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Formarsi alla sinodalità
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Comunicato
della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 01.10.2021
Apertura
del Cammino Sinodale
Papa Francesco aprirà ufficialmente il Sinodo
sulla Sinodalità in Vaticano con la Celebrazione dell’Eucaristia presso la
Basilica di San Pietro (domenica 10 ottobre), preceduta da un momento di
riflessione nell’Aula Nuova del Sinodo (sabato 9 ottobre).
Il programma di sabato prevede lavori in
seduta plenaria e lavori in gruppi linguistici. Saranno presenti rappresentanti
del Popolo di Dio, tra delegati delle Riunioni Internazionali delle Conferenze
Episcopali ed Organismi assimilati, membri della Curia Romana, delegati
fraterni, delegati della vita consacrata e dei movimenti laicali ecclesiali, il
consiglio dei giovani, ecc. Papa Francesco parteciperà alla prima parte dei
lavori.
La Santa Messa di domenica 10 ottobre alle
ore 10.00, presieduta dal Santo Padre, inaugurerà il Sinodo per la Chiesa
universale e per la Diocesi di Roma, con la partecipazione dei fedeli.
I lavori in seduta plenaria di sabato e la
Santa Messa di domenica saranno trasmessi in diretta da Vatican Media.
Programma
Sabato 9
ottobre 2021 - ore 9.00-13.00
Aula
Nuova del Sinodo
Momento
di Riflessione
per l’inizio
del Cammino sinodale
8.00 Accoglienza
9.00 Intronizzazione
e Proclamazione della Parola di Dio (Ap 1,9-20)
Meditazione:
P. Paul Béré, sj (Burkina Fasso) e
Cristina Inogés Sanz (Spagna)
Discorso del Santo Padre
Saluto del Card. Jean Claude Hollerich,
Relatore Generale del Sinodo
Testimonianze:
· Una giovane (Sud Africa)
· Una religiosa (Stati Uniti
d’America) (in video)
· Un vescovo (Corea)
Silenzio
· Una famiglia (Australia) (in
video)
· Un sacerdote (Brasile) (in
video)
· Un responsabile di una comunità
religiosa (Francia)
Silenzio
Messaggio del Card. Mario
Grech, Segretario Generale del Sinodo
Introduzione ai lavori nei Piccoli
Gruppi
11.00 Pausa
11.30 Workshop
in Piccoli Gruppi (per lingue)
Fine dei lavori alle ore 13.30
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La spiritualità del camminare insieme è
chiamata a diventare principio educativo per la formazione della persona umana
e del cristiano, delle famiglie e delle comunità. Come formiamo le persone, in
particolare quelle che rivestono ruoli di responsabilità all’interno della
comunità cristiana, per renderle più capaci di “camminare insieme”, ascoltarsi
a vicenda e dialogare? Che formazione offriamo al discernimento e all’esercizio
dell’autorità? Quali strumenti ci aiutano a leggere le dinamiche della cultura
in cui siamo immersi e il loro impatto sul nostro stile di Chiesa?
Il
Sinodo che sta per iniziare è stato convocato per sviluppare una sinodalità
ecclesiale come modo ordinario di vivere la fede, per tutti, e, per come è
stato pensato e organizzato, ne è esso stesso una sperimentazione, così come
avvenuto nei Sinodi sui giovani (ottobre 2018) e per la regione Pan-amazzonica
(ottobre 2019), vale a dire quelli successivi alla riforma della struttura e
della celebrazione del Sinodo dei
vescovi attuata nel settembre
2018 con la Costituzione apostolica La comunione episcopale.
Questa volta l’attività
di consultazione dei fedeli sarà particolarmente estesa e, se non si limiterà a
ritualismi e formalismi liturgici, consentirà
alla Chiesa, questa volta tutta convocata in sinodo, una penetrante esperienza
di sinodalità, che potrebbe lasciare traccia duratura e significativa, anche in
una realtà di prossimità come la nostra parrocchia. Ad essa, però, occorre
formarsi, perché, come risulta chiaro leggendo il documento della Comissione teologica internazionale La
sinodalità nella vita e missione della Chiesa, pubblicato nel marzo 2018,
all’esito di tre anni di lavori,
non la si è mai vissuta prima nella nostra
Chiesa,
a differenza di quanto avvenuto in altre Chiese cristiane.
I
teologi cattolici che da qualche anno si stanno occupando del tema di solito
cominciano a precisare ciò che la sinodalità non è. Questo è il metodo
da loro seguito in genere anche quando affrontano il tema della libertà. E, in
particolare, ci tengono a distinguere sinodalità e democraticità dimostrando incerta
acculturazione a quest’ultima, per come oggi la si intende in Europa, la nostra
società di riferimento. In particolare, non tengono conto che non si tratta
solo di un metodo per prendere
decisioni collettive, ma che implica molti grandi valori e, innanzi tutto,
quello della dignità della persona umana. Ed è proprio da quest’ultimo che,
sviluppando idee del Concilio Vaticano 2° (1962-1965), si è cominciato a
ragionare di sinodalità. L’impulso è stato dato da papa Francesco. L’originalità
della sua impostazione è appunto quella di presentarla come condizione
ordinaria della vita nella Chiesa, non solo come qualcosa che si sviluppa
occasionalmente tra vescovi, quando si trovano per decidere insieme
nell’istituzione collegiale detta appunto Sinodo dei vescovi. La riforma
di quest’ultima, da lui attuata nel 2018, ha come cardini una certa partecipazione al magistero del papa e una estesa consultazione
del popolo di Dio nella fase
preparatoria. Ha così indicato la via per una più generale riforma del modo di
esercitare l’autorità ecclesiale.
Si è sinodali
innanzi tutto riunendosi, perché sinodalità significa operare insieme.
A
questo punto di solito si parla di comunione. Bisogna sapere, però, che
nella storia dell’attuazione dei principi del Concilio Vaticano 2° si è messa
di mezzo la comunione per ostacolare vere esperienze sinodali.
In un
sistema in cui ad alcuni soli spetta di deliberare e a tutti gli altri solo di
obbedire, comunione significa mettersi insieme per decidere di obbedire con
tutto il cuore a ciò che è stato
deliberato, silenziando ogni obiezione. Si pensa anche che sia lo Spirito a condurre
a qualcosa di simile. Come è stato osservato, secondo quest’ordine di idee chi
delibera non ascolta veramente gli altri, ma anche chi obbedisce non ascolta,
se non per sapere che deve fare. La formazione all’obbedienza, così, è
tendenzialmente incolta, perché ai più sapere non serve. Basta essere in grado
di capire gli ordini ricevuti.
Un
potente apparato teologico è pronto per
condurre su quella via. Una volta che la si sia imboccata, nulla cambierà.
Perché la situazione rimarrà esattamente quella in cui ci troviamo e che, a
detta dei più, non è una bella situazione.
Se non
si ha tutti la possibilità di essere ascoltati e di influire in qualche modo
sul risultato, allora in questo non c’è pari dignità, nonostante tutte il
chiacchiericcio teologico che ci si fa sopra.
Ma
allora tutto finisce in un negoziato? Penso sia un po’ la situazione
attuale dei consessi degli autocrati, anche se ammantata di spiritualità e
coperta da quello che è stato definito un muro d’incenso. Ritengo sia per questo, per nascondere un negoziato di
cui ci si vergogna, che, in particolare, i cardinali che partecipano al
Conclave sono tenuti all’assoluto segreto su quello che si è detto e fatto in
quel consesso.
Certamente, quando si dialoga per deliberare, un negoziato è
inevitabile: non ci si illuda di poter raggiungere l’unanimità con fascinazioni
spirituali. Ma non è detto che questi discorsi debbano essere condotti con
spirito condominiale. In particolare non è questo che accade nei parlamenti,
o almeno non dovrebbe accadere se sono veramente tali. Nella Chiesa come nello
stato sono coinvolti valori che sovrastano l’interesse spicciolo di ciascuno,
in particolare quello relativo alla fetta della torta sperata.
Si
pensa che, se tutti fossero ammessi a dire la propria, allora la verità, vale a dire la tradizione teologica normativa,
sarebbe in pericolo e che solo l’autocrazia la preservi. L’esperienza storica
non conforta in questa idea, che è più che altro un pregiudizio. Perché non è assolutamente
detto che, anche in una Chiesa sinodale come nelle democrazie avanzate, i
principi supremi possano rimanere nelle mani di maggioranze estemporanee e che
in merito non possa essere esercitato un magistero autorevole per porle al
riparo da questo. Quei principi si sono storicamente dimostrati in pericolo
quando sono finiti nel potere di una sola persona o di ristrette oligarchie,
cosa che le regole della democrazia cercano accuratamente di evitare, e anche
in un sistema sinodale dovrebbe essere prevenuto. Un magistero simile a quello
della nostra gerarchia ecclesiale è poi esercitato, nelle democrazie civili,
dalle Corti Costituzionali, dagli altri magistrati e da diverse altre autorità
indipendenti. Questo appunto perché la democrazia è venuta a inglobare un sempre
più un esteso sistema valoriale che non è mai lasciato alla mercé delle folle.
E poi
democrazia non è solo dire la propria, ma articolare argomentazione
ragionevoli.
Quando
si vuole continuare a tenere il popolo fuori delle decisioni ecclesiali è
perché lo si diffama ritenendolo incapace di questo. Era lo stesso pregiudizio
antidemocratico degli autocrati civili di un tempo e anche la ragione di una
certa diffidenza degli antichi filosofi greci, i primi maestri di teoria
politica, verso la democrazia come allora la si intendeva.
Una
prima tappa della formazione all’ecclesialità può essere pensata proprio come
tirocinio al discorso ragionevole in assemblee di prossimità. Ognuno si deve
spiegare, non fare l’invasato o fare violenza.
Bisogna
dire che sulle persone laiche in genere si riversano molti effetti speciali
religiosi, il prodigioso, il miracolante, lo stupefacente, e questo
purtroppo è stato storicamente un modo di tenerle a bada da parte della
gerarchia, aiutandosi con il sacro numinoso. Questo non ha aiutato nello
sviluppo della ragionevolezza. L’Azione Cattolica e altre istituzioni analoghe
hanno faticato molto per conquistare ai cattolici una credibilità in società.
Quindi
poi, con quelle premesse, quando si è
provato a inscenare la sinodalità, essa, come è stato osservato era spesso più affettiva che effettiva. E dalla parte degli autocrati si è accettato, talvolta, il
dialogo, solo quando sembrava che non si potesse fare altro, non con
convinzione.
In
Europa le persone laiche si sono abituate invece ad essere protagoniste in
società e a ragionare, prendendo in esame anche le questioni centrali, più
importanti. Poi entrano in chiesa e sono ridotte a nulla: tutto passa sulle
loro teste, e non parliamo dei dogmi, quindi della cosiddetta verità, ma
di cose minime, come la posizione delle statue dei santi in chiesa.
Leggo in
Ugo Sartorio, Sinodalità, Ancora 2021,
[…] I
laici, praticamente «l’immensa maggioranza del popolo di Dio»[citazione
dall’esortazione apostolica La gioia del vangelo, 102] come ci ricorda
papa Francesco, una maggioranza rimasta per secoli silenziosa e per molti
motivi inascoltata, non certo inoperosa. Se è vero che in gran parte la historia
laicorum [=la storia delle persone laiche] è in gran parte una historia dolorum [=storia
di dolori], per il fatto che il loro sembra un protagonismo che sul piano della
storia è di volta in volta rimandato (è scoccata l’ora dei laici, si
dice, ma poi non succede molto), bisogna chiarire che la questione posta dalla
sinodalità non riguarda propriamente la presa di parola di categoria di
categorie fino ad ora trascurate, bensì, più in profondità, il fatto che a
tutti è richiesto innanzi tutto di ascoltare. La sinodalità, detta in questa
prospettiva e in una sola frase, non è tutti parlano, ma piuttosto tutti
devono prima ascoltare.
Il clero, e ancor più i
vescovi che la maggior parte delle persone laiche incontrano molto raramente e
assai superficialmente, non ascolta se non i propri superiori, quando proprio
non può farne a meno. Nella nostra Chiesa mi pare che nessuno ascolti nessuno, quando
se lo può risparmiare.
Quindi
un Sinodo come quello che si sta per aprire, che prevede una fase di ampia
consultazione della gente di fede, può essere un bel progresso su un via
diversa. Purché non scada nel rito, nella pura liturgia, in cui al fedeli laici
chiamati a parlare dal palco
viene messo in mano il classico foglietto ed essi devono limitarsi a
interpretare la loro parte, e così li si abbia per consultati.
L’esito
della fase del discernimento, vale a dire di preparazione della
decisione su un certo tema, non può
solo essere quello di decidere di fare come dice un autocrate, punto e basta.
Non c’è nessuna dignità in questo e nessuna sinodalità.
Ma, si
dice, non è che così si finirà per
litigare? Può accadere. Accade anche nei sindodi dei gerarchi, per quello che ne
esce fuori. Alcuni furono piuttosto accesi, si racconta. Ecco, però, la sinodalità
significa rimanere pervicacemente
insieme nonostate le diversità di vedute e anche le liti, perché il
rimanere insieme è un valore più importante dell’ottenere ragione a
tutti i costi in una certa occasione. E’ opera dello Spirito, c’entra il
soprannaturale? Non sono un teologo e non mi azzardo per quella via.
L’esperienza del lavoro in assemblea insegna comunque che c’è più soddisfazione
a rimanere insieme e a riuscire a organizzare qualcosa insieme, non ciascuno
per sé, a costo di rinunciare a qualcosa dei propri progetti. E si è anche
molto più efficaci.
Alla
scoperta della sinodalità si procede per piccoli passi, per gradi, dalle
piccole cose, ad esempio affrontando le decisione ordinarie di una parrocchia, rispettando la capacità di assimilazione di
chi rimane indietro.
Scrive
ancora Sartorio, nel tsto che ho citato:
Per
quanto riguarda il camminio verso una Chiesa sinodale, sono ancora numerosi gli
ostacoli da superare, e vengono soprattutto da una ripetizione irriflessa di
modelli clericali di un certo passato, sia da
parte dei chierici che, specularmente, dei laici. La piramide
rovesciata, vale a dire una Chiesa che è prima di tutto il popolo di Dio, ha
bisogno di realizzazioni concrete, come un modo nuovo di vivere i sinodi, da
quello diocesano, ma anche di fare pastorale e quindi di guidare le comunità
parrocchiale e di vivere in esse l’autentica fraternità cristiana.
Penso che, nella fase
sinodale, che si sta per aprire, il Consiglio pastorale parrocchiale,
che sarà chiamato a rispondere alla dieci domande poste a base della
consultazione popolare sinodale, potrebbe utilimente aprire una fase di
consultazione analoga tra i fedeli della parrocchia, che potrebbe essere anche
occasione formativa. Del nostro Consiglio pastorale parrocchiale
sappiamo poco, se non che c’è. Fu concepito come organismo partecipativo, che
andrebbe rivitalizzato in quel senso. Perdere un’occasione come quella della
fase sinodale che si sta aprendo sarebbe veramente avvilente.
Certo, so che non tutti in parrocchia condividono questa proposta di sinodalità che ci viene ora dall’alto e, tutto sommato, alcuni preferirebbero continuare a fare di testa propria, secondo come s’è sempre fatto, e magari pensano, così facendo, di essere più spirituali. Lo Spirito va dove vuole, si dice, e, come il vento non sai da dove viene né dove va, ma, essendo invisibile, intangibile, non verificabile, appunto spirito, c’è chi lo tira da una parte e chi dall’altra e, quindi, tutto il parlare di Spirito che fanno i teologi non mi coinvolge molto; del resto non sono un teologo. Lo stesso dicasi del sensus fidei [il senso per la fede giusta, la verità], quella capacità di intuire la verità che il popolo avrebbe, al di là di qualsiasi ragionamento di cui si sia capaci, e che io certamente non sento in me e non vedo particolarmente evidente negli altri. Ma, lo ripeto, non sono un teologo. I teologi, leggo, la vedono diversamente. Penso però che poter vivere la fede in maniera meno umiliante di ora sarebbe bello per noi persone laiche. Ma per riuscirci bisognerebbe però andare oltre la propria interiorità e l’ambito delle consuete frequentazioni, per fare Chiesa aprendosi, non solo da semplici spettatori o, al più, di comparse, ciascuna con il proprio foglietto in mano da leggere, ma cercando di sviluppare discorsi ragionevoli da porre alla base del dialogo con le altre persone. Occorre certamente sapere un po di più di ora. Facciamo un bel parlare di sinodalità, ma se tra noi e i nostri preti rimangono dislivelli abissali di conoscenze, come ora, tutto può riuscire vano. Ripongo molte speranze nei giovani, che sono tra le generazioni di quell’età più acculturate di tutti i tempi, per il lungo corso di studi che seguono. Possono essere importanti agenti di diffusione della formazione.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli