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Una stagione importante
Se nella vita ecclesiale il primato
spetta all’evangelizzazione, non si potrà essere in prima linea con questa
prospettiva fino a quando i laici non saranno nella Chiesa veri protagonisti ai
quali è data la parola, è riconosciuta
competenza nelle cose mondane così come in quelle ecclesiali e quindi soggettualità
nella missione in prima persona e non per delega. Dobbiamo ammettere che negli
anni ’80 e ’90, per timore che non fosse rispettata l’ortodossia, si sono perse
delle buone occasioni di coinvolgimento e di crescita della base laicale, per
cui gli appelli che oggi si levano a favore di una piena assunzione di responsabilità
da parte dei laici nella Chiesa sono spesso rivolti a gruppi di cristiani
sempre più esigui e incanutiti. Gli operai hanno abbandonato la Chiesa, si
diceva negli anni ’60, poi però è stata la volta dei giovani e da qualche tempo
anche le donne sembrano segnare il passo, per una crisi di dissonanza, per la
fatica di sentirsi a casa in comunità spesso clericocentriche e perciò
asfittiche. Impossibile, in ogni caso, immaginare una Chiesa sinodale senza quella
trama di carismi laicali che rendono viva la comunità cristiana e la mantengono
in osmosi con il mondo.
[da Ugo Sartorio, Sinodalità, verso un nuovo
stile di Chiesa, Àncora 2021]
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Domani inizierà una stagione importante della nostra vita nella Chiesa,
nonostante il pesantissimo autoritarismo autocratico clericale che tenterà, e
probabilmente riuscirà, ad egemonizzarla. L’efferata normativa ecclesiastica, mediante
la quale si sono utilizzati teologia e diritto per respingere e tenere ai
margini la gran parte della gente di fede, non aiuterà. L’esame di quella
obsoleta e irritante letteratura facilmente può far perdere d’animo anche i più
i volenterosi. Il rischio che tutto si risolva nell’inscenare delle liturgie è
molto alto. E, nondimeno, questa volta vale veramente la pena di impegnarsi.
I nostri gerarchi si illudono di avere il monopolio delle definizioni
della fede. In Italia, dove purtroppo dall’Ottocento la teologia è insegnata
praticamente solo nelle università ecclesiastiche, la cultura del ramo coopera nel
confermarli in quella fantasiosa convinzione. Mettere esplicitamente in dubbio l’effettività
dell’autocrazia episcopale può costare il lavoro, quindi la vita, per un
teologo professionista. Ad esempio affrancarsi dalla consueta e incolta
diffamazione della democrazia come nel mondo di oggi, nell’Occidente avanzato,
in Europa, la si concepisce e vive. Sostenere, contrariamente all’evidenza, che la democrazia è espressione di individualismo
è una cosa sciocca, e anche inutile:
ogni processo politico è sempre collettivo e se, come quello democratico, mira
ad includere il più possibile, non può mai essere individualista, perché nasce
proprio per far superare alla persona la prigione del proprio io. L’immagine
che gli autocrati hanno della democrazia è quella dell’assemblea condominiale e
ad essa assimilano i parlamenti, fondamento della dignità democratica che
ancora nella nostra Chiesa è di là da venire, nonostante tutto il chiacchierare
a vuoto di dignità del credente.
Che dignità c’è nel non contare nulla, nel sapere che sempre si può fare a meno di noi? E che, anche ammessi
talvolta in alcune delle sedi di discussione a cui gli autocrati sulla carta si
impegnano a far riferimento, bastano due righe loro per cacciarci fuori senza
tanti complimenti? La lettura di due documenti importanti, perché vorrebbero
insegnare ai vescovi a fare il loro mestiere, l’Istruzione sui sinodi
diocesani (1997) https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cbishops/documents/rc_con_cbishops_doc_20041118_diocesan-synods-1997_it.html
(1997) e il Direttorio sul ministero pastorale
dei vescovi Successori degli apostoli – Apostolorum successores https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cbishops/documents/rc_con_cbishops_doc_20040222_apostolorum-successores_it.html
(2004), congegnati durante quello che ormai tanti definiscono un lungo
inverno ecclesiale, è veramente demoralizzante sotto quel profilo.
La realtà è, tuttavia, che da metà Ottocento la gerarchia, tutta,
sta andando a rimorchio di noi persone laiche, anche se in certi periodi tirarcela
dietro è stato particolarmente difficile. I nuovi principi che i saggi del
Concilio Vaticano 2° credettero di aver trovato nella loro teologia e nel deposito
di fede loro affidato, in primo luogo quello della
dignità del credente, glieli abbiamo insegnati noi persone laiche. Lo stesso
dicasi, oggi, dell’ecologia politica. In religione si è usata la teologia per
ammantarli di sacro in modo da renderli assimilabili a capi religiosi che solo
la teologia intendono e solo della teologia si fidano, perché storicamente l’hanno
sfruttata per legittimare la propria autocrazia, ma, come dicono espressamente
e giustamente i reazionari, la loro origine non è teologica.
Dobbiamo intenderci: al centro del Sinodo sulla sinodalità, dietro
e dentro il quale si occulta (per ora) il Sinodo della Chiesa italiana,
cruciale anche per la Chiesa universale perché
dentro la Chiesa italiana c’è il Papa quale vescovo di Roma, non ci sono questioni
di potere con la gerarchia, ma il rapporto con il mondo di oggi, le vie di evangelizzazione
e, quindi, c’è molto di più. L’obsoleto sistema clericale di potere
autocratico non funziona più, è un ostacolo molto serio sulla via dell’evangelizzazione,
non è un dono, come si suole scrivere nella fantasiosa letteratura di
genere, ma un peso grave e, nella sua
capacità di emarginare, la causa di sprechi di preziose potenzialità. Da solo, però, non
riesce a cambiare, ecco perché, per salvare ciò che di sé è ancora utile, deve aprirsi
e ascoltare. L’ascolto che si è programmato di fare nella fase
preparatoria del Sinodo è quindi
molto importante, proprio nella decisione di ascoltare. Noi persone
laiche, però, dobbiamo farci animo, superare una certa comoda ignavia, e parlare.
Quindi, bene, nelle liturgie sinodali che si terranno staremo al nostro
posto con il foglietto in mano a leggere quello che ci viene detto e consentito
di leggere, ma nelle sessioni di ascolto sinodale cerchiamo di parlare chiaro,
con parrèsia, cerchiamo di dare un’immagine realistica della società in
cui si deve operare e di ciò che occorre
fare.
Purtroppo, a differenza di ciò che sta avvenendo nel Sinodo della Chiesa
tedesca, la democraticità dell’evento sarà assai scarsa e quindi gli spazi di
parola non sono aperti di principio, ma vanno conquistati e, alla fine, sarà
gente del clero a decidere tutto. Se ne parla come di comunione, che
consisterebbe nel fatto che uno solo vale milioni di noi, per diritto
divino, e che si parla, si parla, ma solo per farsi ascoltare da uno solo,
che poi, per un qualche prodigio spirituale, riuscirebbe a superare le limitazioni
fisiologiche e psicologiche individuali che condizionano moltissimo il decidere
umano, come ci insegnano gli scienziati cognitivi, e trovare la via giusta, ciò che in nessun
altro campo riesce agli umani. Dobbiamo
trovare la forza di dire che questa è una favola e per di più una favola che ha fatto tanto soffrire.
Solo dalla reale cooperazione degli intelletti può uscire la migliore
soluzione in un certo tempo, sempre però soggetta a revisione, perché i
tempi e le società sempre sorprendono e richiedono aggiustamenti. Sinodo non può voler dire solo riunirsi intorno ad un autocrate, discutere al suo cospetto, come
si faceva con gli antichi imperatori romani cristianizzati che insegnarono la pompa e la
sovranità alla gerarchia, e poi attendere il suo responso e ad esso fare
liturgicamente festa liturgica. Così, come è stato osservato, condotti secondo quei
principi i sinodi dal Terzo secolo al Concilio Vaticano 2° furono assai poco sinodali, nel senso che oggi diamo a questa parola.
E realmente la sinodalità a cui
oggi si far riferimento per discuterne nel Sinodo 2021-2013 [>2025 per la Chiesa
italiana?] è qualcosa di nuovo, di mai visto e sperimentato. Non c’è vera
sinodalità senza possibilità di reale partecipazione, senza riconoscere
dignità ai partecipanti al processo, senza vietare che possano essere esclusi a
discrezione di un capo con un tratto di penna o due parole, senza una loro qualche
effettiva compartecipazione nella decisione.
Non è facile avere vere relazioni con il clero, a qualsiasi livello,
perché, se non può dirigere, comincia a inquietarsi e a lanciare anatemi. Così,
in genere, per quieto vivere si tralascia quello che sarebbe un nostro dovere
religioso, quello di partecipare realmente. E questo, in particolare, dove, a
dispetto di processi di apertura al vertice, nulla del genere sia organizzato
nella base, nelle nostre realtà di prossimità. In quante parrocchie arriverà l’eco
di un Sinodo che, come quello che si aprirà domani, vorrebbe addirittura fare
della sinodalità un modo ordinario di vivere la fede?
Un gruppo parrocchiale di Azione Cattolica come il nostro in questi
frangenti ha ora l’occasione di fare ciò
per cui è stato istituito. La sinodalità è uno sviluppo del Concilio Vaticano 2° e
dagli anni Sessanta l’attuazione dei principio conciliari è uno dei principali
campi di impegno della nostra associazione.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli