocchiale, dove il gruppo che esprime il
governo decide in modo opaco, vale a dire non trasparente nel senso che ho precisato, i problemi per
avanzare sulla sinodalità sono due: quelli di allargare la partecipazione e, appunto, della trasparenza. Occorre
che gli affari in decisione siano esposti prima di decidere e che se ne dia una qualche
pubblicità. Occorre poi attivare la partecipazione, ad esempio integrando il
gruppo di governo con altre persone espresse con qualche procedura dalla
comunità dei fedeli. Infine occorre procedere ad una reale discussione,
nella quale gli argomenti rilevanti vengano trattati in relazione agli
obiettivi che ci si è proposti. Il
gruppo di governo parrocchiale, composto di poche decine di persone, si
presenta come un piccolo gruppo, quindi legato da relazioni molto forti
con corrispondenti assetti di potere stabili. Introdurre gente nuova senz’altro
le turberà: occorrerà quindi un tempo di adattamento progressivo.
Probabilmente per un po’ si impiegherà più tempo per decidere, ci si scontrerà
anche, occorreranno quindi quelle preziose persone che sono capaci di mediare
tra le posizioni contrapposte
facendo emergere ciò che di comune anima il gruppo. Ma sicuramente, prima o poi,
si ricostituirà un nuovo equilibrio di collaborazione, e così si sarà realmente
avanzati nella sinodalità, non semplicemente
a chiacchiere.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli