Sinodalità addomesticata
Le schede preparate in alcune diocesi per dare
indicazioni su come condurre le consultazioni sinodali mi appaiono come un indizio della
volontà di addomesticare il tirocinio di sinodalità che si vorrebbe indurre
nelle persone di fede.
Una parte
dei problemi delle nostre Chiese, che si stanno fortemente contraendo, deriva
dall’evoluzione delle società nelle quali sono immerse, ma una parte rilevante
deriva dall’organizzazione ecclesiastica, che riduce la grande maggioranza
delle persone di fede a semplice platea e pretende di incatenare il residuo in una asfissiante autocrazia. Quest’ultima,
la gerarchia detta santa,
nel senso di immodificabile pena sanzioni soprannaturali, quindi meglio
si direbbe sacra, non appare intenzionata a cedere la benché minima
quota del suo potere in favore di procedure sinodali, vale a dire realmente partecipate.
Ecco quindi
che delle Dieci domande, nelle quali, secondo il Documento
preparatorio diffuso lo scorso
ottobre dalla Segreteria del Sinodo dei vescovi, si articola l’Interrogativo
fondamentale
Una Chiesa sinodale, annunciando il Vangelo, “cammina
insieme”: come questo “camminare insieme” si realizza oggi nella vostra Chiesa
particolare? Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere nel
nostro “camminare insieme”?
ne verranno saltate, nella pratica sinodale
nelle realtà di base, la maggior parte. Nei
gruppi sinodali svolti finora nella nostra parrocchia si sono tagliate,
ad esempio, le domande relative a se e come si ascolta e alla parrèsia / franchezza e si è
passati subito alla domanda sulla celebrazione, concentrata su come vorremmo la messa, che è più che
altro la fissa di chi la messa celebra nel senso che ne è il protagonista, vale a
dire il prete.
Verso chi la nostra Chiesa particolare è “in debito di
ascolto”?
si voleva sapere nella seconda delle Dieci
domande. Facile rispondere: la gerarchia non ascolta nessuno e noi che ne
siamo liberi ascoltiamo solo le persone che ci sono simpatiche o affini, le
altre le ignoriamo e se siamo proprio costretti a interloquire con loro in
genere litighiamo.
A volte sembra che si voglia riassumere tutte
le Domande in questa:
Che cosa è per
te la Chiesa?
In questo modo si riconduce la sinodalità al
problema delle definizioni, che, fin dai primi secoli, è il campo
privilegiato dalla nostra efferata teologia dogmatica, vale a dire quella che serve
a distinguere chi è dentro e chi è fuori.
Ma questa delle definizioni è questione estranea all’Interrogativo
fondamentale che ci è stato proposto
e, ritengo, che lo sia stata perché così ha disposto il Papa, tra i pochi
gerarchi che si mostrano realmente interessati a sentire come la pensiamo.
Il “per te” è già un grave travisamento.
Che significa “per me”, dal momento che parliamo di un fenomeno
collettivo? Semmai “per noi”. Questo richiederebbe di parlarne insieme,
il dialogo essendo il principio di ogni sinodalità, cosa che ai vescovi
sembra fare veramente paura, e infatti raccomandano di fermare qualsiasi
tentativo di articolare un “dibattito” nei gruppi sinodali, i quali, in questo
modo non sarebbero più veramente tali.
Nella Chiesa si cammina insieme, viene
osservato. Infatti una Chiesa ci appare, come detto, un fenomeno collettivo, un
ambiente in cui si sta insieme. Fenomeno è ciò che si mostra, che appare. Se osserviamo
una Chiesa così com’è, la vediamo come
un fatto collettivo. «Come questo “camminare
insieme” si realizza oggi nella vostra Chiesa particolare?», ci viene chiesto. La
risposta che in genere potrebbe essere data è questa: di solito il camminare
insieme viene inteso nel senso di seguire
un qualche gerarca ecclesiastico. Questo è particolarmente umiliante per
chi è costretto, pena l’emarginazione o peggio, a seguire. «Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per
crescere nel nostro “camminare insieme”?».
Parlando di “Spirito” si può lasciare
campo libero all’immaginazione e, allora, c’è chi lo intende come moto viscerale,
emozione, chi ci mette dentro il proprio pensiero, quindi un po’ di
ragionevolezza, ma in genere, quando nella nostra Chiesa si parla di “Spirito”,
si vuole intendere che lo Spirito parla mediante i nostri gerarchi e quindi si
è spirituali quando li si segue, con il che, lo si capisce bene,
non si va molto avanti nel cambiare quell’umiliante seguire nel quale i
più sono confinati.
Una Chiesa più partecipata manifesta un “camminare
insieme” più dignitoso, quindi anche spiritualmente più coinvolgente,
intendendo per spirituale ciò che
interiormente dà senso alla vita, ma anche, in definitiva, più efficace, perché
c’è più gente che vi lavora, non limitandosi a pascolare passivamente nei prati liturgici organizzati
dal clero. Un clero, va detto, sempre più anziano, sempre meno numeroso, sempre
più demotivato, ma anche sempre più autoreferenziale, anche nei più giovani, il
che manifesta un evidente difetto formativo. I preti giovani talvolta mi sono
apparsi allevati troppo in mezzo al sacro, espresso da nubi di incenso,
letteralmente, e molto meno per aver a che fare con il popolo, del quale
sembrano sopportarne solo piccole dosi. Questa mi sembra una enorme differenza
rispetto alla situazione che vissi da adolescente.
Se si
cade nella trappola definitoria e
si cerca di rispondere alla domanda, in fondo abusiva nell’attuale
processo sinodale, «Che cosa è per te la Chiesa?», poi immancabilmente, ci
si può giurare, si verrà sommersi dalla
immaginifica e intollerante teologia in merito che costituisce il pesante e tragico orpello dei secoli passati, in cui ogni
sentenza teologica era anche una sentenza di condanna che comminava la morte ai
dissenzienti. Insomma ci verrà detto come DEVE essere la Chiesa e ci verrà rimproverato
che ciò che per noi è la Chiesa è,
noi inconsapevoli per ignoranza, eresia, peccato, frattura nel Corpo,
e verremo invitati a piantarla lì, a ritornare nell’ovile, e che solo perché non siamo teologi
accreditati ci va bene, saremo perdonati, mentre quegli altri verrebbero fulminati
dall’apposito organo di polizia ideologica, altro peso del nostro brutto passato che purtroppo ci
trasciniamo ancora dietro.
Può un vescovo
rettificare quello che il Sinodo
dei vescovi manda a chiedere a tutte le persone di fede, perché rispondano con franchezza?
Se lo concepiamo come gerarca autocratico nelle cui mani si è tutti, sì.
Ma è appunto questo che sinodalmente dovremmo provare a correggere. La
sinodalità popolare non è tale se
rimane nelle mani di un vescovo,
o anche di tutti i vescovi come
sempre accaduto nel passato. In effetti l’Interrogativo fondamentale e le Dieci domande in cui si articola appaiono aver voluto
veramente aprire ad una
sinodalità partecipata da tutte le persone di fede, in questo senso popolare,
in cui regnino benevolenza e parrèsia/franchezza, o detto
con il salmo 85, 11, misericordia e fedeltà/verità, giustizia e pace.
Amore e fedeltà si
incontreranno,
giustizia e pace si abbracceranno.
[versione
TILC]
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli