Costruire la città dell’uomo come dovere
religioso
(12 novembre
2012)
[…]
APPELLO FINALE
Cattolici
81. Noi
scongiuriamo per primi tutti i Nostri figli. Nei paesi in via di sviluppo non
meno che altrove, i laici devono assumere come loro compito specifico il
rinnovamento dell'ordine temporale. Se l'ufficio della gerarchia è quello di
insegnare e interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in
questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza
attendere passivamente consegne o direttive, penetrare di spirito cristiano la
mentalità della loro comunità di vita. Sono necessari dei cambiamenti,
indispensabili delle riforme profonde: essi devono impegnarsi risolutamente a
infondere loro il soffio dello spirito evangelico. Ai Nostri figli cattolici
appartenenti ai paesi più favoriti Noi domandiamo l'apporto della loro
competenza e della loro attiva partecipazione alle organizzazioni ufficiali o
private, civili o religiose, che si dedicano a vincere le difficoltà delle
nazioni in via di sviluppo. Essi avranno senza alcun dubbio a cuore di essere
in prima linea tra coloro che lavorano a tradurre nei fatti una morale
internazionale di giustizia e di equità.
[dall’enciclica Populorum progressio (termini
latini. Traduzione: Lo sviluppo dei
popoli), del papa Paolo 6°, del 1967]
Considero l’enciclica Populorum progressio, del papa Paolo 6°,
pubblicata il 26 marzo 1967, di gran lunga il documento del magistero
ecclesiale in materia di dottrina sociale più coinvolgente ed emozionante. Ad
essa si è esplicitamente collegato il papa Benedetto 16° nell’enciclica Caritas in veritate [traduzione: l’amore
nella verità], del 2009, un altro testo importantissimo.
Potete leggere la Populorum progressio sul WEB a questo indirizzo:
Quando
fu pubblicata ne sentii parlare in famiglia, ma ero troppo piccolo (avevo dieci
anni) per capirne l’eccezionale rilevanza. Da adolescente, negli anni ’70, ne
vissi gli ideali e gli sviluppi, ma non mi curai di conoscerla in dettaglio.
Solo da universitario, in FUCI, ne fui come folgorato. Da allora l’Appello finale che ho sopra trascritto sta fisso nel mio cuore.
Rimpiansi di non aver cercato di capire meglio l’anziano papa dei miei anni più
giovani, che era da poco morto. Era stato molto criticato, anche tra i suoi. Anch’io
avevo avvicinato la sua figura con un po’ di sufficienza, come spesso usano fare
i ragazzi con i molto anziani, con le persone che appartengono a un altro
tempo. Può sembrare strano oggi, dopo che con il papa Giovanni Paolo 2° ci
siamo abituati a folle di giovani che acclamano il papa. Negli anni ’70 era
molto diverso. Fu un’epoca che parve molto promettente, ma che fu anche
tragica, attraversata da conflitti durissimi e da sconsiderate esagerazioni
polemiche. Il papa Montini, fine intellettuale e profondo conoscitore delle cose
del mondo, soffriva. Vedeva la Chiesa che sembrava sbandarsi, nei contrasti
accesi tra rivoluzionari e conservatori. Intuiva meglio di altri le gravissime
conseguenze che potevano derivare dall’affermarsi di ideologie che svalutavano
la famiglia come fonte di relazioni amorevoli. Nello stesso tempo resisteva a
chi proponeva di cancellare o di neutralizzare l’aggiornamento ordinato dal Concilio Vaticano 2° (1962-1965). Il
dolore interiore che traspariva dalla sua figura fu scambiato per incertezza
dai conservatori. I rivoluzionari videro in lui un ostacolo al progresso.
Eppure egli fu il papa della Populorum
progressio. Si pensava che fosse un uomo del passato, di un altro tempo:
egli fu effettivamente uomo di un altro tempo, ma del tempo futuro, di questo
nostro tempo che stiamo vivendo. Il gigantesco riequilibrio a livello globale
tra popoli un tempo poveri e i popoli più ricchi, che caratterizza la nostra
epoca, è infatti la manifestazione ancora travagliata e minacciata di un nuovo
ordine mondiale che potrebbe realizzare su scala globale l’era di pace
sperimentata da noi europei dalla fine della Seconda guerra mondiale. Come per
ogni cosa umana questo movimento è suscettibile di regressi e di mutamenti di
direzione. La Populorum progressio ci insegna che è nostro dovere religioso intervenire nella sua storia per evitare che le
cose si mettano male.
Costruiamo sulle
parole di Paolo 2° una preghiera, una specie di salmo:
Noi laici
rispondiamo all’appello:
assumeremo come nostro compito specifico il rinnovamento dell'ordine temporale;
di nostra libera
iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, al fine di penetrare di spirito
cristiano la mentalità delle nostre comunità di vita.
Promuoveremo cambiamenti
e le indispensabili delle riforme
profonde;
ci impegneremo risolutamente ad infondere in essi il
soffio dello spirito evangelico.
Porremo la
nostra competenza nella nostra attiva partecipazione, in prima linea, alle organizzazioni ufficiali o private, civili o
religiose che si dedicano a tradurre nei fatti una morale
internazionale di giustizia e di equità.
Oggi in genere c’è scarsa
consapevolezza della storia ecclesiale che precede quella del papa regnante. E’
come se la morte di un papa chiudesse un’era.
Quando morì il papa Paolo 6°, il mio
zio professore di Bologna, Achille Ardigò, mi portò su Ponte Sisto, qui a Roma,
che allora era sovrastato da strutture metalliche, delle passerelle pedonali
costruite nell’Ottocento, e, guardando il “Cupolone” mi disse proprio così “E’ la fine di un’era; ogni morte di papa chiude un’era nella storia
della Chiesa”. Con una chiave incise sul parapetto metallico della
passerella la frase “E’ la fine di un’era”,
perché, ogni volta che fossi passato di lì, mi ricordassi di questo concetto.
Ma, circa vent’anni dopo, le passerelle metalliche vennero levate e con esse
anche quella frase, che tuttavia mi porto dentro molto chiaramente.
La Populorum progressio non è
una legge della Chiesa, ma un documento del magistero ecclesiale e contiene
insegnamenti particolarmente autorevoli provenendo da un papa. Quel magistero
non è stato mai revocato; è quindi ancora attuale e vive nella Chiesa di oggi
in vari modi. Quell’enciclica liberò forze potenti nella nostra Chiesa a
livello mondiale. In un certo senso costituì una sorta di ordine di esecuzione
dei deliberati conciliari. Essa conteneva un appello ai popoli della Terra che
non aveva precedenti, in quanto diretto a suscitare a partire da essi stessi un
movimento mondiale per la realizzazione nelle società civili di una pace
fondata sulla giustizia. In particolare esso coinvolgeva i laici cattolici, con
una grandissima apertura di credito nei loro confronti, chiamati ad agire nella
storia senza attendere consegne o direttive dal clero.
In Italia una delle conseguenze più
importanti di quell’appello fu il fondamentale convegno ecclesiale nazionale
tenuto a Roma nel 1976 sul tema Evangelizzazione
e promozione umana, preceduto da una lunga fase di preparazione in cui
tutto il laicato italiano fu coinvolto. Dalla fine degli anni ’60 i concetti di
promozione umana e di liberazione cominciarono ad essere
affiancati a quello di evangelizzazione,
nello spirito della Populorum progressio.
Questo segnò una discontinuità nella storia dell’impegno nella storia dei
fedeli laici italiani. In precedenza infatti essi erano stati prevalentemente
chiamati a un attivismo pubblico in difesa dell’organizzazione del clero, in
particolare in difesa delle prerogative dei papi, dei vescovi, dei sacerdoti, degli
istituti religiosi e per la tutela del patrimonio della Chiesa, ancora
imponente pur dopo le spoliazioni conseguenti all’unità nazionale dell’Italia,
in cui il papato era stato tra le monarchie italiane sconfitte.
Riassumendo molto, si può dire che,
a partire dalla Populorum progressio,
l’azione per la realizzazione della giustizia sociale venne considerata una
forma di evangelizzazione e, anzi, la più efficace tra esse. Si noti, per avere
un’idea della cosa, che l’introduzione di quell’enciclica aveva come titolo: “La questione sociale è oggi mondiale”.
Cercando di dare una valutazione
complessiva agli sviluppi della storia ecclesiale negli anni ’70 si deve
riconoscere che questa nuova prospettiva non entusiasmò la gran parte dei
fedeli cattolici italiani, anche indubbiamente produsse movimenti di tipo nuovo
centrati sull’idea di azione sociale per la promozione umana, in particolare
per l’elevazione degli ultimi, e della
conversione religiosa come esperienza di liberazione. Non si riuscì veramente a
cogliere il nesso tra religione e azione sociale diretta a rimuovere e
sostituire strutture sociali ingiuste. Non si trattò (solo) di resistenze nella
gerarchia ecclesiale locale, ma di una incomprensione molto più radicata e
diffusa. Si possono individuare diverse cause di questo.
La prima, a mio avviso, per quello
che ricordo, fu l’impreparazione del laicato italiano, del quale negli anni ’70
iniziai anch’io ad essere parte attiva. Ricordo che da ragazzo, pur militando
negli scout cattolici, in cui quelle nuove idee circolavano molto, conoscevo
poco della Bibbia, della storia della Chiesa e dei concetti teologici
fondamentali. Per me Chiesa significava liturgie e Sacramenti, i sacerdoti
della parrocchia e il papa.
Una seconda causa è che i cattolici
italiani erano stati storicamente abituati, a volte sotto minaccia di
esclusione ecclesiale, a dipendere molto dalle direttive dei papi.
Infine c’era il fatto che la
democrazia italiana, che costituiva anche, indirettamente, un presidio per
l’organizzazione del clero, era fondata sull’unità politica dei cattolici nella
Democrazia Cristiana. Per realizzarla si era dovuto centrare l’impegno politico
sull’interclassismo, del resto sulla base degli insegnamenti della dottrina
sociale della Chiesa risalente all’Ottocento; tuttavia sulla via della
realizzazione della giustizia sociale emergevano conflitti sociali che
contrastavano con quell’obiettivo. Essi inoltre erano stati storicamente il
terreno dell’impegno politico delle forze socialiste, le quali, benché
nell’Ottocento avessero sviluppato punti di contatto con l’azione sociale dei
cattolici, già in quel secolo ma soprattutto a partire dalla rivoluzione
sovietica in Russia erano state considerate dalla gerarchia cattolica come
avversarie della Chiesa. Nell’Italia degli anni Sessanta, essere cattolici
significava nella maggior parte dei casi votare democristiano per dovere
religioso. La conseguenza era che, se ad un certo punto, per motivi anche
religiosi, si era insoddisfatti della politica democristiana, si era tentati
dall’abbandonare la Chiesa. Bisogna dire che a questa conseguenza si era
tentato di rimediare, intuendo con lucidità i possibili sviluppi storici del Concilio Vaticano 2°, durante la
presidenza nazionale dell’Azione Cattolica di Vittorio Bachelet (1964-1973). In
quegli anni, in cui l’Azione Cattolica era ancora molto forte e diffusa sul
territorio, radunando la gran parte del laicato italiano, si cercò di
sciogliere il legame di collateralismo tra l’organizzazione religiosa del laicato
italiano e l’organizzazione politica della Democrazia Cristiana, centrando
l’impegno religioso sulla formazione delle coscienze e rendendo in tal modo
legittimi impegni politici su diversi fronti senza che ne fosse pregiudicata
l’appartenenza ecclesiale. I tempi erano tuttavia prematuri. Solo dopo la fine
dell’Unione Sovietica, a partire quindi dal 1991, si produsse una situazione
simile. In quegli anni si era però già realizzata nella nostra Chiesa la svolta
impressa dal papa Giovanni Paolo 2°. Diciamo che con lui l’impegno laicale
tornò ad essere molto centrato sulla figura del papa. Il papa Giovanni Paolo 2°
ripropose sostanzialmente il modello di impegno storico laicale che era stato
sperimentato nella sua Polonia, nel duro confronto con il regime comunista che
all’epoca dominava quella nazione. In esso era vista con un certo sospetto l’autonoma
azione laicale finalizzata alla realizzazione della giustizia sociale, in
particolare in Occidente, in Europa e nell’America latina. In quanto essa
tendeva ad entrare in polemica con i regimi democratici dai quali l’Est Europeo
attendeva un aiuto per la propria liberazione dal giogo sovietico, veniva vista
come oggettivamente controproducente, quando non realmente influenzata dagli
storici avversari della Chiesa.
Noi oggi viviamo in un’era diversa.
Conosciamo bene i profondi legami di stima, amicizia e collaborazione tra il
papa Giovanni Paolo 2° e l’attuale papa Benedetto 16°. E tuttavia mi pare che,
nonostante superficiali considerazioni correnti, l’attuale papato abbia una sua
particolare caratterizzazione, che, in particolare, ha portato a riaprire via
che sembravano abbandonate. Ad esempio, nell’enciclica Caritas in veritate (2009)
si legge:
esprimo la mia convinzione che la
Populorum progressio merita di essere considerata come « la Rerum novarum dell'epoca
contemporanea », che illumina il cammino dell'umanità in via di unificazione.
Potete leggere l’enciclica Caritas in veritate sul WEB
all’indirizzo:
E’ ridiventato quindi di stretta
attualità l’appello che il papa Paolo 6° rivolse al mondo, e innanzi tutto ai
laici cattolici. Esso riguarda anche noi, del piccolo gruppo di Azione
Cattolica in San Clemente papa. Anche noi infatti abbiamo la possibilità di
fare qualcosa, nei settori di vita sociale in cui siamo inseriti, ad esempio
nella famiglia e nel lavoro, e quindi dobbiamo acquisire consapevolezza della
relativa responsabilità religiosa. La Caritas
in veritate ci mette però in
guardia: il nostro impegno per la giustizia sociale non deve essere
velleitario, deve collegarsi sapientemente con i principi di fede. Innanzi
tutto, quindi, bisogna conoscerli meglio. Ecco quindi il senso dell’iniziativa
in corso dell’Anno della Fede.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro,
Valli