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Le origini recenti del
movimento per la sinodalità popolare
Prima dell’inizio del regno di Papa Francesco la sinodalitá era
più che altro, tra i cattolici italiani, un argomento per addetti ai lavori: ne
discutevano storici della Chiesa, canonisti, teologi interessati alla dogmatica
sulla Chiesa. In particolare, non era una via seguita nella pastorale, vale
a dire nell’organizzazione e cura della vita comunitaria dei fedeli. Questi
ultimi venivano accusati di superficialità, incostanza, incoerenza e,
talvolta, addirittura di essersi resi
partecipi di uno scisma sommerso, nel senso di essersi scissi dalla
pratica liturgica -non li si vedeva più in chiesa- manifestandosi convinti
che andava bene così. E quelli rimasti dentro sembravano non all’altezza
delle aspettative. Figuriamoci se, così considerandoli, si sarebbe mai
immaginato di ascoltarli.
L’esperienza del Papa rimanda alle prassi delle
Chiese latinoamericane. Lo si è visto fin dall’inizio nel suo frequente
riferirsi a documenti di conferenze episcopali nazionali, ad esempio
nell’enciclica del 2015 Laudato si’, pratica poco consueta nei suoi
predecessori.
Nei secoli il Sinodo era diventato essenzialmente
strumento di governo, in particolare da quando, nel Secondo secolo, cominciò a
rafforzarsi la posizione istituzionale del vescovo. Fino al Quattrocento,
sinodi e concili erano riunioni di vescovi con la partecipazione di imperatori
e re o loro delegati ma anche di teologi, per dirimere questioni di definizioni,
o in materia di prassi liturgiche o di giudizi disciplinari. Nel Secondo
Millennio, il rafforzarsi dell’autorità del Papa romano, vide una sempre
maggiore importanza del suo ruolo in società e nella Chiesa cattolica, in
particolare dal Cinquecento, e ciò a discapito del metodo sinodale.
In America Latina, dagli anni Sessanta quel metodo
era diventato specificamente uno strumento pastorale, ma in un modo particolare.
L’azione pastorale, quella che lavora sulle comunità cristiane per indurre una
vita secondo il vangelo e, quindi, la costante conversione, ha riguardato gli
stessi vescovi che si sono convertiti al popolo oppresso da strutture sociali e politiche che lo
mantenevano in una misera condizione, distaccandosi dalla tradizionale alleanza
con il potere dominante. Hanno anche preso consapevolezza che l’evangelizzazione
del continente era stata attuata con forme di violenza estrema, addirittura
stragista. E’ una situazione diversa dai problemi che abbiamo avuto storicamente
in Europa. Gli europei, in America latina, furono colonizzatori e oppressori e
la religione cristiana fu anche parte della loro ideologia politica. Il
movimento dei vescovi verso il popolo corrispose ad un analogo movimento
nel popolo, in particolare con l’esperienza della comunità di base.
Di questa nuova modalità di fare ed essere
Chiesa, scrisse nel 1975 il papa Paolo 6°, Giovanni Battista Montini, in un
documento del Magistero molto importante, e ancora molto interessante, vale a
dire l’Esortazione apostolica L’impegno di annunziare il vangelo - Evangelii
nuntiandi:
LE COMUNITÀ
ECCLESIALI DI BASE
58. Il
recente Sinodo [la terza assemblea generale del Sinodo dei vescovi, sull’evangelizzazione,
tenutasi nel 1974] si è molto occupato di queste piccole comunità o «comunità
di base», perché nella Chiesa d'oggi sono spesso menzionate. Che cosa sono e
per quale motivo queste sarebbero destinatarie speciali di evangelizzazione e,
nello stesso tempo, evangelizzatrici?
Fiorendo un po' dappertutto nella Chiesa,
secondo le differenti testimonianze sentite al Sinodo, esse differiscono molto
fra di loro, in seno alla stessa regione e, più ancora, da una regione
all'altra.
In alcune regioni sorgono e si sviluppano,
salvo eccezioni, all'interno della Chiesa, solidali con la sua vita, nutrite
del suo insegnamento, unite ai suoi pastori. In questo caso, nascono dal
bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa; oppure dal
desiderio e dalla ricerca di una dimensione più umana, che comunità ecclesiali
più vaste possono difficilmente offrire, soprattutto nelle metropoli urbane
contemporanee che favoriscono la vita di massa e insieme l'anonimato. Esse
possono soltanto prolungare, a modo loro, a livello spirituale e religioso -
culto, approfondimento della fede, carità fraterna, preghiera, comunione con i
Pastori - la piccola comunità sociologica, villaggio o simili.
O ppure esse vogliono riunire per
l'ascolto e la meditazione della Parola, per i Sacramenti e il vincolo
dell'Agape, gruppi che l'età, la cultura, lo stato civile o la situazione
sociale rendono omogenei, coppie, giovani, professionisti, eccetera; persone
che la vita trova già riunite nella lotta per la giustizia, per l'aiuto
fraterno ai poveri, per la promozione umana. Oppure, infine, esse radunano i
cristiani là dove la penuria dei sacerdoti non favorisce la vita normale di una
comunità parrocchiale. Tutto questo è supposto all'interno delle comunità
costituite della Chiesa, soprattutto delle Chiese particolari e delle
parrocchie.
In altre regioni, al contrario, comunità di
base si radunano in uno spirito di critica acerba nei confronti della Chiesa,
che esse stimmatizzano volentieri come «istituzionale» e alla quale si
oppongono come comunità carismatiche, libere da strutture, ispirate soltanto al
Vangelo.
Esse hanno dunque come caratteristica un
evidente atteggiamento di biasimo e di rifiuto nei riguardi delle espressioni
della Chiesa: la sua gerarchia, i suoi segni. Contestano radicalmente questa
Chiesa. In tale linea, la loro ispirazione diviene molto presto ideologica, ed
è raro che non diventino quindi preda di una opzione politica, di una corrente,
quindi di un sistema, anzi di un partito, con tutto il rischio, che ciò
comporta, di esserne strumentalizzate.
La differenza è già notevole: le comunità che
per il loro spirito di contestazione si tagliano fuori dalla Chiesa, di cui
d'altronde danneggiano l'unità, possono sì intitolarsi «comunità di base», ma è
questa una designazione strettamente sociologica. Esse non potrebbero
chiamarsi, senza abuso di linguaggio, comunità ecclesiali di base, anche se,
rimanendo ostili alla Gerarchia, hanno la pretesa di perseverare nell'unità
della Chiesa. Questa qualifica appartiene alle altre, a quelle che si radunano
nella Chiesa per far crescere la Chiesa.
Queste ultime comunità saranno un luogo di
evangelizzazione, a beneficio delle comunità più vaste, specialmente delle
Chiese particolari, e saranno una speranza per la Chiesa universale, come
abbiamo detto al termine del menzionato Sinodo, nella misura in cui:
- cercano il loro alimento nella Parola di Dio
e non si lasciano imprigionare dalla polarizzazione politica o dalle ideologie
di moda, pronte sempre a sfruttare il loro immenso potenziale umano;
- evitano la tentazione sempre minacciosa della
contestazione sistematica e dello spirito ipercritico, col pretesto di
autenticità e di spirito di collaborazione;
- restano fermamente attaccate alla Chiesa
particolare, nella quale si inseriscono, e alla Chiesa universale, evitando
così il pericolo - purtroppo reale! - di isolarsi in se stesse, di credersi poi
l'unica autentica Chiesa di Cristo, e quindi di anatematizzare le altre
comunità ecclesiali;
- conservano una sincera comunione con i Pastori che il Signore dà alla sua
Chiesa e col Magistero, che lo Spirito del Cristo ha loro affidato;
- non si considerano giammai come l'unico destinatario o l'unico artefice di
evangelizzazione - anche l'unico depositario del Vangelo! -; ma, consapevoli
che la Chiesa è molto più vasta e diversificata, accettano che questa Chiesa si
incarni anche in modi diversi da quelli, che avvengono in esse;
- crescono ogni giorno in consapevolezza, zelo,
impegno, ed irradiazione missionari;
- si mostrano in tutto universalistiche e non mai settarie.
Alle suddette condizioni,
certamente esigenti ma esaltanti, le comunità ecclesiali di base
corrisponderanno alla loro fondamentale vocazione: ascoltatrici del Vangelo,
che è ad esse annunziato, e destinatarie privilegiate dell'evangelizzazione,
diverranno senza indugio annunciatrici del Vangelo.
Nel brano che ho sopra trascritto sono
evidenti le tensioni generate da questa nuova esperienza di Chiesa.
In America latina, favorita dal contesto
linguistico che vede sostanzialmente due lingue europee parlate in tutto il
continente, lo spagnolo e il portoghese, dal 1955 la vita della Chiesa fu caratterizzata
dalla storia di grandi assemblee di carattere sinodale, quelle del Consiglio
episcopale latino-americano - CELAM. Quella che risalta maggiormente, perché
produsse un documento che di quel movimento di cui dicevo può essere
considerato il manifesto, si svolse a Medellìn, in Colombia, nel
1968. Fu fortemente influenzata da un grandioso documento del Magistero, vale a
dire dall’enciclica Lo sviluppo
dei popoli - Populorum progresso,
pubblicato sotto l’autorità del papa Paolo 6° l’anno precedente. Per dare una
prospettiva storica, osservo che l’enciclica La carità nella verità - Caritas in veritate, diffuso nel 2009 sotto l’autorità del papa Benedetto 16°, contiene una esplicita polemica nei confronti
delle interpretazioni pastorali di
quel documento, dietro le quali si intravvede una polemica direttamente verso
quest’ultimo.
Fin dal Secondo secolo, la vita
delle Chiese cristiane è stata travagliata da controversie sulle definizioni di fede e sull’esercizio del potere
ecclesiastico, e la situazione si complicò dal Quarto secolo, quando la
religione cristiana venne integrata nell’ideologia politica del rinnovato Impero
romano (che presto ebbe il suo centro non più a Roma, ma in Tracia, a
Bisanzio / Costantinopoli, che divenne il cuore dell’ellenismo cristianizzato).
Sinodi e Concili servirono a risolvere quella questioni, in definitiva contrasti
di potere, e, in genere, si svolsero in un clima piuttosto bellicoso, arrivando
ad efferatezze che, con la sensibilità contemporanea, ci appaiono rivoltanti.
Un esempio si ebbe nel Concilio di Costanza, svoltosi in Germania nel Quattrocento
e promosso dall’imperatore germanico Sigismondo, capo del Sacro Romano Impero, per risolvere la questione di tre Papi regnanti e quella sorta per la
predicazione religiosa del boemo Jan
Hus, un professore di teologia di Praga. La dottrina di Hus fu condannata dal
Concilio il 6 luglio 1415 e, poiché egli non la ritrattò, fu immediatamente
giustiziato nel modo atroce del rogo.
Indubbiamente però, come
osservato nel documento della Commissione
Teologica Internazionale La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa
(diffuso nel 2018, all’esito di lavori
svolti tra il 2014 e il 2017), collegio di teologi di alto livello istituito
presso la Congregazione per la dottrina
della fede, l’organismo della Santa Sede che svolge
attività di polizia dottrinale sulla Chiesa universale:
42. L’insegnamento
della Scrittura e della Tradizione attesta che la sinodalità è dimensione
costitutiva della Chiesa, che attraverso di essa si manifesta e configura come
Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto. Nel
capitolo 1 si è evidenziato, in particolare, il carattere esemplare e normativo
del Concilio di Gerusalemme (At 15,4-29).
Esso mostra in atto, a fronte di una sfida decisiva per la Chiesa delle
origini, il metodo del discernimento comunitario e apostolico che è espressione
della natura stessa della Chiesa, mistero di comunione con Cristo nello Spirito
Santo. La sinodalità non designa una semplice procedura operativa, ma la
forma peculiare in cui la Chiesa vive e opera. In questa prospettiva, alla luce
dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, questo capitolo mette
a tema i fondamenti e contenuti teologali della sinodalità.
[l’intero documento,
molto interessante per capire la sinodalità ecclesiale può essere letto
a:
All’inizio del suo regno religioso, papa
Francesco manifestò di voler suscitare un modo diverso di vivere
comunitariamente la fede, nel senso dell’esperienza fatta nell’America latina,
che si era rivelata produttiva. Rimaneva il problema di coinvolgervi la
gerarchia, in particolare quella dell’Occidente europeo, che storicamente era
stata tanto importante nella costruzione della religione ma era stata abituata
ad un contesto più autoritario, e naturalmente di formarvi tutto il popolo dei
fedeli cristiani. Da qui l’idea della sinodalità come metodo per questa nuova via, ma non
limitata ai vescovi, bensì proposta come forma organizzativa popolare, ad
ogni livello.
Bisogna dire che l’attuazione della sinodalità
episcopale per farla corrispondere
ai principi del Concilio Vaticano 2° di corresponsabilità nel governo della Chiesa, fatta nel 1965 dal
papa Paolo 6°, era stata costruita come ausilio
all’esercizio del potere ecclesiastico del
Papa, quindi come forma di governo. Del resto di sinodalità nei documenti del Concilio Vaticano 2° si era trattato
espressamente appunto riferendosi alle
relazioni dell’episcopato con il papato. Quest’idea di sinodalità non
corrispondeva esattamente a quella vissuta in America Latina nel CELAM, ma nemmeno
era praticabile universalmente, coinvolgendo, ad esempio anche le persone
laiche. Aveva come base teologica l’affermazione della pari dignità battesimale
di tutti i fedeli.
Papa Francesco pensa di fare della sinodalità
il metodo per essere Chiesa che trasforma il mondo e solleva i miseri, nel
senso indicato dall’enciclica Laudato si’, del 2015
Naturalmente questo richiede di
avere la collaborazione di forze molto superiori a quelle di soli clero e
religiosi. Ma le altre persone di fede sono state più che altro ridotte a platea o gregge che va docilmente dove gli si dice di andare.
Senza attuare i principi di autonomia delle realtà sociali e della natura e di responsabilità di tutti
enunciati durante il Concilio Vaticano 2°, quindi senza coinvolgere in modo
partecipativo tutto il popolo, si va poco avanti. Con il rischio, naturalmente,
di non riuscire a trovare l’accordo su tutto, in particolare se non ci si
conosce, non ci si parla e si diffida gli uni degli altri. Da qui la proposta
della sinodalità diffusa.
Questo programma è stato esplicitato dal Papa in un suo discorso molto
importante alla Chiesa italiana, il 17 ottobre 2015, tenuto in occasione del 50° anniversario dell'istituzione del Sinodo dei
vescovi
Fin dall'inizio del mio ministero come Vescovo di Roma ho inteso
valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose
dell'ultima assise conciliare. Per il Beato Paolo VI, il Sinodo dei Vescovi
doveva riproporre l'immagine del Concilio ecumenico e rifletterne lo spirito e
il metodo. Lo stesso Pontefice prospettava che l'organismo sinodale «col
passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato». A lui faceva eco,
vent'anni più tardi, San Giovanni Paolo II, allorché affermava che «forse
questo strumento potrà essere ancora migliorato. Forse la collegiale
responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente».
Infine, nel 2006, Benedetto XVI approvava alcune variazioni all'Ordo
Synodi Episcoporum, anche alla luce delle disposizioni del Codice
di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese
orientali, promulgati nel frattempo.
Dobbiamo
proseguire su questa strada. Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad
amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il
potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il
cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla
Chiesa del terzo millennio.
citato
all’inizio del menzionato documento della Commissione Teologica Internazionale.
Il Papa
tornò in tema qualche giorno più tardi, il 10 novembre 2015, in un discorso
tenuto nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, ai rappresentanti del 5° convegno nazionale della chiesa
italiana, esortando ad un Sinodo nazionale italiano, che non si era mai tenuto
(si era operato mediante Settimane sociali, Congressi eucaristici,
Convegni ecclesiali).
Umiltà, disinteresse,
beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra
meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio.
E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce
per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che
non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il
volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la
Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li
assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù
ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe
triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che
ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio
che non mente.
Una Chiesa che presenta questi tre tratti –
umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione
del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho
detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa
accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una
Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie
sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce
rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium,
49 [esortazione apostolica La gioia del Vangelo - 2013]).
[…]
Mi piace una Chiesa
italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli
imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende,
accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa,
innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma
radicalmente la dignità di ogni persona come figlio di Dio, stabilisce tra ogni
essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad
abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e
l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura.
Sebbene
non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di
lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni
parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione,
cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii
gaudium [, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue
disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato
in questo convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento
creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una
Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti.
Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a
Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del
cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma
della comunità, del popolo di questo straordinario Paese.
In conclusione: la sinodalità
invocata dal Papa si distacca da
quella storicamente praticata nella nostra Chiesa in due importanti elementi:
-non
è centrata su questioni di definizioni teologiche o disciplinari;
-non
riguarda principalmente, nel suo aspetto diffuso, il governo della Chiesa;
-vuole
stimolare una partecipazione di
tutti i fedeli cristiani alla missione della Chiesa;
-vede
la missione della Chiesa anche nella trasformazione del mondo, innanzi tutto
per mantenerlo accogliente per la vita, e nella sollevazione dei miseri, e in
questo vede una modalità dell’evangelizzazione, la diffusione della pratica
del vangelo.
Nella sinodalità così intesa si
vorrebbe anche indurre un nuovo modo di esercizio dell’autorità, che oggi è
prevalentemente accentrata nel Papa e nei vescovi, e, per estensione nei preti
che vengono considerati più che altro collaboratori dei vescovi e quindi come loro rappresentanti
nelle realtà di prossimità, tra il
popolo, con una certa diminuzione del loro ruolo, schiacciato tra vescovi e
persone laiche. L’obiettivo è quello di fare
spazio al popolo. Un bel problema, in
particolare in Italia e nelle parrocchie, dove la dimensione partecipativa è raramente avvertibile e in cui la
missione a cui ci si dedica è
prevalentemente quella del catechismo per i sacramenti e della liturgia.
Del resto, se devono fare tutto i preti, non ci sono forze per altro, e talvolta
non bastano nemmeno per quel minimo.
L’inaridimento dei Consiglio pastorali
parrocchiali, che non sono assolutamente l’equivalente della equipe di referenti pastorali ma sono stati
istituiti come organismi realmente partecipativi, segnala i problemi che
ci sono sulla via indicata dal Papa. Le persone laiche, in particolare, vengono
ora impiegate a discrezione del
clero, come consulenti o esecutori materiali, e, se non le si ritiene più utili, vengono
esonerate senza tanti complimenti. Il primo tema da affrontare, nello
sperimentare forme di sinodalità diffusa, è quindi quello di consentire, in
qualche modo, una qualche partecipazione nel decidere qualcosa, fosse anche,
all’inizio, solo la posizione delle statue dei santi in chiesa o il programma
di acquisto dei libri per la biblioteca parrocchiale. Tuttavia spesso il clero
si manifesta sospettoso che, dietro a queste pur limitate concessioni,
si nasconda poi la pretesa di pasticciare sulle definizioni, come se a
noi laici interessasse qualcosa, ad esempio, di ridefinire le questioni trinitarie,
sul poco edificante esempio dei secoli passati e della loro efferata teologia.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli