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Essere compagni nella vita di fede
Alle origini, i cristiani impegnati nella propaganda e nella costruzione
e cura delle comunità di fedeli si chiamavano reciprocamente compagno, nel greco antico koinonòs. Lo attesta Paolo di Tarso
nella seconda lettera ai Corinzi, 8,23, chiamando compagno, “koinonòs” il suo collaboratore Tito. L’imperatore
Costantino, in via di cristianizzazione, convocando il primo concilio ecumenico
svoltosi a Nicea nel 325, definì sé stesso compagno
vescovo, koinonòs epìskopos, per l’unità
del mondo. Fratelli
si nasce, amici si diventa, per essere compagni è necessario un particolare impegno nel
lavorare per l’unità. Nella visione cristiana questo impegno comprende tutti,
tutta l’umanità, come se fosse un’unica famiglia e quell’unità ha il nome di agàpe, termine del greco antico che
richiama l’immagine di un lieto convito al quale nessuno sia escluso. Quel
termine è molto importante per la fede cristiana perché è scritto che O teòs agàpe estìn, il Fondamento è agàpe. Questo è il centro della fede cristiana: si è impegnati ad essere compagni al servizio dell’agàpe. Il servizio è il modo cristiano per esercitare il
potere: « I re comandano sui loro popoli e quelli
che hanno il potere si fanno chiamare benefattori del popolo. Voi però non
dovete agire così! Anzi, chi tra voi è il più importante diventi come il più
piccolo; chi comanda diventi come quello che serve.» (dal
Vangelo secondo Luca, capitolo 22, versetti 25 e 26 – versione TILC –
Traduzione interconfessionale in lingua corrente).
[da una mia riflessione ad
un’assemblea di un’associazione professionale di miei colleghi di lavoro]
La parola del greco antico koinonìa
è molto importante nella riflessione teologica e, di solito, viene tradotta
con il termine italiano comunione, che ricorderete di aver sentito
spesso in chiesa.
Alle origini veniva usata per indicare quelli, tra i seguaci del
Maestro, che da un certo momento in poi vennero definiti cristiani,
Dopo
l’uccisione di Stefano si era scatenata la persecuzione. Allora molti credenti
avevano abbandonato Gerusalemme e si erano dispersi, alcuni in Fenicia, altri a
Cipro, altri fino ad Antiòchia [città molto importante nell’antichità “romana”,
nella Siria settentrionale – nota mia]. Essi però predicavano
la parola di Dio solo agli Ebrei. Tuttavia alcuni di essi, che
erano di Cipro e di Cirène, appena giunti ad Antiòchia si misero a predicare
anche ai pagani [*], annunziando loro il Signore Gesù. La potenza del
Signore era con loro, così che un gran numero di persone credette e si convertì
al Signore.
I
credenti della chiesa di Gerusalemme vennero a sapere queste cose: allora
mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. Egli vi andò e vide quello che Dio aveva
operato con la sua grazia. Se ne rallegrò e incoraggiava tutti a rimanere
fedeli al Signore con cuore deciso. Bàrnaba era un uomo buono, pieno
di *Spirito Santo e di fede. Un numero considerevole di persone
allora si convertì al Signore. Bàrnaba poi andò a Tarso per cercare
Paolo. Lo trovò e lo portò ad Antiòchia. In questa comunità rimasero
insieme per un anno intero e istruirono molta gente. Proprio ad Antiòchia,
per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani.
[Dagli Atti degli apostoli, capitolo 11,
versetti da 19 a 26 – At 11, 19-26 – versione TILC]
Nota:
[*] la parola del testo pagani traduce quella del greco antico Ἑλληνιστάς [Ellenistàs], che significa greci, non nel
senso di persone di etnia greca,
ma di gente di lingua e cultura greca, vale a dire, in quel contesto biblico, i
non giudei. La parola pagano, deriva dal latino paganus, vale
a dire abitante di un villaggio, e riflette la situazione dell’Italia dei
primi secoli, in cui i cristianesimi si affermarono a partire dalle città, mentre nelle zone rurali permaneva
l’antica religione politeistica. Assunse un senso dispregiativo, nel senso di incivile,
che ancora ha nell’uso comune. Sarebbe bene evitare di usarla con leggerezza
per indicare quelli che nella nostra società sono non credenti o seguaci di
altre fedi, proprio per quel significato dispregiativo che ha.
che si
assumevano il compito di collaborare nella predicazione e nel suscitare e guidare le comunità dei
credenti, ad esempio, come ho detto nel brano all’inizio, nella Seconda lettera
ai Corinzi, capitolo 8, versetto 23 [1Cor 8,23], che di seguito riporto nella
versione in italiano CEI 2008 e nell’originale in greco antico
Quanto a Tito,
egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri
fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo - εἴτε ὑπὲρ Τίτου, κοινωνὸς ἐμὸς καὶ εἰς ὑμᾶς συνεργός· εἴτε ἀδελφοὶ ἡμῶν, ἀπόστολοι ἐκκλησιῶν, δόξα Χριστοῦ che si legge
“èite upèr Tìtu, koinonòs emòs kài eis umàs sunergòs èite adelfòi emòn,
apòstoloi ecclesiòn, doxa Cristù]
Nel cercare di comprendere che cosa comporta
una Chiesa sinodale può essere utile riflettere su quell’essere compagni
per l’azione in società evocato dalla parola greca koinonòs utilizzata
negli scritti del Nuovo Testamento. Vi propongo questa interpretazione: è una
Chiesa in cui tutti sono attivi
in quell’opera comune, ma non solo questo: agiscono cooperando, non
ognuno per sé secondo la propria mentalità indipendentemente dalle altre
persone di fede. Per cooperare bisogna intendersi e per intendersi
occorrere parlarsi, ma parlarsi argomentando,
cercando, in quel discorrere, di capire meglio, aiutandosi l’un
l’altro. Accanto al
perfezionamento della propria spiritualità interiore, che, in genere, è
l’oggetto principale della formazione religiosa che soprattutto i più anziani
hanno avuto e che ancora si dà, c’è anche questo, che è molto importante nel
quadro dell’insegnamento sociale della Chiesa perché si fa rientrare in ciò che
definiamo carità e che traduce la parola greca del Nuovo Testamento agàpe.
Ad esempio in una espressione molto significativa della Prima lettera di
Giovanni, capitolo 1, versetto 4 [1Gv 4,8], che riporto nella versione di CEI
2008 e nel testo in greco antico
Chi non ama non
ha conosciuto Dio, perché Dio è amore - ὁ μὴ ἀγαπῶν οὐκ ἔγνω τὸν θεόν, ὅτι ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν. [o me agapòn uk ègno ton Teòn, òti o Teòs agàpe
estìn]
dove agàpe evoca l’idea un lieto convito, dove nessuno
rimane escluso, ma anche, per estensione, quel vivere da compagni di cui si diceva, provvedendo gli uni agli
altri secondo le necessità della vita.
Mario Ardigò –
Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli