Discernere e decidere
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Nota
del Sinodo dei Vescovi, 21.05.2021
XVI Assemblea Generale
Ordinaria del Sinodo dei Vescovi
“Per una Chiesa
sinodale: comunione, partecipazione e missione”
Papa Francesco, in data 24 aprile 2021, ha
approvato un nuovo itinerario sinodale per la XVI Assemblea Generale Ordinaria
del Sinodo dei Vescovi, inizialmente prevista per il mese di ottobre del 2022,
sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. La
Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, con l’assenso del Consiglio
Ordinario, ha proposto le inedite modalità per il cammino verso l’Assise.
Il percorso per la celebrazione del Sinodo
si articolerà in tre fasi, tra l’ottobre del 2021 e l’ottobre del 2023, passando
per una fase diocesana e una continentale, che daranno vita a due
differenti Instrumentum Laboris, fino a quella conclusiva a livello
di Chiesa Universale.
Il Sinodo dei Vescovi è il punto di
convergenza del dinamismo di ascolto reciproco nello Spirito Santo, condotto a
tutti i livelli della vita della Chiesa (cfr. Discorso del Santo Padre
Francesco nella commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo
dei Vescovi, 17 ottobre 2015). L’articolazione delle differenti fasi del
processo sinodale renderà così possibile l’ascolto reale del Popolo di Dio e si
garantirà la partecipazione di tutti al processo sinodale. Non è solo un
evento, ma un processo che coinvolge in sinergia il Popolo di Dio, il Collegio
episcopale e il Vescovo di Roma, ciascuno secondo la propria funzione.
Il cammino verso la XVI Assemblea Generale
Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dunque, si svolgerà secondo il seguente
tracciato:
- Apertura del Sinodo (ottobre
2021)
L’apertura del Sinodo avrà luogo tanto in
Vaticano quanto in ciascuna diocesi. Il cammino sarà inaugurato dal Santo Padre
in Vaticano: il 9-10 ottobre.
Con le medesime modalità, domenica 17
ottobre, si aprirà nelle diocesi, sotto la presidenza del rispettivo vescovo.
- Fase diocesana (ottobre 2021 –
aprile 2022)
L’obiettivo di questa fase è la
consultazione del Popolo di Dio (cfr. Episcopalis Communio, 5,2)
affinché il processo sinodale si realizzi nell’ascolto della totalità dei
battezzati, soggetto del sensus fidei infallibile in
credendo.
Per facilitare la consultazione e la
partecipazione di tutti, si presenta il seguente itinerario:
Segreteria Generale del
Sinodo
La Segreteria Generale del Sinodo invierà
un Documento preparatorio, accompagnato da un Questionario e da un Vademecum con
proposte per realizzare la consultazione in ciascuna diocesi.
Il Documento sarà inviato anche ai
Dicasteri della Curia Romana, alle Unioni di Superiori / Superiore Maggiori ad
altre unioni / federazioni della vita consacrata, ai movimenti internazionali
dei laici e alle Università / Facoltà di Teologia.
Ogni vescovo nominerà un responsabile (eventualmente un’equipe) diocesano della consultazione
sinodale, che possa fungere da punto di riferimento e di collegamento con la
Conferenza Episcopale e che accompagni la consultazione nella Chiesa
particolare in tutti i suoi passi (prima di ottobre 2021).
Ogni Conferenza Episcopale nominerà a sua
volta un responsabile (eventualmente un’equipe) che possa fungere da referente
e da collegamento tanto con i responsabili diocesani quanto con la Segreteria
Generale del Sinodo (prima di ottobre 2021).
Diocesi
La consultazione nelle diocesi si svolgerà
attraverso gli organi di partecipazione previsti dal diritto, senza escludere
le altre modalità che si giudichino opportune perché la consultazione stessa
sia reale ed efficace (cfr. Episcopalis Communio, 6).
La consultazione del Popolo di Dio in
ciascuna diocesi si concluderà con una Riunione pre-sinodale, che sarà il
momento culminante del discernimento diocesano.
Dopo la chiusura della fase diocesana,
ogni diocesi invierà i suoi contributi alla Conferenza Episcopale entro la data
stabilita dalla propria Conferenza episcopale. Nelle Chiese orientali i
contributi saranno inviati agli organismi corrispondenti.
Conferenze Episcopali o
organismi corrispondenti
Si aprirà un periodo di discernimento dei
pastori riuniti in assemblea (Conferenza Episcopale), ai quali si chiede di
ascoltare ciò che lo Spirito ha suscitato nelle Chiese loro affidate.
Al processo di redazione della sintesi
parteciperanno anche il responsabile della Conferenza Episcopale per ciò che si
riferisce al processo sinodale e la sua equipe, come pure i rappresentanti
eletti per partecipare all’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo a Roma, una
volta ratificati dal Santo Padre.
La sintesi sarà inviata alla Segreteria
Generale del Sinodo. Si invieranno pure i contributi di ogni Chiesa particolare
(prima di aprile 2022).
Altri contributi
Si riceveranno anche i contributi inviati
dai Dicasteri della Curia Romana, dalle Università / Facoltà di Teologia, dalle
Unione di Superiori / Superiore Generali (USG / UISG), dalle altre unioni /
federazioni di Vita Consacrata, e dai movimenti internazionali dei laici (prima
di aprile 2022).
Segreteria Generale del
Sinodo
La Segreteria Generale del Sinodo procederà
alla redazione del primo Instrumentum Laboris (prima di
settembre 2022).
- Fase continentale (settembre
2022 - marzo 2023)
La finalità di questa fase è di dialogare
a livello continentale sul testo del primo Instrumentum Laboris,
realizzando un ulteriore atto di discernimento alla luce delle particolarità
culturali specifiche di ogni continente.
Segreteria Generale del
Sinodo
La Segreteria Generale del Sinodo
pubblicherà e invierà il primo Instrumentum Laboris (nel
settembre 2022).
Riunioni internazionali
di Conferenze Episcopali
Ogni Riunione internazionale di Conferenze
Episcopali nominerà a sua volta un responsabile che possa fungere da referente
e da collegamento tanto con le Conferenze Episcopali quanto con la Segreteria
Generale del Sinodo (prima di settembre 2022).
Discernimento pre-sinodale nelle Assemblee
continentali. Si stabiliranno i criteri di partecipazione dei vescovi
residenziali e degli altri membri del Popolo di Dio.
Le Assemblee termineranno con la redazione
di un documento finale, che sarà inviato alla Segreteria Generale del Sinodo
(marzo 2023).
Altri contributi
Contemporaneamente alle riunioni
pre-sinodali a livello continentale, si raccomanda che si svolgano anche
assemblee internazionali di specialisti, che possano inviare i loro contributi
alla Segreteria Generale del Sinodo (marzo 2023).
Segreteria Generale del
Sinodo
La Segreteria Generale del Sinodo
procederà alla redazione del secondo Instrumentum Laboris (prima
di giugno 2023).
- Fase della Chiesa Universale
(ottobre 2023)
La Segreteria Generale del Sinodo invierà
il secondo Instrumentum Laboris ai partecipanti all’Assemblea
Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
Celebrazione del Sinodo dei Vescovi a Roma,
secondo le procedure stabilite nella Costituzione Apostolica Episcopalis
Communio (ottobre 2023).
In uno
stile sinodale si decide per discernimento, sulla base di un consenso che
scaturisce dalla comune obbedienza allo Spirito. Con quali procedure e con
quali metodi discerniamo insieme e prendiamo decisioni? Come si possono
migliorare? Come promoviamo la partecipazione alle decisioni in seno a comunità
gerarchicamente strutturate? Come articoliamo la fase consultiva con quella
deliberativa, il processo del decision-making [=la
fase di preparazione della decisione, nella quale si raccolgono gli elementi di
valutazione, vale a dire la fase istruttoria] con il momento del
decision-taking [la fase della deliberazione di una decisione]? In che
modo e con quali strumenti promuoviamo trasparenza e accountability [l’assunzione
di responsabilità per una decisione, in particolare con riferimento alla
regolartà della sua esecuzione e al suo risultato]?
Che cosa si decide nella Chiesa? Ci sono
decisioni che riguardano l’amministrazione dei beni, comprese quelle sulla
destinazione delle risorse finanziarie, gli acquisti e le dismissioni; l’amministrazione
del personale; la programmazione delle attività di propaganda e formazione; la
programmazione delle liturgie; il coordinamento delle varie istituzioni che la
compongono; gli orientamenti strategici per l’azione in società; i rapporti
politici con altre istituzioni civili o religiose e, infine, l’individuazione
della teologia normativa, vale a dire delle concezioni fondamentali sul
soprannaturale e sulle sue relazioni con l’umanità in base alle quali distinguere
chi è dentro e chi è fuori una certa tradizione che si vuole tramandare
inalterata e che, in questo senso, è legge di ecclsialità. La funzione
essenziale dell’apostolo, per come emerge dai Vangeli, riguarda
formazione, liturgia e tradizione religiosa, vale a dire ciò che viene definito
pastorale.
Gesù si avvicinò e disse: «A me è stato dato ogni potere in
cielo e in terra. Perciò andate, fate che tutti diventino miei discepoli;
battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E
sappiate che io sarò sempre con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo».
[testo TILC – Traduzione interconfessionale in lingua corrente –
dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 28, versetti da 28 a 30 (Mt 28, 28-30)]
Questa la sua missione.
La gerarchia ecclesiale fu voluta
tale, alle origini, essenzialmente per questioni di tradizione religiosa.
Infatti, al tempo in cui le idee cristiane cominciarono ad essere inculturate
dalla filosofia ellenistica, prese piede una significativa letteratura
religiosa che faceva capo a maestri indipendenti, secondo il modello delle scuole
filosofiche dell’antichità. Gli
sviluppi si manifestarono come assai divergenti, e a tratti bizzarri, in
particolare sulla missione e sul senso dell’esistenza stessa di Gesù, sulle
prospettive del mondo nell’attesa del suo ritorno e sul da farsi nel frattempo,
sull’essenza del bene e del male, sui rapporti con il giudaismo. La soluzione
che sembrò funzionare meglio fu quella organizzata attorno ad un episcopato
monarchico. I sistemi primitivi di potere sono spesso organizzati intorno al
maschio dominante, ma anche oggi, quando ci sentiamo a disagio per la
complessità della società in cui viviamo e che non riusciamo bene a capere, ci
sorprendiamo a sognare un leader, una guida, a cui fare
riferimento e la pensiamo al maschile. L’attuale ingenuo papismo massmediatico
risponde in fondo a questa esigenza. Questo sistema produsse una tradizione
normativa religiosa e quindi l’idea
di eresia, come divergenza da essa, per scelte indisciplinate che
mettevano a rischio l’unità dei
credenti, rappresentata come un corpo. Il vescovo, allora, venne visto
come pastore e medico del corpo
ecclesiale e, in questo, qualcuno che faceva le veci di Gesù. Il pastore
risana la società, guarendola dalle eresie. Nel Primo Millennio funzioni vicarie
in questo senso, riferite a tutta la Chiesa, furono svolte dall’imperatore
romano, dal Secondo Millennio se le arrogò il Papa di Roma in regime, per così
dire, di monopolio.
L’esperienza sinodale nacque per coordinare i
vescovi, in particolare quelli che si riconoscevano gli uni gli altri in
comunione, vale a dire d’accordo sulle questioni fondamentali riguardanti
la fede. Una delle funzioni principali dei vescovi delle origini fu proprio
quella di attestare che un credente era in comunione con loro, rilasciandogli un apposito attestato,
una lettera di comunione, quando doveva spostarsi in un’altra diocesi.
Quando erano in disaccordo o erano in disaccordo con qualche autore religioso,
i vescovi lanciavano invece anatemi. Il Concilio Vaticano 2° (1962-1965)
fu il primo, nella storia della Chiesa, a non averne formulati.
Nel prosieguo, con l’acquisizione di beni
ecclesiatici e con l’organizzazione di una burocrazia ecclesiastica che doveva
essere amministrata, nell’ufficio del vescovo furono integrate tutte le
funzioni di cui si diceva all’inizio, in particolare quando, dal Quarto secolo,
la religione cristiana venne assunta come ideologia dell’Impero romano, i vescovi iniziarono ad esercitare funzioni
pubbliche e le deliberazioni di sinodi e concili furono
considerate anche leggi dello stato. Per questo, tutti i concili ecumenici del
Primo millennio furono convocati e presieduti, direttamente o o da altri personaggi ma sotto la loro autorità, dagli
imperatori romani, che però risiedevano a Bisanzio – Costantinopoli, in
Tracia. Per questo essi furono tenuti tutti nei pressi di quella capitale o
nella città stessa: appunto, Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia (in Asia
minore).
Con l’istituzione del Papato Imperiale,
dal Secondo Millennio, a partire dalla riforma organizzata dal papa Gregorio
7°, regnante al 1073 al 1085, la gerarchia diretta dal Papato riuscì ad
emanciparsi in buona misura dai poteri civili e assunse la caratteristica di
una istituzione politica al modo degli stati suoi contemporanei, esprimendone
tutte le relative funzioni e mantenendo e intensificando quella di polizia
religiosa, per tutelare la tradizione normativa. Fino al Concilio Vaticano 2°
1962-1965) essa mantenne quella configurazione, che, sebbene in parte
modificata, è ancora piuttosto visibile e ispira la normativ del diritto
canonico, il diritto della Chiesa cattolica.
Durante il Secondo Millennio, nella la Chiesa cattolica si produsse un progressivo
ma significativo processo di accentramento politico intorno al Papato di Roma.
Nei primi secoli del Millennio gli si contrappose un movimento di conciliarismo,
che voleva limitarne il potere a favore del metodo sinodale, praticato
nei sinodi e nei concili dei vescovi. L’accentramento e
la forte sacralizzazione del potere del Papato si intensificarono in reazione
ai movimenti della Riforma protestante e a quelli democratici di impostazione
liberale, dal Settecento. Dalla metà Ottocento il Papato, in reazione a questi
ultimi movimenti, che avevano finito per spodestarlo dal suo regno laziale, si
organizzò per dirigere moti popolari, per esercitare una pressione politica in
Italia sulla nuova democrazia a sostegno delle sue rivendicazioni, in
particolare quando, agli inizi del Novecento fu introdotto il suffragio
universale maschile. Per reazione verso i totalitarismi fascisti e comunisti, poi, il
Papato diede un’organizzazione totalitaria al suo movimento popolare italiano
che aveva riorganizzato, nel 1906, nell’Azione Cattolica, costruita come un
vero e proprio partito/sindacato al suo diretto servizio, ma anche come una
potente agenzia formativa, che coinvolse in massa anche le donne. Dagli anni
Cinquanta, questo accentramento politico e religioso cominciò ad essere messo
in questione in teologia e la questione trovò spazio nel Concilio Vaticano 2°.
Non si
trattò solo di recuperare l’antico conciliarismo. La teologia del laicato,
affermando che anche le persone laiche erano chiamate all’apostolato non per
delega della gerarchia ma in virtù della loro diretta relazione con Cristo,
aprì la strada all’idea che tutta la Chiesa dovesse essere sinodale,
non solo i vescovi per dirimere pacificamente le controversie tra loro. E,
tuttavia, nei documenti normativi deliberati da quel Concilio, di sinodalità
non si parla. Si parla invece di collegialità dell’episcopato,
sviluppata poi con l’istituzione del Sinodo dei vescovi, nel 1965. Esso è stato
profondamente riformato da papa
Francesco nel 2018, con la Costituzione apostolica La comunione episcopale,
una legge religiosa. Una delle principali novità è l’organizzazione, nella fase
preparatoria del Sinodo, di una Consultazione del popolo di Dio, che,
per il Sinodo universale 2021-2023, inizierà il prossimo 9 ottobre, e il 17
ottobre nelle Diocesi. Purtroppo in parrocchia non ne ho sentito parlare.
In definitiva la teoria e la pratica della
sinodalità ecclesiale totale sono una riforma di notevolissima portata,
qualcosa che non si è mai vissuto.
L’inizio del Sinodo universale, coinciderà
anche con il processo del Sinodo della Chiesa italiana, che si concluderà nel
2025, anno del Giubileo.
Il Sinodo ha come oggetto la sinodalità,
e nel Sinodo nazionale la esamineremo per quanto più specificamente ci
riguarda.
Sinodalità significa decidere insieme,
tra persone che si riconoscono pari dignità. Ma, prima di questo, è
puramente e semplicemente stare insieme riconoscendosi pari dignità. E’
il Concilio Vaticano 2° che ha deliberato la teologia dogmatica che l’ha
riconosciuta anche alle persone laiche, che quindi non possono più essere
trattate come suddite. In questo il diritto canonico vigente appare
ancora osboleto, seppure revisionato nel 1983, anno dell’entrata in vigore del
nuovo codice di diritto canonico.
Le fasi della decisione sono quella preparatoria,
in cui si raccolgono elementi di valutazione, e quella della deliberazione.
Nel Sinodo dei vescovi sono solo i vescovi a deliberare, a maggioranza, perché
in quell’organismo ci sono solo loro. Si possono servire di quanto raccolto
nella fase preparatoria, in particolare nella consultazione popolare, ma
non sono obbligati a farlo. Non vi sono attualmente organismi nei quali la sinodalità
totale, quindi anche
partecipata dalla persone laiche, possa esercitarsi fino alla fase di
deliberazione di una decisione. Le leggi canoniche non la prevedono. Gli
attuali organismi partecipativi nei quali possono lavorare anche persone laiche
sono solo consultivi. E questo anche se nella burocrazia religiosa a
certi posti, anche con responsabilità dirigenziali, sono state assegnate
persone laiche. La differenza, rispetto
al metodo sinodale, sta nella designazione dall’alto e nell’essere
gerarchicamente soggetti ad un’autorità burocratica superiore. Tuttavia, in una
fase di sperimentazione, organismi del genere possono essere strutturati negli
ambienti ecclesiali di base sfruttando i limitatissimi spazi di autonomia degl
organismi partecipativi già previsti, ad esempio nei Consigli pastorali
parrocchiali, come è stato fatto in diverse parrocchie italiane per
organizzare sinodi parrocchiali.
Il metodo sinodale ha il vantaggio di responsabilizzare
chi vi partecipa. E’ ciò che nella domanda dei vescovi che ho sopra
trascritto e che si trova nel Documento preparatorio del Sinodo viene definito, curiosamente (e
anche in modo un po’ ridicolo) prendendolo dal gergo aziendalistico, accountabìlity
[pronuncia əˌkoun(t)əˈbilədē],
vale a dire l’assunzione di responsabilità per una decisione, in particolare
con riferimento alla regolarità della sua esecuzione e al suo risultato. Di solito le persone laiche non si sentono
responsabili di nulla, perché non contano nulla e non possono decidere nulla,
quindi, semplicemente, quando si stancano di questa loro umiliante condizione,
si allontanano e amen. In un processo sinodale, si è invece ammessi a
partecipare ad una deliberazione nella misura in cui si accetta di assumersene
la responsabilità e quindi di non mollare l’opera a metà.
La condizione delle persone laiche è stata
molto bene riassunta dal teologa Simona Segoloni Ruta, in Chiesa e
sinodalità: indagine sulla struttura ecclesiale a partire dal Vaticano II.
Fondamenti teologici [in Convivium Assisiense, 14/2 (2012), p.66. Ho
trovato il brano citato in Ugo Sartorio, Sinodalità: verso un nuovo stile di
Chiesa (saggi), Ancora 2021]
[…] una struttura
verticistica più facilmente educa alcuni a
comandare e molti ad obbedire, educa pochi ad avere responsabilità e
molti a sentirsi marginalmente coinvolti, ma educa tutti a ignorare ciò che
l’altro cerca di dire: infatti chi ha responsabilità di governo decide e si
carica della responsabilità senza dover dialogare con nessuno - anche se questo non significa che nella
prassi chi ha responsabilità di governo
nella Chiesa non cerchi un dialogo
autentico, ma dal punto di vista della struttura potrebbe non farlo -, mentre
la stragrande maggioranza, che non ha responsabilità di governo, subisce ogni
decisione, sapendo che non gli compete nemmeno di farsi domande in merito e
così non esprime ciò che pensa ma nemmeno ascolta ciò che gli viene proposto,
anzi spesso pensa di non esserne il destinatario.
Questa è la condizione della maggior parte
delle persone laiche nella Chiesa, al di fuori delle associazioni o movimenti
ecclesiali organizzati democraticamente nei quali quindi si può effettivamente
partecipare in tutto il processo decisionale, personalmente o mediante propri
rappresentanti o delegati.
Forzare i processi decisionali, per aprire
spazi partecipativi, può essere spiacevole, perché il clero resiste a questi
tentativi. La situazione del clero di base è particolarmente angosciante perché
si trova costretto tra la pressione partecipativa, da un lato, e l’abbandono di
massa per disaffezione, dall’altro, dei propri fedeli e le disposizioni dei
propri superiori gerarchici. Esso non può aprire spazi di
partecipazione, perché non ne ha la facoltà burocratica.
Il processo sinodale che si sta per aprire
potrebbe modificare la situazione, se non si risolverà solo nel rispondere a
una specie di sondaggio, ma, promuovendo incontri e dibattiti, stimolerà la
sperimentazione sinodale, dandone facoltà lì dove può avvenire senza tanti
problemi, ad esempio in una realtà di prossimità come la parrocchia.
In questa fase bisognerà convincersi che non
è possibile cambiare di colpo un’organizzazione millenaria che si è
incancrenita nei costumi gerarchici e nell’amministrazione spicciola di un
ingente patrimonio e di un numeroso
personale dipendente, oltre ad essere intrappolata nella sua complicata e
presuntuosa teologia normativa che costruisce problemi insolubili per poi
dichiararli tali, perché tutto rimanga com’è.
Quindi, nel definire l’area della sinodalità
in un processo che coinvolga le realtà di prossimità, in via di
sperimentazione, sarebbe bene delimitarla, per ora, alle decisioni che
coinvolgono direttamente e da vicino la vita comunitaria di riferimento,
evitando accuratamente di toccare l’inferno della dogmatica e il
chiacchiericcio a vuoto che spesso è il prevalente oggetto dell’interesse dei
media in materia religiosa (ad esempio preti sposati, venalità e corruzione
delle curie, procreazione e affini,
matrimoni ecc.). Quindi si dovrebbe tener presente essenzialmente l’area della pastorale,
che ho sopra definito, e poi le
questioni su locali e arredi parrocchiali, sulle risorse economiche della
parrocchia, sulla divisione dei compiti nei servizi comuni. Se, ad esempio, si
deve fare un calendario delle
attività, esso, in un’ottica di sinodalità, dovrebbe essere partecipato in
tutte le fasi della sua progettazione e deliberazione. E, naturalmente, si
dovrebbe comprendere nella sinodalità anche l’area della riflessione e
tirocinio relativi alla sinodalità pratica,
di prossimità, quindi il Consiglio pastorale parrocchiale, da integrare
con una componente elettiva e da disciplinare con un nuovo regolamento più
aggiornato, che inglobi anche l’organizzazione della sinodalità, e l’Assemblea
parrocchiale, da tenere sistematicamente in varie sessioni e sezioni, in
modo da dare a tutti la possibiltà di partecipare, organismi nei quali imparare
a pensare e praticare la
sinodalità. Non dobbiamo presumere di sapere sulla sinodalità ecclesiale tutto
ciò che significa, proprio mentre gli studiosi ancora si interrogano
sull’argomento. Sul tema, in realtà, siamo tutti neofiti.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa
-Roma, Monte Sacro, Valli