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Scarso entusiasmo sinodale
Avverto uno scarso entusiasmo sinodale.
Non si parla dei cammini iniziati il 9 e il 17 ottobre scorsi. I
programmi delle attività non sono granché cambiati, eppure il tempo dedicato
alla fase di consultazione popolare non è molto. Per il Sinodo della Chiesa
universale terminerà nel prossimo aprile. Per quello delle Chiese italiane
avremo tutto l’anno 2022, ma c’è il forte rischio che non venga nemmeno
percepito dai fedeli della base, eclissato da quell’altro.
L’esigenza diffusa di rinnovamento, che sentii molto forte da ragazzo negli anni
’70, non mi pare che ci sia. Credo che in parte dipenda dal fatto che quelli che ancora praticano, nel senso
che vanno in chiesa, con una certa regolarità sono in maggioranza adulti
avanti con gli anni. In parte dall’impostazione che si è data alla formazione
religiosa negli ultimi trent’anni, che ha ripreso l’antico orientamento per cui
la religione serve a contenere, uniformare le masse ed è,
insomma, l’etica degli incolti, e oggi, nonostante che molti non diano
molta importanza all’istruzione, non piace essere classificati come ignoranti,
e soprattutto essere trattati come tali. Ancora: c’è la scarsa dimestichezza
che i più hanno con religione e liturgie, perché, appunto, le statistiche
stimano che circa l’80% della gente non pratichi più, ma questa percentuale è molto più elevata
tra chi è nella fascia tra i quindici e il trent’anni (dobbiamo aspettarci
quindi che la percentuale dei non praticanti salga rapidamente nei prossimi anni). Infine
penso che conti anche il rigido autoritarismo clericale che ha caratterizzato
la Chiesa italiana dagli anni Novanta e che non ha certamente incoraggiato la
partecipazione delle persone laiche. Si sta cominciando a segnalare, rimandano
le statistiche religiose, una crescente disaffezione anche delle donne, che
finora erano state le praticanti più pervicaci. Tutto questo in un contesto
sociale nel quale, invece, si sta segnalando un crescente interesse per la
spiritualità religiosa e ciò a livello mondiale (ne ha scritto un famoso
sociologo della religione, Peter Berger, in I molti altari della modernità.
Le religioni al tempo del pluralismo, edito in traduzione italiana da EMI,
2027, disponibile anche in e-book). In definitiva, il problema è proprio la
Chiesa. Questo spiega perché il Papa, secondo la sua missione di pastore universale, ha preso l’iniziativa di
promuoverne il cambiamento. Tenuto conto della natura del problema e sulla base
della grande esperienza delle Chiese latino-americane ha impostato il processo
in modo da coinvolgere tutti i fedeli cristiani in modo attivo. Ecco dunque,
nella fase preparatoria dell’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi che si
svolgerà nell’ottobre 2023, la consultazione popolare. Essa dovrebbe già
servire a sperimentare un modo
più partecipativo e attivo di fare Chiesa, quindi di praticare, ma in un
senso molto più ampio di quello usato oggi nelle statistiche religiose e non
limitato a tentare di ottenere l’osservanza dei precetti religiosi come
formulati dal Magistero.
Sto leggendo il libro del sociologo Roberto
Cipriani L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa, Franco Angeli,
2020, nel quale, oltre a esporre le statistiche su quanti fanno che cosa in religione, ad esempio
quanti vanno a messa regolarmente
la domenica, si analizzano dal punto di vista lessicale le risposte date nel
corso di interviste più estese per avere più informazioni sui motivi di certi
comportamenti, l’aspetto qualitativo. Da ciò che ho capito (il libro è
un testo scientifico di sociologia e presenta qualche difficoltà di
comprensione per i non acculturati in quella disciplina), la pratica religiosa
è strettamente correlata con la dimensione della festa e quest’ultima
con la vita in famiglia e tra amici, non nel senso, però, che, diciamo, la fede
religiosa induca a far festa, ma che essa è come lo scenario secondo
cui si fa festa, intesa quest’ultima come incontrarsi in letizia.
Il principale apporto delle religioni (non solo della nostra) in Italia alla
vita della gente è di creare una cornice festiva: si ha bisogno di far
festa e dalla tradizione si prende il modo di farla secondo la religione.
Questo spiega perché nelle festività religiose la gente va di più in chiesa,
ma quando si cerca di approfondire, in una dimensione diciamo feriale,
si allontana. Spesso clero e religiosi la disprezzano per questo. Addirittura
tendono a scomunicarla di fatto,
sbrigativamente. A volte ciò si traduce
in una sorta di sbattezzo che il diritto canonico pervicacemente non
consente al battezzato ma che chi comanda sembra arrogarsi di poter impartire di fatto, per le vie brevi.
Allora, come dire, ti rimandano indietro a rifare il catecumenato e poi
si vedrà. Si fa la figura di ripetenti. E, certo, la dignità dei battezzati, che è alla base dell’idea
di sinodalità, che significa che tutti i battezzati devono aver voce e ruolo attivo nell’apostolato,
inteso innanzi tutto come pratica del vangelo, ne risente.
Il problema di entusiasmo che abbiamo è
stato preso in considerazione dagli autori del Vademecum per il cammino sinodale, pubblicato
sotto l’autorità dei nostri vescovi.
Comprensibilmente,
questo processo di consultazione evocherà una serie di sentimenti tra i
responsabili pastorali, dall'entusiasmo e dalla gioia all'ansia, alla paura,
all'incertezza o anche allo scetticismo. Tali reazioni differenziate fanno
spesso parte del percorso sinodale. I vescovi possono riconoscere la varietà di
reazioni che sorgono nella diocesi, mentre incoraggiano l'apertura allo Spirito
Santo che spesso opera in modi sorprendenti e vivificanti. Come un buon pastore
per il suo gregge, il vescovo è chiamato a guidare il Popolo di Dio, a starne
al centro e a seguirlo, assicurandosi che nessuno sia lasciato fuori o si
perda.
Ora, io che non sono un teologo faccio fatica a
imputare allo Spirito o al suo difetto l’ansia, la paura, l’incertezza
e lo scetticismo, quest’ultimo
a volte molto marcato, che circolano. Vi è che, a differenza di quanto accaduto
per il Sinodo della Chiesa tedesca attualmente in corso, preti, religiosi e
persone laiche sono stati in genere tenuti fuori dall’organizzazione del
processo, che la gerarchia ha tenuto per sé. Questo spiega anche alcuni aspetti
critici del Documento preparatorio e del relativo Vademecum diffusi per
organizzare la fase di consultazione popolare, nei quali, certo, la
dimensione della festa non mi
pare presente e si sembra un po’ assillati dalla anche remota possibilità che
gli incontri sinodali manifestino
una certa libertà di atteggiamenti rispetto alla gerarchia, che si vuole assolutamente
pervasiva e imprescindibile dovunque.
L’informatizzazione dei documenti consente rapide
ricerche testuali.
Nel Vademecum la parola gioia, molto importante ad
esempio nei documenti usciti sotto l’autorità di papa Francesco, ricorre solo
due volte, una nel brano che ho sopra trascritto, accostata a sentimenti
opposti, e l’altra in questo:
I
sinodi sono un tempo per sognare e "passare del tempo con il futuro":
Siamo invitati a creare un processo
locale che ispiri le persone, senza escludere nessuno, per creare una visione
del futuro piena di gioia del
Vangelo. Le seguenti disposizioni possono aiutare i partecipanti (cfr. Christus
vivit [Cristo vive, Esortazione apostolica post-sinodale del 2019,
dopo il Sinodo sui giovani]):
o Uno
sguardo innovativo: Sviluppare nuovi approcci, con creatività e una certa
dose di audacia.
o Essere
inclusivi: Una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di apprezzare
la propria ricca varietà, abbraccia tutti coloro che spesso dimentichiamo o
ignoriamo.
o Una
mente aperta: Evitiamo le etichette ideologiche e facciamo ricorso a tutte
le metodologie che hanno dato frutto.
o Ascoltare
tutti senza dimenticare nessuno: Imparando gli uni dagli altri, possiamo
riflettere meglio la meravigliosa realtà multiforme che la Chiesa di Cristo è
chiamata ad essere.
o Un’interpretazione
del "camminare insieme": Percorrere il cammino che Dio chiama la
Chiesa a intraprendere per il terzo millennio.
o Comprendere
il concetto di Chiesa corresponsabile: Valorizzare e coinvolgere il ruolo
unico e la vocazione di ogni membro del Corpo di Cristo, per il rinnovamento e
l'edificazione di tutta la Chiesa.
o Raggiungere
le persone attraverso il dialogo ecumenico e interreligioso: Sognare
insieme e camminare insieme con tutta la famiglia umana.
Già il definire “disposizioni” i suggerimenti
che si danno per un proficuo processo sinodale potrebbe intimidire un po’ chi vi è chiamato.
Poi il parlare di “una certa dose di audacia”, con riferimento allo “sguardo
innovativo” dà l’idea dell’assillo per l’ordine che travaglia il
documento. Si raccomanda di evitare “etichette ideologiche”, quando il problema tra noi non sono certamente più
quelle (non siamo negli anni ’70 e la gente non sa più nemmeno che cosa sia un’ideologia),
quanto le etichette teologiche. Il brano mi appare frutto di tue teste
diverse. Quella del rinnovatore e quella di un frenatore. Difficile
provare vera gioia quando l’opera del secondo si fa molto pervasiva.
Quante volte ricorre il termine gioia nel Documento preparatorio? Nessuna.
Un intero capitolo vi è dedicato alle insidie
del processo sinodale, la prima delle quali è la tentazione di voler fare di testa propria. Non bisognerebbe,
poi, vedere solo le nostre preoccupazioni immediate (in realtà, sulla
carta, è proprio quello che i vescovi dicono di voler conoscere). Sbagliato concentrarsi
solo su ciò che non va (ma è appunto per questo che il Sinodo è stato
convocato) o solo sulle strutture (il
Papa però, aprendo il Sinodo, ha detto che senza cambiarle non si riuscirà in nulla).
Bisognerebbe piuttosto guardare oltre i confini della Chiesa: sembra che
ci venga detto di non impicciarci nelle cose che sono all’interno, che sono poi
quelle delle quali si è insoddisfatti e che si vorrebbe cambiare. Siamo
esortati a non perdere di vista gli obiettivi del processo sinodale: ma
è proprio quello che succederebbe se ci attenessimo alle raccomandazioni che
precedono. Dobbiamo evitare conflitti e divisioni, che però ci sono; il Papa ci
ha esortato a non ignorarle, ma a cercare di risolverle, questo appunto è uno
degli obiettivi del processo sinodale. Non dobbiamo considerarci una specie di
Parlamento, vale a dire usare metodi democratici: così ci si toglie la voce, perché
un processo sinodale è collettivo o non è tale, e senza usare metodi
democratici non si raggiunge alcunché di collettivo e condiviso, si parla
ciascuno per sé e non come popolo. Non bisogna ascoltare solo quelli che
sono già coinvolti nelle attività della Chiesa, ma questo è proprio quello che
succederà seguendo i confini segnati dalla gerarchia. Si continuerà ad ignorare
parte significativa (direi la parte largamente maggioritaria) del cosiddetto Popolo
di Dio. In realtà, nonostante che gli si riconosca un prodigioso sensus
fidei, la capacità di intuire la verità, lo si stima poco, anzi,
come ho detto, lo si disprezza proprio per quel suo ignorare la verità, intesa come i precetti definiti
dalla gerarchia. Continua pervicacemente a fare di testa propria, forte
delle libertà che la democrazia gli riconosce nella società civile, ciò che
spiega la pervicace diffidenza della gerarchia verso la democrazia, dentro e
fuori la Chiesa.
Io penso che, nel concreto lavoro organizzato
in un gruppo sinodale, si potrebbe rimediare all’impressione non
esaltante che potrebbe ricavarsi da Documento preparatorio e Vademecum sugli scopi del processo sinodale.
Una persona potrebbe pensare che ci si debba
riunire solo per dire amen a un discorso già preparato dai preti e quindi non essere molto invogliata
a presenziare in quel modo. E non
le darei torto. Però penso che ci si potrebbe riferire di più a temi, scopi,
principi che possiamo trovare nei documenti magisteriali del Papa, che, in
definitiva, nonostante che oggi i cosiddetti tradizionalisti si prendano molte
libertà nei suoi confronti, smentendo in tal modo una ferrea tradizione in
senso contrario, è pur sempre il Papa. In definitiva l’iniziativa dei Sinodi,
generale e italiano, è sua.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli