Noi, la sinodalità e la religione
5. […] Così il
Vescovo è contemporaneamente maestro e discepolo. Egli è maestro quando, dotato
di una speciale assistenza dello Spirito Santo, annuncia ai fedeli la Parola di
verità in nome di Cristo capo e pastore. Ma egli è anche discepolo quando,
sapendo che lo Spirito è elargito a ogni battezzato, si pone in ascolto della
voce di Cristo che parla attraverso l’intero Popolo di Dio, rendendolo «infallibile in credendo»[ dall’Esortazione apostolica La
gioia del Vangelo (2013), n.119]. Infatti, «la totalità dei fedeli, avendo
l’unzione che viene dal Santo (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e
manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di
tutto il Popolo, quando “dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici”, mostra
l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» [dalla Costituzione
dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti, del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)]. Il
Vescovo, per questo, è insieme chiamato a «camminare davanti, indicando il
cammino, indicando la via; camminare in mezzo, per rafforzare [il Popolo di
Dio] nell’unità; camminare dietro, sia perché nessuno rimanga indietro, ma,
soprattutto, per seguire il fiuto che ha il Popolo di Dio per trovare nuove
strade. Un Vescovo che vive in mezzo ai suoi fedeli ha le orecchie aperte per
ascoltare “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2, 7) e la
“voce delle pecore”, anche attraverso quegli organismi diocesani che hanno il
compito di consigliare il Vescovo, promuovendo un dialogo leale e costruttivo«Dal
Discorso di Papa Francesco ai Partecipanti al Convegno per i nuovi Vescovi
promosso dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese
Orientali (19 settembre 2013)]
6. Anche il
Sinodo dei Vescovi deve sempre più diventare uno strumento privilegiato di
ascolto del Popolo di Dio: «Dallo Spirito Santo per i Padri sinodali chiediamo,
innanzitutto, il dono dell’ascolto:
ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo,
fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama» [dal Discorso di papa Francesco nella Veglia di preghiera in
preparazione al Sinodo sulla famiglia (4 ottobre 2014),9].
Benché
nella sua composizione si configuri come un organismo essenzialmente
episcopale, il Sinodo non vive pertanto separato dal resto dei fedeli. Esso, al
contrario, è uno strumento adatto a dare voce all’intero Popolo di Dio proprio
per mezzo dei Vescovi, costituiti da Dio «autentici custodi, interpreti e
testimoni della fede di tutta la Chiesa» [dalla Costituzione dogmatica Luce
per le genti del Concilio Vaticano 2° (1962-1965), n.12], mostrandosi di
Assemblea in Assemblea un’espressione eloquente della sinodalità come
«dimensione costitutiva della Chiesa»[dal Discorso di papa Francesco nel 50°
anniversario del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015)].
Pertanto, come ha affermato Giovanni Paolo II,
«ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è una forte esperienza
ecclesiale, anche se nelle modalità delle sue procedure rimane sempre
perfettibile. I Vescovi riuniti nel Sinodo rappresentano anzitutto le proprie
Chiese, ma tengono presenti anche i contributi delle Conferenze Episcopali
dalle quali sono designati e dei cui pareri circa le questioni da trattare si
fanno portatori. Essi esprimono così il voto del Corpo gerarchico della Chiesa
e, in qualche modo, quello del Popolo cristiano, del quale sono i Pastori»»[dal
Discorso di papa Francesco
nel 50° anniversario del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015)].
[dalla Costituzione apostolica La comunione
episcopale, sul sinodo dei vescovi, emanata da papa Francesco il 15
settembre 2018]
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I due passi della Costituzione apostolica La
comunione episcopale, sul Sinodo dei vescovi, del 2018, che ho sopra
riportato, riassumono il senso del cammino sinodale al quale siamo stati chiamati a partecipare. Quella
Costituzione è una legge della Chiesa
emanata dal Papa che ha riformato la
struttura e la procedura del Sinodo dei vescovi, sostituendo la disciplina
datagli dai suoi predecessori Paolo 6°, nel 1965, e Benedetto 16°, nel 2006, e cambiando alcune
parti dei codici diritto canonico vigenti, nella Chiesa latina e in quelle
orientali.
La riforma non
è stata deliberata dal Papa in modo “sinodale”, ma con le norme
all’epoca vigenti non poteva che farsi così. Ora, con le nuove norme introdotte
nel 2018, è diverso: ulteriori modifiche in materia potranno essere deliberate
nello stesso Sinodo dei vescovi, del quale il Papa è il presidente.
Ma il processo avviato dal Papa nel 2018 è di
portata molto più ampia di una modifica nell’esercizio del governo
ecclesiastico centrale, quindi del regolamento del funzionamento del Sinodo dei
vescovi come organo di governo.
Le innovazioni in materia di sinodalità
riguardano infatti anche la vita comunitaria
di tutti noi fedeli cristiani: ci viene proposto un modo di essere e di fare Chiesa sinodale. Tuttavia esso non
viene “imposto”, “ordinato” dall’alto, ma “proposto”. Ecco dunque la
spiegazione di un cammino sinodale sulla stessa sinodalità, non
orientato ad ottenere l’adesione
acritica a quell’impostazione, e, quindi, sempre aperto.
Vogliamo essere Chiesa sinodale, nella
quale dunque all’impegno comunitario corrisponde anche un coinvolgimento
partecipativo nelle fasi di decisione? Tenendo conto che decidere pone in
posizione di particolare responsabilità, perché, quando si tratta di Chiesa,
bisogna tener conto di chi coloro che ci hanno preceduto, dai quali abbiamo
avuto la tradizione di una missione santa, insieme, certo, a modi di essere
e di fare rispetto ad essa non essenziali e addirittura incoerenti o
contrastanti. Non abbiamo inventato noi la tradizione religiosa che osserviamo:
questo è essenziale per la sua credibilità. E la nostra fede non è in noi
stessi, ma si basa sulla persona del
nostro Maestro e Fondatore, il cui insegnamento ci è giunto, di
generazione in generazione, attraverso quella tradizione, nel suo sviluppo
storico, che è stato quello che è stato, nel bene e nel male, ma che ci ha
fatto giungere la sua voce. Partecipare sinodalmente significa anche
approfondire la consapevolezza di quella realtà, imparare per essere religiosi
in modo meno superficiale, oltre la sola pratica devozionale personale o
comunitaria, che è importante, che è virtuosa, ma non basta, se si vuole praticare
il vangelo in tutta le sue esigenti dimensioni, soprattutto nel modo che i
tempi che viviamo richiedono.
La sinodalità va imparata, in particolare in
un contesto di autoformazione che comprenda un suo tirocinio. Non basta infatti
leggerne sui libri o sentirla insegnare da esperti. Occorre provare a
praticarla nel proprio ambiente di prossimità, lì dove si vive comunitariamente
la nostra fede. E tenendo conto che, in genere, si parte ora, perché fino ad
oggi si è stati in comunità religiose in modo diverso, in atteggiamento meno
attivo, in particolare di sequela del clero. Ci viene chiesto di assumerci
maggiori responsabilità, ma con la capacità di tenere tutto e tutti insieme.
Tenendo conto che, ad esempio, non tutti possono essere pastori e che di
pastori avremo sempre bisogno per
essere cristiani: ha voluto così il Signore. Dovremo quindi sempre accogliere
con rispetto, amicizia e riconoscenza i nostri pastori. E tuttavia rendendoci
conto che l’apostolato, quindi la diffusione della conoscenza e della pratica
del vangelo, innanzi tutto mediante quest’ultima, non è solo loro
responsabilità, ma anche nostra, per la nostra relazione viva con il Signore, essendo stati rivestiti
di lui nel battesimo, come insegna il Magistero, e così rinati.
«Ogni Assemblea Generale del Sinodo dei
Vescovi è una forte esperienza ecclesiale, anche se nelle modalità delle sue
procedure rimane sempre perfettibile», questo si legge nel preambolo della
Costituzione apostolica La comunione dei vescovi. In genere però non lo è stata in passato,
prima che nella preparazione del Sinodo dei vescovi fosse integrata una fase di
consultazione di tutti i fedeli cristiani. I più ne apprendevano a cose fatte,
quando si trattava semplicemente di eseguire ciò che era stato deliberato in
alto. Ma, siamo sinceri, quanto di quello che venne deliberato ci è veramente
giunto, ha cambiato veramente il nostro modo di essere Chiesa? Più che altro
sono rimaste cose per addetti ai lavori, il clero, i religiosi, i
dirigenti di associazioni e movimenti ecclesiali. Questa volta riusciremo a
integrare nella nostra religiosità il tema del cammino sinodale, vale a dire la sinodalità,
come l’ha proposta il Papa?
Condividiamo l’insegnamento del Magistero che la sinodalità sia un modo di
essere essenziale della Chiesa che risale alle origini? Condividiamo l’idea che
i nostri tempi esigano un impegno sinodale di tutti, in particolare per
noi persone laiche, per adempiere la missione di operare per ordinare il
mondo secondo il vangelo, in essa compresa l’impegno per uno modo maggiormente
partecipativo di essere e fare Chiesa?
Discuterne in un gruppo sinodale è già tirocinio di sinodalità.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli