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Lo sviluppo di una Chiesa sinodale
Per capire che cosa si intende per Chiesa sinodale bisogna
riprendere un discorso che si era abbandonato molti anni fa. Gli storici
fissano una data ed è il 1985, l’anno in cui si celebrò la seconda Assemblea
straordinaria del Sinodo dei vescovi, istituzione con una storia
antica ma che, dopo il Concilio dei Trento, era stata abbandonata nella
Chiesa cattolica, venendo riorganizzata nel 1965, in attuazione di principi
deliberati durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965), fondamentalmente per
proseguire l’esperienza, che era stata molto coinvolgente per tutti, di quel
concilio. Il tema di quel Sinodo era “La Chiesa mistero di comunione”. La
prima assemblea generale del nuovo Sinodo si era tenuta nel 1967. Ne erano
seguita cinque ordinarie, una straordinaria e una speciale dedicata
specificamente ai Paesi Bassi. La fase attuativa dei principi del Concilio Vaticano 2° si
svolse quindi in maniera sinodale, con la partecipazione dei vescovi del mondo, anche se, progressivamente,
dalla fine degli anni ’70, con sempre minore partecipazione del resto dei fedeli,
che ne venivano a sapere a decisioni prese. Essa, come riconoscono gli storici
che se ne sono occupati, era stata fondamentale durante il concilio svoltosi
negli anni Sessanta. A questa carenza partecipativa può ricondursi il
sostanziale fallimento della riforma deliberata dal Concilio Vaticano 2°, che
si tentò anche di interpretare in modo da ridurne molto la portata, asserendo
che non aveva comportato vere novità rispetto al passato. Il nuovo
Sinodo dei vescovi fu progressivamente interpretato con un ufficio ausiliario
del Papa, e questo non corrispondeva all’idea di collegialità nell’episcopato enunciata durante il concilio.
Insomma, l’episcopato fu nuovamente distinto nettamente dal resto del popolo,
del quale, nel corso degli anni ’70, si temette il vivace pluralismo che stava
manifestando. Per ricondurlo ad unità si fece forza sul principio di comunione.
Questa parola traduce quella del greco antico koinònia, usata nel Nuovo Testamento con un significato
teologico, e che originariamente definiva l’essere compagni in un’opera comune. Già nell’antichità essa
venne usata per indicare che si era riconosciuti come credenti dal proprio
vescovo, con il quale, dunque, si era in comunione. Affermatosi un
potere papale molto accentrato e pervasivo nel Secondo Millennio, l’ortodossia,
il giusto modo di definire ma anche di vivere la fede, fu misurata tra i
cattolici in base all’essere in comunione con il papa. Così la concezione del Popolo
di Dio, al centro della teologia del Vaticano 2°, veniva a temperare il
totalitarismo di quell’idea di comunione. Questa contrapposizione si coglie
bene in questi due brani
Papa Giovanni Paolo 2° (udienza generale
20 novembre 1991):
https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1991/documents/hf_jp-ii_aud_19911120.html
1. Per raffigurare la Chiesa, San Paolo
usa la similitudine del corpo. “Noi tutti - egli dice - siamo stati battezzati
in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi;
e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito” (1 Cor 12, 13). È una
immagine nuova. Mentre il concetto di “Popolo di Dio”, che abbiamo spiegato
nelle ultime catechesi, appartiene all’Antico Testamento, e viene ripreso e
arricchito nel Nuovo, l’immagine di “Corpo di Cristo”, impiegata anche dal
Concilio Vaticano II nel parlare della Chiesa, non ha precedenti nell’Antico
Testamento. Si trova nelle lettere paoline, alle quali soprattutto faremo
ricorso nella presente catechesi.
2. L’Apostolo con dqueste parole intende
mettere in risalto l’unità e nello stesso tempo la molteplicità che è propria
della Chiesa. “Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste
membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti,
siamo un corpo solo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni
degli altri” (Rm 12, 4-5). Si direbbe che mentre il concetto di “Popolo di
Dio” mette in risalto la molteplicità, quello di “Corpo di Cristo” sottolinea
l’unità in questa molteplicità, indicando soprattutto il principio e la fonte
di questa unità: Cristo. “Voi siete corpo di Cristo e sue membra” (1
Cor 12, 27). “Pur essendo molti, siamo un corpo solo in Cristo” (Rm 12,
5). Mette dunque in rilievo l’unità di Cristo-Chiesa, e l’unità dei molti
membri della Chiesa tra loro, in virtù della unità di tutto il corpo con
Cristo.
3. Il corpo è l’organismo che, proprio
come organismo, esprime il bisogno di cooperazione tra i singoli organi e
membri nell’unità dell’insieme, così composto e ordinato, secondo San Paolo,
“perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra del corpo
avessero cura le une delle altre” (1 Cor 12, 25).
[…]
7. Dobbiamo ancora aggiungere che la
dottrina della Chiesa come corpo di Cristo-capo ha uno stretto collegamento con
l’Eucaristia. L’Apostolo infatti chiede: “Il calice della benedizione, che noi
benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane, che noi
spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?” (1 Cor 10,
16). Si tratta ovviamente del Corpo personale di Cristo che noi riceviamo in
modo sacramentale nell’Eucaristia sotto la specie del pane. Ma continuando il
suo discorso San Paolo risponde alla domanda posta: “Poiché c’è un solo pane,
noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo
dell’unico pane” (1 Cor 10, 17). E questo “un corpo solo” sono
tutti i membri della Chiesa, uniti spiritualmente al Capo appena identificato
con Cristo in persona.
Dalla
Relazione dei vescovi alla conclusione di Sinodo 1985
https://romana.org/1/sinodo-dei-vescovi/assemblea-straordinaria-del-sinodo-dei-vescovi/
1. Significato
di comunione
L'ecclesiogia di
comunione è l'idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio. La
Koinonia/comunione, fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella
Chiesa antica e nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni. Perciò molto è
stato fatto dal Concilio Vaticano II perché la Chiesa come comunione fosse più
chiaramente intesa e concretamente tradotta nella vita. Che cosa significa la
complessa parola "comunione"? Si tratta fondamentalmente della
comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questa
comunione si ha nella Parola di Dio e nei Sacramenti. Il Battesimo è la porta
ed il fondamento della comunione nella Chiesa. L'Eucarestia è la fonte ed il
culmine di tutta la vita cristiana (cfr. LG 11). La Comunione del corpo
eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica l'intima comunione di
tutti i fedeli nel Corpo di Cristo che è la Chiesa (1 Cor. 10, 16).
Pertanto l'ecclesiologia
di comunione non può essere ridotta a pure questioni organizzative o a problemi
che riguardino semplicemente i poteri. Tuttavia l'ecclesiologia di comunione è
anche fondamento per l'ordine nella Chiesa e soprattutto per una corretta
relazione tra unità e pluriformità nella Chiesa.
2. Unità e pluriformità nella Chiesa
Come crediamo in un solo
Dio e in uno ed unico mediatore Gesù Cristo, in un solo Spirito, così abbiamo
un solo battesimo ed una sola Eucarestia, con cui sono significate ed edificate
l'unità e l'unicità della Chiesa. Ciò è di grande importanza specialmente nei
nostri tempi poiché la Chiesa, in quanto una ed unica, come sacramento, è cioè
segno e strumento di unità e di riconciliazione, di pace fra gli uomini, le
nazioni, la classi ed i popoli. Nell'unità della fede e dei sacramenti e
nell'unità gerarchica, specialmente con il centro di unità, datoci da Cristo
nel servizio di Pietro, la Chiesa è quel popolo messianico di cui parla la
Costituzione "Lumen Gentium" n. 9. In questo modo la comunione
ecclesiale con Pietro e con i suoi successori non è ostacolo ma anticipazione e
segno profetico di una unità più piena. D'altra parte l'unico e medesimo
Spirito opera con molti e vari doni spirituali e carismi (1 Cor. 12, 4-ss),
l'unica e medesima Eucarestia viene celebrata in vari luoghi. Per questo
l'unica ed universale Chiesa è presente veramente in tutte le Chiesa
particolari (CD 11), e queste sono formate ad immagine della Chiesa universale
in modo tale che l'una ed unica Chiesa cattolica esiste in e attraverso le
Chiese particolari (LG 23). Qui abbiamo il vero principio teologico della
varietà e della pluriformità nell'unità, ma bisogna distinguere la pluriformità
dal puro pluralismo. Quando la pluriformità è vera ricchezza e porta con sé la
pienezza, questa è vera cattolicità. Invece il pluralismo di posizioni
fondamentalmente opposte porta alla dissoluzione, distruzione e perdita
dell'identità.
Di fatto da allora e fino al 2013 si riuscì a limitare molto l’effervescenza
ecclesiale, in particolare le sperimentazioni nelle realtà di base e in
movimenti e associazioni, imponendo d’autorità
un'unanimità rituale che finì per spegnere gli entusiasmi che si erano manifestati
negli anni seguiti al concilio, anche a costo di emarginare o silenziare i
dissenzienti. Da ciò poi la progressiva decadenza, della rilevanza politica dei cattolici in
Italia, benché fossero stati tra gli artifici principali della nuova Repubblica
democratica.
Si sviluppò una vera e propria azione di polizia ideologica, sorretta dalla Congregazione per la dottrina della fede diretta dal 1981 da Joseph Ratzinger, nel 2005 succeduto a Giovanni Paolo 2° come papa Benedetto 16°, che fino all’inizio degli anni ’90 ebbe particolarmente di mira il socialismo e successivamente cercò di contrastare (vanamente) le libertà sessuali e riproduttive, e di tutelare, all’interno, il principio di autorità gerarchica con al vertice il Papa e, all’esterno, in Italia e altrove, gli interessi economici e le prerogative sociali delle istituzioni ecclesiastiche, i cosiddetti valori non negoziabili. Alcuni ne hanno parlato come di un lungo inverno.
Il
Sinodo straordinario del 1985 seguì l’entrata
in vigore del nuovo codice di diritto canonico che, a giudizio di molti, non
recepi bene le innovazioni deliberate dal Concilio in materia di Popolo di Dio e di collegialità episcopale.
Ora, con il processo sinodale
che domani sarà inaugurato nelle diocesi del mondo, si vuole invece
approfondire il discorso sul come essere Chiesa in un contesto pluralistico,
anche all’interno della stessa Chiesa, non pretendendo la comunione-uniformità,
ma la comunione-agàpe, e soprattutto non la comunione come sequela passiva
della gerarchia, ma come cooperazione nell’apostolato, e ciò anche in realtà di base
come le parrocchie.
Ma
perché questo dovrebbe addirittura entusiasmarci?
Fondamentalmente
perché ci dà l’opportunità di uscire da una certa (comoda) passività in cui
eravamo confinati. Forse non ricordiamo più come sia fonte di gioia essere
portatori del vangelo tra le altre persone, non però nel senso di semplici propagandisti,
ma di suoi praticanti.
Di solito
si finisce tra i praticanti nelle statistiche se si va a messa. E allora ti chiedono se ci vai tutte le domeniche, o magari solo in occasione di qualche
grande festa come il Natale o per un matrimonio e altri simili eventi di
famiglia, o se magari ci vai anche in qualche giorno feriale, o persino ogni
giorno e via dicendo. Parlando di Eucaristia il discorso si sposta
subito alla messa, che ne è la manifestazione liturgica e sacramentale. In
realtà tutta la vita di un cristiano può essere vista come partecipazione all’Eucaristia, sua espressione in
quella koinonìa che è manifestarsi cristiani nel mondo per cambiarlo, ordinarlo
secondo Dio, secondo l’espressione usata dai saggi dell’ultimo concilio:
Il carattere secolare è proprio e peculiare
dei laici. Infatti, i membri dell'ordine sacro, sebbene talora possano essere
impegnati nelle cose del secolo, anche esercitando una professione secolare,
tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati principalmente e
propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano
in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto
a Dio senza lo spirito delle beatitudini. Per loro vocazione è proprio dei
laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo
Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del
mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la
loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi
dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il
proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a
manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro
stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro
quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali,
alle quali sono strettamente legati, in modo che siano fatte e crescano
costantemente secondo il Cristo e siano di lode al Creatore e Redentore.
[dalla Costituzione
dogmatica sulla Chiesa, Luce per le genti, deliberata durante il Concilio
Vaticano 2°]
Dunque la gioia che c’è in una Chiesa
sinodale sta nella possibilità di praticare
più intensamente ed estesamente,
facendo la propria parte con autonomia, spirito di iniziativa, originalità, senza
più temere di apparire difformi e sentirlo come una mancanza. Si lavora insieme,
nello spirito eucaristico, e bisogna
quindi intendersi. Si deve decidere come essere senza attendere che siano altri,
il prete o il catechista o il capo associativo o di movimento, a spiegarcelo,
ma cercando di fare progetti insieme anche
a loro. Ecco perché, ora, i nostri vescovi ci hanno scritto che vogliono
ascoltarci.
Questo è il senso del nostro Cammino
sinodale: ascoltare e condividere per portare a tutti la gioia del Vangelo.
È il modo in cui i talenti di ciascuno, ma anche le sue
fragilità, vengono a comporre un nuovo quadro in cui tutti hanno un volto
inconfondibile.
Una nuova società e una Chiesa rinnovata. Una Chiesa rinnovata per
una nuova società.
Ci stai?
Allora camminiamo
insieme con entusiasmo.
Il futuro va
innanzitutto sognato, desiderato, atteso. Ascoltiamoci per intessere relazioni
e generare fiducia.
Ascoltiamoci per riscoprire le nostre possibilità; ascoltiamoci a
partire dalle nostre storie, imparando a stimare talenti e carismi diversi.
Certi che lo scambio di doni genera vita. Donare è generare
In particolare, ci invitano a costituire gruppi
sinodali in cui cominciare a confrontarci
e, innanzi tutto, ad apprendere. Perché anche questo sarà necessario. Dopo che
tanto a lungo non lo si è fatto, vivere una Chiesa sinodale
richiede anzitutto di fare il punto della situazione, quella della nostra Chiesa,
quella della nostra parrocchia e anche quella nostra personale. Non basta incontrarsi e dire la propria. Dobbiamo
metterci alla scuola del Concilio Vaticano 2°, cominciando a familiarizzarci
con i documenti che furono deliberati e
cercando di calarli nella nostra realtà particolare. Una cosa che, purtroppo, non
si riesce a fare nelle formazione di base, che si ha da molto giovani e che per i più
è l’unica della loro vita. Sotto questo profilo, l’aver aderito all’Azione Cattolica,
in cui questo lavoro si fa da anni, è un bel vantaggio. Ma, guardiamoci con sincerità!
Lo abbiamo fatto anche noi a San Clemente papa?
Mario Ardigò –
Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.