Il logo del Sinodo |
Chiesa sinodale - una riflessione sulle origini
Sinodi e Concili fino al 4° Secolo |
Nel
corso della propria storia, i cristiani hanno mantenuto una forte coscienza del
loro essere comunità, della comunione tra loro, accresciuta dalle celebrazioni
liturgiche e dalle attività caritative comuni. Il popolo dei credenti eleggeva
i propri vescovi, i vescovi della regione si riunivano per consacrare il nuovo
eletto. Questo era un modo di dimostrare la comunione tra loro, ma anche
un’occasione per discutere i rispettivi
compiti, le difficoltà, gli obiettivi comuni.
Questa corresponsabilità fra i
vescovi e fra le comunità si espresse in maniera particolarmente costruttiva e
brillante nel percorso - spesso
complicato - dello sviluppo dottrinale del cristianesimo e nella continua evoluzione
delle norme e delle esigenze di vita dei diversi gruppi di fedeli. A mano a
mano che il numero dei cristiani aumentava, si moltiplicavano i problemi
strutturali e di convivenza. I vescovi prendevano coscienza del proprio
specifico ruolo e della necessità di affrontare uniti la situazione nel suo
sviluppo.
Sembra che nel III secolo [dal
201 al 300 della nostra era - nota mia] la proliferazione delle eresie
dottrinali e l’aumento dei problemi amministrativi abbia reso necessari
periodici incontri di vescovi di diverse regioni al fine di constatare la fede
delle rispettive comunità e di proclamarla contro quelle dottrine che deviavano
dalla fede comune. Nacquero così i sinodi e i concili, i cui antecedenti [i
modelli -nota mia] erano il sinedrio ebraico e il senato romano. I
cristiani vi manifestavano la propria fede, i teologi vi formulavano le proprie
teorie e i vescovi vi prendevano le proprie decisioni.
A partire da quello che viene
generalmente chiamato il concilio di Gerusalemme [che viene dato all’anno 49
della nostra era - nota mia] - un’adunanza di apostoli e di anziani -
fino all’ultima assemblea dei vescovi latinoamericani con Benedetto 16° ad
Aparecida (Brasile) [nel maggio 2007 - il libro da cui traggo la citazione fu
pubblicato nel 2008 - nota mia], si sono susseguiti venti secoli di
riunioni, sinodi e concili - generalmente di vescovi, a cui talvolta hanno
preso parte anche sacerdoti e laici - durante le quali si tastava il polso
della Chiesa, si esaminavano le difficoltà, si adottavano le decisioni, si
imponevano precetti e dottrine. Possiamo affermare senza alcun dubbio che il
cristianesimo, nei suoi momenti più conflittuali e decisivi, è stato guidato in
modo sinodale.
[…]
La cristianizzazione dell’Impero
romano introdusse un importante elemento - sebbene, a volte, deformante - nelle
deliberazioni e nella conferma delle
decisioni prese nei concili: gli
imperatori, prima, e i re dei diversi paesi, poi, Di fatto i primi otto concili ecumenici [quelli
del Primo Millennio - nota mia] furono convocati e presieduti da
imperatori o dai loro delegati. A decidere erano i vescovi, ma nulla aveva
valore senza il benestare imperiale. Non si trattava, è chiaro, di
un’imposizione ma, a quanto pare. di un diritto positivamente riconosciuto
dalla gerarchia ecclesiastica.
[da LABOA, Juan Marìa, Atlante storico dei Concili e dei Sinodi
nella storia della Chiesa, Città Nuova e Jaka Book 2008]
***************************************
Ci viene proposto di vivere la
fede in maniera sinodale. Il Sinodo generale, che si concluderà
nell’ottobre 2023 con l’Assemblea dei vescovi del mondo, e quello della Chiesa
italiana, che si concluderà nell’ottobre 2025, anno del Giubileo, sono stati
convocati appunto per discuterne. Poiché comprendono una fase preparatoria nella quale su quel tema ci confronteremo
nelle nostre realtà di prossimità, anche nelle parrocchie, sono già per tutti
noi un esercizio di sinodalità.
I nostri vescovi ci hanno posto dieci domande
su altrettante materia concernenti la vita di fede sinodale. Non si
tratta di un sondaggio al quale ciascuno di noi deve rispondere
individualmente. Né la risposta dovrebbe essere congegnata e concordata solo
all’interno degli organismi di partecipazione previsti e nella dirigenza di
associazioni e movimenti. Si vorrebbe che tutti i fedeli fossero
coinvolti nel discorrere, valutare e decidere che comunicare ai nostri vescovi.
Addirittura si vorrebbe che potessero venire tra noi per quel lavoro coloro
che, per varie ragioni, ad esempio povertà estrema, malattia, scarsa
istruzione, discriminazione sociale
all’interno della collettività di riferimento (ad esempio perché provengono da
un’altra regione sulla quale ci sono pregiudizi), condizione sociale (ad esempio per irregolarità delle loro
relazioni personali dal punto di vista canonico), sono di solito
emarginati. Questo è stato richiesto
espressamente dal Papa e riportato nel Documento preparatorio, diffuso nello scorso settembre per preparare
la fase preparatorio del processo
sinodale.
Questo
modo di procedere, che è quello abituale praticato in Azione Cattolica, non è
frequente in altri ambienti, per cui in genere non se ne è acculturati.
Per molte persone praticanti la
routine della vita religiosa, del tutto degna va detto, è fatta di preghiera
personale, meditazione su brani biblici, frequenza alla messa e al sacramento
della Penitenza (in epoca di pandemia ci sono state difficoltà in questo),
sforzo per aderire ai precetti di buona vita insegnati dal Magistero, innanzi
tutto in famiglia, nelle altre relazioni
personali, sul lavoro, e in società
cercando di venire in soccorso in qualche modo di chi sta peggio e chiede
aiuto. Alcuni poi praticano particolari
forme di spiritualità e devozione in confraternite e movimenti, così come forma
di carità più intense in organizzazioni come la Società di San Vincenzo De
Paoli o nella Caritas diocesana.
Una persona che vive in quel modo la propria
vita di fede, vi dedica larga parte della giornata. Si incontra con gli altri
per questioni religiose a messa e nelle collettività di spiritualità, devozione
o carità di cui ho scritto. Ha nel cuore
e nella mente il Signore in modo costante: inizia e chiude la giornata
pregando. Nell’esame di coscienza
sistematico c’è uno sforzo quotidiano per migliorarsi. Va detto: questa è una
via di santificazione. Possiamo considerare la sinodalità come un suo sviluppo.
Spesso essa viene presentata come un
metodo di co-decisione, ma, in realtà, per ciò che esige, è una via di
maggiore impegno, in cui si partecipa all’assunzione
collettiva di responsabilità per l’intera
Chiesa. Richiede maggiore
consapevolezza del senso del nostro essere comunità nella storia. Corrisponde a una precisa vocazione. Spesso si pensa che solo il clero e i religiosi ricevano una
vocazione, ma invece si insegna che tutti hanno la loro e la fede religiosa è
anche una risposta ad un essere chiamati. E’ appunto per questo che ci si avvicina
maggiormente in quello che viene descritto anche come un cammino sinodale.
«La Chiesa di
Dio è convocata in Sinodo. Con questa convocazione, papa Francesco invita tutta
la Chiesa a interrogarsi sulla sinodalità un tema decisivo per la vita e la
missione della Chiesa», si legge, in apertura, nel sito del Sinodo
generale 2021-2023 https://www.synod.va/it.html . Mi
sembra detto molto bene. Descrive la vocazione che ci viene.
Ma com’è che finora non se ne era parlato?
In realtà non è proprio così.
Diciamo che questa materia non è arrivata
nella spiritualità e nella sapienza della generalità dei fedeli, non è stata
inserita nella formazione di primo e secondo livello, e se ne è discusso, da molto
tempo, tra le persone che, per varie ragioni, erano più interessate, ad esempio
per il loro corso di studi, o per avere responsabilità direttive in
organizzazioni ecclesiali, o semplicemente, come noi in Azione Cattolica,
perché si sono trovate inserite in collettività che la praticavano.
Come si legge nel testo che ho sopra
trascritto, tratto da un bel libro che dà conto delle tante forme di sinodalità
vissute nella nostra Chiesa, la fede religiosa spinge ad incontrarsi e unirsi,
e ciò è accaduto fin dalle origini. Il Magistero ci mette in guardia: non è
possibile vivere bene la fede solo in una dimensione privata, come ci spingono
a fare gli irreligiosi, che però sono sempre meno. Ho vissuto da ragazzo negli
anni ’70 e non avrei immaginato che nella stessa Italia nella quale a
quell’epoca la religione era così avversata, essenzialmente per ragioni
politiche, per il fatto di essere in qualche modo implicata nelle faccende di
governo dello stato, attraverso il partito cristiano,
secondo l’espressione del politologo Gianni Baget Bozzo, ai tempi nostri
avrebbe goduto di tanto credito, al punto che le parole del Papa, i suoi
scritti, finanche le sue lettere,
finiscono nelle prime pagine dei più diffusi quotidiani nazionali. Un’occasione
che può rivelarsi estremamente propizia per due lavori che rientrano nel
mandato che tutti noi abbiamo ricevuto dal Maestro: diffondere il
vangelo e praticarlo. Praticare significa incidere nella società in cui
viviamo, come, in particolare, le persone laiche hanno iniziato a fare sempre
più intensamente dalla metà dell’Ottocento: la nostra Azione Cattolica è stata
fondata nel 1906, sulla base di precedenti esperienze associative, proprio con
quella missione. Ora però si vorrebbe che quest’attività non fosse concentrata
solo in una specie di organizzazione specializzata,
ma fosse partecipata in modo molto più esteso, tendenzialmente da tutte le
persone di fede.
Una prima avvertenza: sarà necessario apprendere cose
che forse prima non si sapevano e di cui non si avvertiva la mancanza. Questo
perché, quando si inizia a lavorare in società, e l’evangelizzazione
consiste proprio in questo, è come quando si sale in stazione su un
treno che viene da lontano e va lontano. Bisogna informarsi. Dove va? In quali
stazione ferma? Abbiamo il biglietto giusto?
Nel brano che ho sopra trascritto ci sono
notizie fondamentali sulle esperienze sinodali dei primi quattro secoli delle
nostra comunità. Il Quarto secolo fu fondamentale, perché a quell’epoca si
decisero questioni molto importanti per intendere chi fosse stato, e fosse ancora, per noi il
Maestro.
L’autore garbatamente ci mette in guardia:
non furono tutti rose e fiori,
come si dice. In realtà, avvicinandosi alla storia ecclesiastica di quei tempi
ci si può scandalizzare, per la veemenza con cui venivano difese le proprie
concezioni di fede. Bisogna dire che nel Secondo Millennio andò anche molto
peggio.
Un altro dato emerge: a parte quello che viene
definito Concilio di Gerusalemme,
che si data al 49 della nostra era, quando Paolo di Tarso, insieme ad altri, fu
mandato nella comunità di Gerusalemme, nella quale oltre a Pietro l’apostolo
era diventato un personaggio eminente Giacomo, detto il fratello del Signore, si pensa un suo parente stretto, per discutere
degli obblighi rituali della legge dell’antico giudaismo da imporre ai
cristiani che non erano ebrei, la serie dei sinodi e concili comincia all’inizio
del Terzo secolo a Cartagine, in Africa, e a Roma. Le Chiese africane svolsero
all’epoca un ruolo molto importante, Basti pensare che Agostino, uno dei più
grandi autori dell’antichità cristiana latina, era di quelle parti e a lungo fu
vescovo ad Ippona, nella provincia romana d’Africa; in quella città morì di febbri, a 76 anni,
durante il lungo assedio recato dai Vandali, un popolo germanico che era
dilagato nell’antico impero romano. E quei sinodi e concili erano
fondamentalmente partecipati da vescovi, altro clero, teologi, nel Quarto
secolo personaggi della corte imperiale: le altre persone attendevano solo le
decisioni che vi venivano prese. Del resto, gran parte di loro non era più in
grado nemmeno di capire le complesse questioni che vi si dibattevano.
Nei primi secoli, ma anche dopo, e in fondo anche oggi, si diede moltissima
importanza alle definizioni,
come quelle che recitiamo la domenica a messa nel Credo,
quello che ci viene dai lavori dei concili del Quarto secolo di Nicea e
Costantinopoli, per questo detto niceno-costantinopolitano.
La formazione di un vero e proprio clero si fa risalire al Secondo secolo
[dall’anno 101 al 200], ma già a quell’epoca aveva assunto molta importanza il
ruolo del vescovo, come persona di riferimento per le Chiese locali e anche
come protagonista delle controversie sulle definizioni teologiche.
Sull’organizzazione delle Chiese cristiane
del Primo secolo, quindi fino all’anno 100
si sa poco. Si ipotizza che le persone comuni vi avessero un ruolo più
incisivo.
Che cosa ne possiamo ricavare? Che la
sinodalità come oggi è proposta è un’esperienza che probabilmente, con questa
estensione che si vorrebbe realizzare, non è
mai stata vissuta nelle nostre Chiese.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli