Sinodo come processo
(11-10-21)
Nel Documento preparatorio diffuso nello
scorso settembre in vista del Sinodo generale dei vescovi che si terrà
nell’ottobre 2023, la fase preparatoria, che prevede un coinvolgimento
di tutte le persone di fede, descritta come consultazione e che richiede
un loro ruolo attivo come collettività,
viene presentata come un Cammino. Nel pensiero di papa Francesco, che è
colui dalla quale ci viene la convocazione in Sinodo – questa volta è tutta
la Chiesa ad essere convocata – quella parte viene invece indicata
come un processo, e la differenza non è di poco conto.
Il Cammino
può richiamare la tradizionale metafora del gregge, guidato da pastori.
Nel logo del Sinodo c’è
l’immagine di ciò a cui si pensa. Si vede un vescovo con i paramenti liturgici,
in particolare con il bastone rituale detto pastorale, che, appunto, cammina, in mezzo a gente
di tutte le età, uomini e donne. Nella realtà della pastorizia, il pastore, in
genere, non cammina davanti al
gregge, ma dietro o in mezzo, per guardare dove esso va e individuare i capi
che si allontanano. Ma è lui a dirigere il gregge. Nella prassi europea di
questo tipo di mestiere, viene aiutato da cani, dai quali sa come farsi
intendere [nei Vangeli, nelle metafore basate sulla pastorizia, i cani, come
aiuto del pastore, non compaiono. Ipotizzo che sia perché erano considerati religiosamente
impuri, perché camminano sulle proprie mani]. Ma comunica anche con
gli individui del gregge, che lo conoscono e dipendono da lui. Sono stati
addomesticati, non saprebbero più, come gli animali selvaggi, individuare il
posto migliore per pascolare. Sono erbivori: la loro vita trascorrere nella
massima parte ad alimentarsi, perché ciò che mangiano è poco nutriente rispetto
alla carne. Il pastore, però, sa dove condurli.
Un processo
può essere considerato come una sequenza di atti preordinata ad un fine, ed è
in questo senso che lo si considera nel diritto. La profonda compenetrazione
tra religione e diritto nel nostro modo di organizzare le Chiese, ha costruito
delle procedure in quel significato
anche nell’organizzazione ecclesiastica, tra le quali vi sono anche quelle
sinodali. Il Sinodo dei vescovi ha una propria legge procedurale, che è stata
profondamente riformata nel 2018. Anche nell’industria si parla di processi: di
processi produttivi. Sono quelli che comportano l’organizzazione di una
collettività per costruire il risultato a cui si punta. Una persona singola,
nel lavoro da lei organizzato, pensiamo ad un artigiano, ma anche ad uno
scrittore, ha un metodo, ma non ne parliamo come di un processo.
Il processo è uno schema di azione sociale
organizzata da noi all’inizio e serve a dare ordine a una collettività.
Quando
si studia la natura e si cerca di descrivere realisticamente come funziona,
individuiamo anche qui dei processi, che sono delle serie di trasformazioni, metamorfosi che le cose
e gli organismi subiscono. Diamo loro una scansione temporale. Quando stimiamo
la speranza di vita di una persona, ad esempio, cerchiamo di riassumere le conseguenze di complessi
processi biologici: a seguito dell’epidemia di Covid 19, la stima è passata da
82 anni a 79,7. Questi processi, in genere, non sono da noi organizzati, anche se possiamo
servircene. Li osserviamo, li studiamo e li descriviamo. Questo vale
specialmente nel campo dell’ecologia, molto rilevante nel pensiero di papa
Francesco. Si tratta, in tutti i casi, di capire fenomeni complessi che, nella
gran parte dei casi, non sono stati da noi attivati e sui quali, lo capiamo
sempre meglio, possiamo però incidere. Anche ai nostri tempi non abbiamo la
possibilità di controllarli se non in parte molto piccola. Nell’antichità le
forze della natura coinvolte in questo tipo di processi vennero deificate e
sacralizzate: le religioni primitive erano e sono fatte di questo. Nelle dottrine
cristiane esse si ritengono solo soggette alla volontà divina e quindi sue
espressioni, vengono divinizzate. Nel pensiero di Francesco d’Assisi questo è
molto evidente e corrisponde al modo di pensare dell’uomo medievale, circondato
da forze della natura potentissime e sconosciute, vissute come comandi divini,
una specie di rivelazione come scrisse Galilei. Ancora oggi, la teologia
del disegno intelligente si muove
in quell’ordine di idee.
Quando
parliamo di fatti sociali, osserviamo una evoluzione nel tempo delle
caratteristiche delle collettività umane di volta in volta considerate: ciò
viene considerato un processo. Di che tipo di processo si tratta? E’
vero, noi siamo organismi e quindi sistemi complessi che manifestano processi
biologici, e le società sono fatte di noi. La natura ci limita moltissimo,
anzitutto nella durata della vita, con la prospettiva della fine. Capiamo bene
che siamo inseriti in un succedersi di generazione, e il generare è un processo
naturale. Tuttavia l’evoluzione delle nostre società dipende molto anche da
fattori culturali, ad esempio dal diritto e dalla religione. Anche la politica,
la costruzione e il governo della società, è uno di essi. Ma, per quanto una
società possa essere governata, non ci è mai riuscito di ordinarne tutte le sue manifestazioni, come invece ci sembra
accadere negli organismi viventi, e anche nel nostro corpo, per una sorta di virtù
naturale che, nell’ottica medievale, si riconduce alla volontà divina. E’ per
il fatto che, oltre che dalla natura, sono plasmate anche dalla nostra volontà?
Certo: l’evoluzione delle società umane, quel processo per cui cambiano nella
loro storia, in particolare nel succedersi delle generazioni e nelle loro
interazioni, dipende anche da noi, dalle nostre relazioni, nella massima
parte non pienamente consapevoli della loro incidenza sull’insieme ma solo del
loro risultato in una particolare transazione, ma in un modo che noi stessi non
riusciamo pienamente a controllare. Questo accade anche in quella particolare
società che è una Chiesa cristiana.
Ma come
è possibile che una realtà umana voluta dal Cielo e così ad esso connessa, come
i tralci con la vite (ecco una metafora basata su un processo biologico), sia
ancora preda di processi assimilabili a quelli della natura? Ciò è stato
vissuto storicamente, in religione, come una imperfezione. La Chiesa, è stato
argomentato, va vista come un corpo biologico del quale costituisce le
membra, mentre il capo è Cristo. Il problema è quindi quello di rimanere uniti
a lui. Questa concezione si basa fondamentalmente sul pensiero di Paolo di
Tarso, in particolare nel brano del capitolo 12 della Prima lettera ai Corinzi
versetti da 12 a 31 [1Cor 12, 12-31] che di seguito trascrivo nella versione
TILC - Traduzione interconfessionale in lingua corrente.
Cristo è come un corpo che ha molte parti.
Tutte le parti, anche se sono molte, formano un unico corpo. E tutti noi
credenti, schiavi o liberi, di origine ebraica o pagana, siamo stati battezzati
con lo stesso Spirito per formare un solo corpo, e tutti siamo stati
dissetati dallo stesso Spirito. Il corpo infatti non è composto da una
sola parte, ma da molte. Se il piede dicesse: «Io non sono una mano,
perciò non faccio parte del corpo», non cesserebbe per questo di fare parte del
corpo. E se l’orecchio dicesse: «Io non sono un occhio, perciò non faccio
parte del corpo», non cesserebbe per questo di essere parte del corpo. Se
tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? O se tutto il corpo fosse
udito, dove sarebbe l’odorato? Ma Dio ha dato a ciascuna parte del corpo
il proprio posto secondo la sua volontà. Se tutto l’insieme fosse una
parte sola, dove sarebbe il corpo? Invece le parti sono molte, ma il corpo
è uno solo.
Quindi
l’occhio non può dire alla mano: «Non ho bisogno di te», o la testa non può
dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi, proprio le parti del corpo
che ci sembrano più deboli, sono quelle più necessarie. E le parti che
consideriamo meno nobili e decenti, le circondiamo di maggior premura. Le
altre parti considerate più nobili non ne hanno bisogno. Dio ha disposto il
corpo in modo che venga dato più onore alle parti che non ne hanno. Così
non ci sono divisioni nel corpo: tutte le parti si preoccupano le une delle
altre. Se una parte soffre, tutte le altre soffrono con lei; e se una
parte è onorata, tutte le altre si rallegrano con lei.
Voi
siete il corpo di Cristo, e ciascuno di voi ne fa parte. Dio ha assegnato
a ciascuno il proprio posto nella chiesa: anzitutto gli apostoli, poi
i profeti, quindi i catechisti. Poi ancora quelli che fanno miracoli,
quelli che guariscono i malati o li assistono, quelli che hanno capacità
organizzative e quelli che hanno il dono di parlare in lingue
sconosciute. Non tutti sono apostoli o profeti o catechisti. Non tutti
hanno il dono di fare miracoli, di compiere guarigioni, di parlare in
lingue sconosciute o di saperle interpretare. Cercate di avere i doni
migliori.
Descrivere
la società come unico organismo è una metafora organicista, ed era
piuttosto diffusa nell’antichità.
Insegnò
in merito Giovanni Paolo 2° (udienza generale 20 novembre 1991):
1. Per
raffigurare la Chiesa, San Paolo usa la similitudine del corpo. “Noi tutti -
egli dice - siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo
corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo
Spirito” (1 Cor 12, 13). È
una immagine nuova. Mentre il concetto di “Popolo di Dio”, che abbiamo spiegato
nelle ultime catechesi, appartiene all’Antico Testamento, e viene ripreso e
arricchito nel Nuovo, l’immagine di “Corpo di Cristo”, impiegata anche dal
Concilio Vaticano II nel parlare della Chiesa, non ha precedenti nell’Antico
Testamento. Si trova nelle lettere paoline, alle quali soprattutto faremo
ricorso nella presente catechesi. Essa è stata studiata da esegeti e teologi
del nostro secolo nella sua origine paolina, nella tradizione patristica e
teologica, che ne è derivata, e nella validità che possiede anche per
presentare la Chiesa odierna. È stata assunta anche dal Magistero pontificio: e
il Papa Pio XII vi dedicò una memorabile Enciclica, intitolata appunto Mystici Corporis Christi [=del
Corpo mistico di Cisto (la dottrina) -1943].
Dobbiamo ancora notare che nelle
lettere paoline non troviamo la qualifica di mistico, che spunta solo più
tardi; nelle lettere si parla del “Corpo di Cristo”, semplicemente e con una
realistica comparazione col corpo umano. Infatti scrive l’Apostolo che “come il
corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte,
sono un corpo solo, così anche Cristo” (1
Cor 12, 12).
2. L’Apostolo con queste parole
intende mettere in risalto l’unità e nello stesso tempo la molteplicità che è
propria della Chiesa. “Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e
queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo
molti, siamo un corpo solo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra
gli uni degli altri” (Rm 12,
4-5). Si direbbe che mentre il concetto di “Popolo di Dio” mette in risalto la
molteplicità, quello di “Corpo di Cristo” sottolinea l’unità in questa
molteplicità, indicando soprattutto il principio e la fonte di questa unità:
Cristo. “Voi siete corpo di Cristo e sue membra” (1 Cor 12, 27). “Pur essendo molti, siamo un corpo solo in
Cristo” (Rm 12, 5). Mette
dunque in rilievo l’unità di Cristo-Chiesa, e l’unità dei molti membri della
Chiesa tra loro, in virtù della unità di tutto il corpo con Cristo.
3. Il corpo è l’organismo che,
proprio come organismo, esprime il bisogno di cooperazione tra i singoli organi
e membri nell’unità dell’insieme, così composto e ordinato, secondo San Paolo,
“perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra del corpo
avessero cura le une delle altre” (1
Cor 12, 25). “Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli
sono più necessarie” (1 Cor 12,
22). Siamo infatti, giunge a dire l’Apostolo, “membra gli uni degli altri” (Rm 12, 5) nel Corpo di Cristo,
la Chiesa. La molteplicità delle membra, la varietà delle funzioni non possono
danneggiare l’unità, così come d’altra parte l’unità non può annullare o
distruggere la molteplicità e la varietà delle membra e delle funzioni.
Su
queste basi scritturistiche, dal Quarto al Nono secolo, e poi dall’Undicesimo,
si riorganizzarono le Chiese primitive, facendone la Chiesa, coordinata con il potere supremo
civile.
Dialogando in questi giorni con gli amici del
mio gruppo romano del Movimento ecclesiale di impegno culturale ho
cercato di rendere l’idea di questo processo:
La
democrazia, come oggi la concepiamo, e la intendiamo in maniera molto diversa
dai secoli passati, ha fondamentalmente come
modello la città di luce donata dall'alto che chiude le grandi visioni
dell'Apocalisse. E' chiaramente anche una costruzione
cristiana.
La Chiesa, invece, è ancora affascinata dall'idea di impero
di Cristo (non: cristiano) immaginata dal Quarto secolo durante
la grande riforma delle istituzioni pubbliche dell'impero romano (con
il suo centro in Tracia, però), dal quale ricevette anche il modello di
magnificenza sacrale che ancora pratica nelle sue liturgie solenni. All'epoca
una cosa straordinariamente nuova. Le nostre conoscenze dei cristianesimi delle
origini fu a lungo dipendente dal pensiero di uno dei più grandi protagonisti
di quella storia, il vescovo palestinese di cultura ellenistica, Eusebio di
Cesarea, vissuto tra il Terzo e il Quarto secolo.
Quando fui un ragazzo del liceo, un'estate, durante una vacanza sulle
Dolomiti, a Serrada di Folgaria, conobbi don Gianni Baget Bozzo, un amico di
mio zio Achille e di mio padre, mentre stava scrivendo la prima parte della sua
grande opera sulla storia del partito cristiano. Lui e lo zio
Achille discutevano dei problemi che don Gianni stava affrontando. Dal
Quinto secolo, mi spiegarono, le Chiese cristiane evolsero secondo due
schemi, quello di Eusebio di Cesarea, fondato sull'idea di un imperatore
vescovo e vicario di Cristo, e quello riconducibile all'africano
Gelasio, papa a Roma nel Quinto secolo, fondato sull'accentramento dei poteri
religiosi nella gerarchia del clero e sulla sottoposizione ad essa dei
poteri civili. Nel Primo Millennio fu il primo a dominare, nel Secondo
Millennio il secondo fu alla base della costruzione del Papato imperiale a
partire dalla riforma ordinata e attuata dal toscano papa Gregorio 7°
(Undicesimo secolo): di questa riforma fu parte la teologia del Papa come Vicario
di Cristo. L'idea di regalità, nel primo e nel secondo modello,
dipendeva dalla costruzione di quella di Cristo, re dell'Universo,
Pantocratore nella concezione bizantina, fatta dal Quarto al Nono
secolo. Questa immagine di Cristo è molto diversa da quella riconducibile al
magistero terreno di Gesù di Nazaret, anche se ne può essere considerata uno
sviluppo, nel senso che alcuni detti del Maestro che troviamo nei Vangeli
canonici possono avvalorarla. Tuttavia va considerato che l'idea di Cristo che
troviamo in quegli scritti è ancora molto dipendente da quella di Messia che
si aveva nell'ebraismo del Primo secolo, che nel greco antico si rese appunto
con Cristo. L'ideologia dossettiana, secondo Baget Bozzo (che era
stato dossettiano), richiamava il modello eusebiano. Quella di De Gasperi il
modello gelasiano. Tutti questi discorsi sono posti all'inizio del libro di
Baget-Bozzo Il partito cristiano al potere: la Dc di De Gasperi e
Dossetti, 1945-1954.
Tuttavia, mi spiegò mio zio Achille, c'era sempre stato un terzo modello di
Chiesa: appunto quello della città di luce del cap. 21 dell'Apocalisse.
E' proprio ad esso che pensava Giuseppe Dossetti, era questo che aveva
affascinato anche i primi teorici e pratici della democrazia, in nord America,
ed era anche quello a cui aspiravano i cristiano democratici europei, e la
ragione della loro scomunica durante la persecuzione antimodernista. E'
tratteggiato in una raccolta di scritti di Dossetti pubblicato con il
titolo Per la vita della città [disponibile anche in ebook per
Zikkaron, 2017]. In questa visione, la manifestazione della gloria della Chiesa
non sarà opera umana, ma sarà interamente opera di Dio, verrà in un
battito di ciglia, secondo la suggestiva espressione di Paolo. Mio zio
Achille, nelle sue periodiche conversazioni che mi teneva, essendo egli il mio
padrino di Cresima, mi iniziò a questa visione, che ancora ho nel cuore.
Nell'ordine di idee basato sul modello Gelasiano, la Chiesa è invece una specie
di macchina organica divisa per organi e funzioni, che ingloba
sacralità e regalità, impersonando sulla Terra la
presenza del Maestro ed esercitandone la regalità in modo vicario. Nel
modello, diciamo così, apocalittico non vi sono invece vicari, perché
Dio abita fra gli uomini, e il mondo di prima non c'è più, e
non ci sono più neanche diseguaglianze per funzioni diverse
esercitate, costrizioni determinate dalla ragion di stato nel governo, né
inimicizie. Uguaglianza, libertà, fraternità. Questa
visione è alla base della costruzione europea, nella quale i cristiani
democratici furono protagonisti. Una suggestione: la bandiera dell'Unione
richiama l'Apocalisse, contiene la corona di dodici stelle sul
capo della donna vestita di sole del capitolo 12
dell'Apocalisse. L'autore del bozzetto, il francese Arséne Heitz, era
un cristiano, e spiegò così il senso della sua opera; la risoluzione del
Consiglio dei ministri dell'allora Comunità economica Europea per approvare
quella bandiera è dell'8 dicembre 1955, solennità dell'Immacolata Concezione,
introdotta cinque anni prima.
Sia il
modello eusebiano che quello gelasiano
si basano sulla metafora sociale del
corpo: differiscono nel
considerare chi debba esserne il capo vicario.
Nel
Secondo millennio, con l’approfondire la riflessione sulla natura della Chiesa
corpo si perse un po’, in teologia, la chiara consapevolezza che si
trattava di una metafora, per tentare di descrivere una realtà ineffabile,
come tutte quelle in cui l’umano è connesso con il divino.
Ciò
comportò delle conseguenze sociali e politiche. In particolare le differenze di
costumi e concezioni furono viste come malattie del Corpo, tali da
metterne in pericolo la sopravvivenza, e la via per risanarlo fu in genere quella
che potremmo definire chirurgica. E voi capite bene che cosa significò.
La bella metafora contenuta nella parabola del grano e della zizzania, che
rimanda alla fine dei tempi e all’azione divina la resa dei conti, non fu presa
a modello di polizia religiosa, soprattutto quando si riteneva che fossero
in questione i fondamenti, e in genere vennero considerati tali le definizioni
della fede, come quelle che troviamo
nel Credo che ogni domenica recitiamo
insieme a messa.
Va detto che, come mi ha spiegato un amico del
MEIC che sa di biologia e anche di filosofia, l’antica metafora organicista del
capo (individuato, con funzione
solo vicaria del capo celeste,
nella gerarchia del clero, nella costruzione della struttura della nostra
Chiesa) non regge più tanto, alla luce delle conoscenze contemporanee, proprio dove
individua nel capo il centro della comprensione e
della volontà. Mi ha scritto:
[…] uno dei motivi che remano contro la democrazia
ecclesiale è il modello organicistico della chiesa: la chiesa è come un
organismo, e più particolarmente, come un organismo umano. Dunque c'è un organo
che comanda - l'encefalo - e tutti gli altri obbediscono. Quando ciò non accade
insorge una patologia, il cui modello potrebbe essere il tumore: una parte del
corpo smette di obbedire, inizia a crescere per conto suo fino a minacciare o
uccidere il corpo. La soluzione è allora l'escissione del tumore (scisma,
scomunica) o la sua distruzione fisica (rogo, strage).
Come
se ne esce, se se ne vuole uscire? Risponderei: con la biologia generale, e più
particolarmente, con la biologia umana. Infatti, un organismo in generale, e
l'organismo umano in particolare, non funzionano così.
L'encefalo
non è il centro di comando; piuttosto, comanda ed è comandato. Gli organi si
comandano tutti gli uni gli altri: ad esempio, nella seconda fase del ciclo
mestruale l'ipofisi encefalica controlla (stimolandolo) l'ovaio, che poi a sua
volta controlla (inibendo) l'ipofisi e l'ipotalamo; dunque encefalo e ovaio si
controllano e governano a vicenda; è per questo che oggi si parla di sistema
neuro-endocrino-immunitario. Vi sono poi casi in cui l'encefalo non entra per
nulla nella catena di comando; ad esempio, il pancreas controlla
sostanzialmente per conto suo la glicemia, essendo provvisto di
recettori propri e producendo alternativamente insulina o glucagone a
seconda della concentrazione del glucosio nel sangue. Infine, in molti casi l'organismo
è controllato dall'esterno; ad esempio, la temperatura ambientale provoca
reazioni diverse come la sudorazione o i brividi; il feto induce le contrazioni
del parto; i nostri batteri intestinali possono indurci a mangiare zuccheri
perché loro ne hanno bisogno. Ovviamente, se passiamo ad altre
specie, l'assenza di un centro unico di comando è ancora più evidente: qual è
il cervello delle margherite? La ricerca del centro di comando è tanto
improduttiva che, storicamente, esso è stato localizzato in organi diversi: ad esempio,
secondo Aristotele il cervello serve a raffreddare il sangue.
Se
si riesce a far capire come funziona effettivamente un organismo si può
conservare la metafora paolina dell'organismo (1 Cor 12), senza farne la
giustificazione dell'assetto gerarchico comando/obbedienza. Tra l'altro, in
Paolo non compare una decisa gerarchia, se non nel dire che prima (proton)
vengono gli apostoli, poi via via gli altri; e se afferma che alcuni carismi
sono più grandi (meizona), subito dopo attacca con l'inno alla carità, e
non certo con l'inno al papato; inoltre, il capo è comunque Cristo. Al
contrario, la Mystici corporis Christi [ del corpo mistico
di Cristo (la dottrina) - enciclica del papa Pio 12° - 1943]afferma senza
mezzi termini che "Omnino utique retinendum est, qui sacra potestate in eiusmodi
Corpore fruantur, primaria eos ac principalia membra exsistere"[= Si deve, sì, ritenere in ogni modo che quanti usufruiscono della sacra
potestà, sono in un tal corpo membri primari e principali, poiché per loro
mezzo, in virtù del mandato stesso del Redentore, i doni di dottore, di re, di
sacerdote, diventano perenni.] perché c'è sì pluralità di organi reciprocamente
dipendenti, ma "apto ordine" [nell’ordine appropriato]. Non stupisce
che segua l'eulogia [=elogio] del papa.
Nel pensiero di papa Francesco troviamo, a
fini di costruzione ecclesiale, una descrizione più realistica dei processi sociali, intesi per ciò che
veramente sono: la risultante di una interazione delle persone che non può
essere completamente controllata da un centro decisionale, anche se sacralizzato
secondo la dottrina del Corpo di Cristo. Questi movimenti e metamorfosi
della società hanno la natura di processo perché si sviluppano nel tempo
in una evoluzione nella quale ciò che ne risulta deriva da ciò che c’era prima. Su di
essi è possibile influire sviluppando un’azione sociale, in particolare di inculturazione. Tuttavia, poiché
non si ha a che fare con impersonali forze della natura ma con esseri umani, dotati di
coscienza e intelletto, essa richiede di accostare la società cercando prima di
capirla bene, perché proprio per la profonda connessione dell’umano e del
divino, essa può esprimere significati religiosi, nelle sue culture, anche
prima che essa stessa ne divenga consapevole. Essi vanno scoperti. In questo contesto, allora, la diversità non è
più considerata, in quanto appunto diversa, non uniforme, rispetto a un
certo schema preordinato, un male, una malattia, dalla quale guarire il corpo sociale, cambiando la testa dei diversi o, se non ci si
riesce, tagliandogliela. In questa concezione, il corpo sociale è visto come un
poliedro.
Di seguito trascrivo alcuni brani di
documenti pubblicati sotto l’autorità di papa Francesco, dai quali emerge
quanto ho osservato in merito al suo pensiero.
Dall’esortazione apostolica La gioia del vangelo
[2013]
220. In ogni
nazione, gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita
configurandosi come cittadini responsabili in seno ad un popolo, non come massa
trascinata dalle forze dominanti. Ricordiamo che «l’essere fedele cittadino è
una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale». Ma
diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel
quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo
che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una
cultura dell’incontro in una pluriforme armonia.
[…]
222. Vi è una
tensione bipolare tra la pienezza e il limite. La pienezza provoca la volontà
di possedere tutto e il limite è la parete che ci si pone davanti. Il “tempo”,
considerato in senso ampio, fa riferimento alla pienezza come espressione
dell’orizzonte che ci si apre dinanzi, e il momento è espressione del limite
che si vive in uno spazio circoscritto. I cittadini vivono in tensione tra la
congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande,
dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge
un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è
superiore allo spazio.
Dall’enciclica Laudato si’ [2015]
144. La visione consumistica dell’essere umano, favorita
dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee
le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro
dell’umanità. Per tale ragione, pretendere di risolvere tutte le difficoltà
mediante normative uniformi o con interventi tecnici, porta a trascurare la
complessità delle problematiche locali, che richiedono la partecipazione attiva
degli abitanti. I nuovi processi in gestazione non possono sempre essere
integrati entro modelli stabiliti dall’esterno ma provenienti dalla stessa
cultura locale. Così come la vita e il mondo sono dinamici, la cura del mondo
dev’essere flessibile e dinamica. Le soluzioni meramente tecniche corrono il
rischio di prendere in considerazione sintomi che non corrispondono alle
problematiche più profonde. È necessario assumere la prospettiva dei diritti
dei popoli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un
gruppo sociale suppone un processo storico all’interno di un contesto culturale
e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura. Neppure la nozione di qualità della vita si può
imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e consuetudini
propri di ciascun gruppo umano.
Dall’enciclica Fratelli tutti [2018]
158. Esiste infatti un malinteso. «Popolo non è una categoria
logica, né è una categoria mistica, se la intendiamo nel senso che tutto quello
che fa il popolo sia buono, o nel senso che il popolo sia una categoria
angelicata. Ma no! È una categoria mitica […] Quando spieghi che cos’è un
popolo usi categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma
non spieghi così il senso dell’appartenenza al popolo. La parola popolo ha
qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del
popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E
questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile…
verso un progetto comune».
Dall’esortazione apostolica post-sinodale Cara
Amazzonia [2020]
66. La Chiesa, mentre annuncia sempre di nuovo il kerygma, deve crescere in Amazzonia. Per questo, riconfigura sempre
la propria identità nell’ascolto e nel dialogo con le persone, le realtà e le
storie del suo territorio. In tal modo, potrà svilupparsi sempre di più un
necessario processo di inculturazione, che non disprezza nulla di quanto di
buono già esiste nelle culture amazzoniche, ma lo raccoglie e lo porta a
pienezza alla luce del Vangelo. E nemmeno disprezza la ricchezza di
sapienza cristiana trasmessa lungo i secoli, come se si pretendesse di ignorare
la storia in cui Dio ha operato in molti modi, perché la Chiesa ha un volto
pluriforme «non solo da una prospettiva spaziale [...], ma anche dalla sua
realtà temporale». Si tratta dell’autentica Tradizione della
Chiesa, che non è un deposito statico né un pezzo da museo, ma la radice di un
albero che cresce. È la millenaria Tradizione che testimonia l’azione
divina nel suo Popolo e «ha la missione di mantenere vivo il fuoco più che di
conservare le ceneri».
[…]
72.[…] Gli abitanti delle città hanno bisogno di apprezzare questa
saggezza e lasciarsi “rieducare” di fronte al consumismo ansioso e
all’isolamento urbano. La Chiesa stessa può essere un veicolo in grado di
aiutare questo recupero culturale in una valida sintesi con l’annuncio del
Vangelo. Inoltre, essa diventa strumento di carità nella misura in cui le
comunità urbane sono non solo missionarie nel loro ambiente, ma anche
accoglienti verso i poveri che arrivano dall’interno spinti dalla miseria. E
ugualmente lo è nella misura in cui le comunità sono vicine ai giovani migranti
per aiutarli a integrarsi nella città senza cadere nelle sue reti di degrado.
Tali azioni ecclesiali, che nascono dall’amore, sono percorsi preziosi
all’interno di un processo di inculturazione.
[…]
93. Dunque, non si tratta solo di favorire una
maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l’Eucaristia.
Questo sarebbe un obiettivo molto limitato se non cercassimo anche di suscitare
una nuova vita nelle comunità. Abbiamo bisogno di promuovere l’incontro con
la Parola e la maturazione nella santità attraverso vari servizi laicali, che
presuppongono un processo di maturazione – biblica, dottrinale, spirituale e
pratica – e vari percorsi di formazione permanente.
Ecco, dunque, per finire il discorso, che quando il Papa parla di processo a proposito della fase preparatoria del Sinodo
generale di consultazione del Popolo
di Dio, sul quale si richiama la
tradizionale dottrina sul suo sensus fidei, vale a dire la sua capacità
di intuire la via giusta ancor
prima di saperla dire in un discorso organizzato, pensa ad una evoluzione molto
diversa da quella evocata con la parola Cammino, che rimanda alla
metafora pastorale del gregge che
va dove il pastore vuole, e il
pastore sa dove andare. Il processo così immaginato rimane aperto,
anche per i pastori. Il risultato a cui si punta non è tanto un andare da qualche parte, ma un cambiare. E cambiare nel senso del vangelo. Si pensa che l’esercizio dell’autorità
ecclesiastica come è stato condotto fin
qui abbia ostacolato questo processo, e che tale autorità, benché costituisca il
capo, possa giovarsi, nel
capire e decidere, di tutto il corpo, che così non è solo una macchina
a cui inviare comandi, ma, come effettivamente accade negli organismi viventi, in un modo che la biologia contemporanea
viene scoprendo e che non corrisponde alle conoscenze secondo le quali vennero
ideate le metafore organiciste, un centro complesso di formazione del pensiero
e della volontà a cui tutti gli organi cooperano in quanto tutti connessi.
Vivere la fede è sorprendersi, un po’ come i
discepoli al momento dell’Ascensione del Signore.
Detto questo Gesù incominciò a salire in alto,
mentre gli apostoli stavano a guardare. Poi venne una nube, ed essi
non lo videro più. Mentre avevano ancora gli occhi fissi verso il cielo,
dove Gesù era salito, due uomini, vestiti di bianco, si avvicinarono
loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché ve ne state lì a guardare il
cielo? Questo Gesù che vi ha lasciato per salire in cielo, ritornerà come lo
avete visto partire».
[dagli Atti degli apostoli, capitolo 1,
versetti da 12 a 14 - At 1, 12-14 - Versione TILC]
o come nella grandiosa visione dell’Apocalisse:
Allora io vidi un nuovo
cielo e una nuova terra, — il primo cielo e la prima terra erano spariti, e il
mare non c’era più, — e vidi venire dal cielo, da parte di Dio, la santa
città, la nuova Gerusalemme, ornata come una sposa pronta per andare incontro
allo sposo. Una voce forte che veniva dal trono esclamò: «Ecco
l’abitazione di Dio fra gli uomini; essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio
con loro. Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. La morte non ci sarà
più. Non ci sarà più né lutto né pianto né dolore. Il mondo di prima è
scomparso per sempre».
[dal libro dell’Apocalisse, capitolo 21,
versetti da 1 a 4 - Ap 21, 1-4- Versione TILC]
Mario Ardigò
- Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli