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Sinodalità per inclusione. Abbandonare
la trincea religiosa, demolire i muri d’incenso
Prorogato al 15 agosto
2022 il termine per la consultazione del Popolo di Dio nella fase diocesana di preparazione del Sinodo
dei vescovi programmato per l’ottobre
2023.
a) La motivazione
Il Consiglio ordinario del Sinodo dei vescovi ha deciso di prorogare al 15 agosto 2022 la
fase diocesana di consultazione del popolo di Dio. Nel comunicato diffuso
il 29 ottobre scorso dalla Segreteria del Sinodo dei vescovi di legge:
« Le numerose comunicazioni pervenuteci in queste prime
settimane del percorso sinodale dalle Conferenze Episcopali, dalle diocesi
e dalle eparchie sono veramente una conferma incoraggiante di quanti nella
Chiesa si stanno impegnando per celebrare la prima fase del processo sinodale –
che ha per tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e
missione” –, costituita dalla consultazione del popolo di Dio. Per tutto
questo siamo veramente riconoscenti.
In questo
periodo, abbiamo sentito, più e più volte e da più parti, la richiesta di
estendere la durata della prima fase del percorso sinodale per fornire una
maggiore opportunità al popolo di Dio di fare un’autentica esperienza di
ascolto e di dialogo. Una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta,
considerando che questa prima fase è essenziale per questo percorso
sinodale e valutando queste richieste, cercando sempre il bene della
Chiesa il Consiglio
Ordinario del Sinodo dei Vescovi ha deciso di prorogare fino al 15
agosto 2022 il termine per la presentazione delle sintesi delle
consultazioni da parte delle Conferenze episcopali, delle Chiese orientali
cattoliche sui iuris e degli altri Organismi ecclesiali”
b) l’inclusione nella
fase di ascolto
[dal Documento preparatorio (settembre
2019) che ci è stato inviato dalla Segreteria del Sinodo dei vescovi per orientare
la fase di consultazione del popolo di Dio, che, iniziata il 9 ottobre di quest’anno,
si concluderà, non più nell’aprile del prossimo, ma il 15 agosto 2022]
31. Scopo della prima
fase del cammino sinodale è favorire un ampio processo di consultazione per
raccogliere la ricchezza delle esperienze di sinodalità vissuta, nelle loro
differenti articolazioni e sfaccettature, coinvolgendo i Pastori e i Fedeli
delle Chiese particolari a tutti i diversi livelli, attraverso i
mezzi più adeguati secondo le specifiche realtà locali:
la consultazione, coordinata dal Vescovo, è rivolta «ai Presbiteri, ai Diaconi
e ai Fedeli laici delle loro Chiese, sia singolarmente sia associati, senza
trascurare il prezioso apporto che può venire dai Consacrati e dalle
Consacrate» (EC, n. 7). In particolar modo viene richiesto il contributo
degli organismi di partecipazione delle Chiese particolari, specialmente il
Consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale, a partire dai quali
veramente «può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale».
Ugualmente sarà prezioso il contributo delle altre realtà ecclesiali a cui sarà
inviato il Documento Preparatorio, come quello di chi vorrà mandare
direttamente il proprio.
Infine, sarà di fondamentale
importanza che trovi spazio anche la voce dei poveri e degli esclusi, non
soltanto di chi riveste un qualche ruolo o responsabilità all’interno delle
Chiese particolari.
[…]
Una duplice
conversione: Pietro e Cornelio (At 10)
22. L’episodio narra
anzitutto la conversione di Cornelio, che addirittura riceve una sorta di
annunciazione. Cornelio è pagano, presumibilmente romano, centurione (ufficiale
di basso grado) dell’esercito di occupazione, che pratica un mestiere basato su
violenza e sopruso. Eppure è dedito alla preghiera e all’elemosina, cioè
coltiva la relazione con Dio e si prende cura del prossimo. Proprio da lui
entra sorprendentemente l’angelo, lo chiama per nome e lo esorta a mandare – il
verbo della missione! – i suoi servi a Giaffa per chiamare – il verbo della
vocazione! – Pietro. La narrazione diventa allora quella della conversione di
quest’ultimo, che quello stesso giorno ha ricevuto una visione, in cui una voce
gli ordina di uccidere e mangiare degli animali, alcuni dei quali impuri. La
sua risposta è decisa: «Non sia mai, Signore» (At 10,14).
[…]
23. L’apostolo
rimane profondamente turbato e, mentre si interroga sul senso di quanto
avvenuto, arrivano gli uomini mandati da Cornelio, che lo Spirito gli indica
come suoi inviati. A loro Pietro risponde con parole che richiamano quelle di
Gesù nell’orto: «Sono io colui che cercate» (At 10,21). È una vera e propria
conversione, un passaggio doloroso e immensamente fecondo di uscita dalle
proprie categorie culturali e religiose: Pietro accetta di mangiare insieme a
dei pagani il cibo che aveva sempre considerato proibito, riconoscendolo come
strumento di vita e di comunione con Dio e con gli altri. È nell’incontro con
le persone, accogliendole, camminando insieme a loro ed entrando nelle loro
case, che si rende conto del significato della sua visione: nessun essere umano
è indegno agli occhi di Dio e la differenza istituita dall’elezione non è
preferenza esclusiva, ma servizio e testimonianza di respiro universale.
24. Sia Cornelio sia
Pietro coinvolgono nel loro percorso di conversione altre persone, facendone
compagni di cammino. L’azione apostolica realizza la volontà di Dio creando
comunità, abbattendo steccati e promovendo l’incontro. La parola svolge un
ruolo centrale nell’incontro tra i due protagonisti. Inizia Cornelio a
condividere l’esperienza che ha vissuto. Pietro lo ascolta e prende in seguito
la parola, comunicando a sua volta quanto gli è accaduto e testimoniando la
vicinanza del Signore, che va incontro a ogni persona per liberarla da ciò che
la rende prigioniera del male e ne mortifica l’umanità (cfr At 10,38). Questo
modo di comunicare è simile a quello che Pietro adotterà quando a Gerusalemme i
fedeli circoncisi lo rimprovereranno, accusandolo di aver infranto le norme
tradizionali, su cui sembra concentrarsi tutta la loro attenzione, noncuranti
dell’effusione dello Spirito: «Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e
hai mangiato insieme con loro!» (At 11,3). In quel momento di conflitto, Pietro
racconta quanto gli è accaduto e le sue reazioni di sconcerto, incomprensione e
resistenza. Proprio questo aiuterà i suoi interlocutori, inizialmente
aggressivi e refrattari, ad ascoltare e accogliere quello che è avvenuto. La
Scrittura contribuirà a interpretarne il senso, come poi avverrà anche al
“concilio” di Gerusalemme, in un processo di discernimento che è un ascolto
dello Spirito in comune.
*****************************
Ieri sera abbiamo tenuto la prima delle
riunioni che abbiamo programmato come gruppo sinodale della parrocchia, secondo le indicazioni dei
nostri vescovi.
Rispettando le cautele di distanziamento interpersonale per la prevenzione
del Covid 19, in sala rossa possiamo accogliere una trentina di persone.
Mediante il collegamento Meet che
attiviamo durante gli incontri, possono partecipare fino ad altre 100 persone. Poiché
il numero dei praticanti, vale a dire di coloro che regolarmente vengono
in chiesa, può stimarsi, tenendo conto delle più recenti statistiche
nazionali, in circa 1000 persone, sarà necessario, per rendere effettiva la consultazione
popolare che ci viene richiesta, di
istituire diversi altri gruppi sinodali.
Come indicato dai nostri vescovi, il raccordo tra di essi, per formulare,
sulla base della consultazione svolta, la nota in merito da inviare in Diocesi,
all’esito del processo di ascolto, deve essere svolto dal Consiglio pastorale
parrocchiale, l’organo di partecipazione previsto dal diritto canonico a
livello parrocchiale, come precisato nel Documento preparatorio. Come
suggerito da Fulvio De Giorgi nel suo libro Quale sinodo per la Chiesa
italiana. Dieci proposte, Scholè – Morcelliana, 2021, sarebbe un’ottima
idea far coincidere la fase di consultazione popolare con le elezioni da parte
dell’Assemblea parrocchiale dei
membri elettivi del Consiglio, che, a mia memoria, nella nostra
parrocchia non s’è mai fatta. L’equipe pastorale, dove istituita, vale a dire il collegio di consulenti per
aiutare il parroco nelle attività di organizzazione e formazione della comunità,
la cosiddetta pastorale, può
collaborare nel coordinare la fase di ascolto, ma non ha titolo per
sostituire il Consiglio pastorale parrocchiale, appunto perché non è un organo partecipativo.
La differenza, che a un primo approccio può sfuggire, non è da poco. Il titolo
per cui si partecipa al Consiglio, a parte i componenti che il parroco
può nominare a sua discrezione, è
fondamentalmente l’essere battezzati e impegnati quali preti, diaconi, o responsabili
in attività associative o di movimento o in istituzioni religiose operanti
nella parrocchia, ovvero, per i membri elettivi essere stati eletti dall’Assemblea
parrocchiale; si diventa membri dell’equipe pastorale per incarico del parroco. Il primo è quindi realmente un principio di organismo
partecipativo, a partire dal quale quindi i vescovi ritengono che possa veramente incominciare
a prendere forma una Chiesa sinodale, la seconda no. I riflessi che
possono derivare dall’attribuire sostanzialmente all’equipe pastorale tutte le funzioni del Consiglio pastorale
parrocchiale riguardano in particolare la capacità inclusiva del processo di ascolto.
Nella nostra parrocchia, che io
sappia, solo il gruppo parrocchiale di AC ha programmato le sue attività fino
all’estate del 2022 inserendo, una volta al mese, un incontro come gruppo
sinodale. Ne terremo quindi ben nove fino alla sospensione estiva delle nostre attività associative. Finora dalle altre
dimensioni della parrocchia non ho colto segni analoghi e l’inizio dei cammino
sinodale non è stato menzionato
nelle messe domenicali, la principale fonte informativa religiosa per la gran
parte dei fedeli. Che io sappia, il Consiglio pastorale parrocchiale non è stato convocato per discuterne. Siamo quindi
ancora agli inizi del processo.
Il rischio, data la situazione
della parrocchia che deriva da scelte pastorali molto lontane nel tempo e che
risalgono addirittura agli anni ’80, è che il processo di ascolto sinodale,
che comporta anche un primo tirocinio di sinodalità, sia svolto solo all’interno
dei gruppi già organizzati, con il
che non sarebbe realmente sinodale.
Il fatto che i praticanti che decidono di venire in chiesa anche per attività diverse dalla frequenza
della messa siano rigidamente inquadrati nei gruppi istituiti e che questi
ultimi si muovano un po’ per compartimenti stagni, diffidenti e
sospettosi verso gli altri, è diventato storicamente uno dei principali problemi
della nostra parrocchia. Nella Quaresima del 2016 si cercò di favorire il
confronto con una serie di incontri, che però non ebbero seguito: da essi emerse
con chiarezza l’estrema sfiducia reciproca e il profondo disagio che si provava
nel trovarsi insieme ad altre persone che non facevano parte della propria
cerchia. Questa situazione non favorisce il di più che i vescovi richiedono
nella fase di ascolto, che è definito come il fare spazio anche alla voce
dei poveri e degli esclusi, non soltanto di chi riveste un qualche ruolo o
responsabilità all’interno delle Chiese particolari. In realtà si immagina
di trovarsi, non in una delle nazioni più cristianizzate (e clericalizzate) dell’universo,
ma in un mondo pagano, parola insultante che traduce il greco antico
evangelico che significava semplicemente non giudei, in quanto
provenienti dalle nazioni ἐθνικοὶ [si
legge ètnikoi], le genti non giudee. Nel lessico della cristianità latina pagano significava sostanzialmente burino, in quanto abitante nei villaggi fuori
delle città, dove inizialmente i cristianesimi avevano allignato, nei quali
ancora si praticava l’antica religione politeistica. Nel tempo la parola pagano
è venuta a significare chi, per malvagità
o ignoranza o per entrambe, non praticava il cristianesimo. Purtroppo negli ambienti
cattolici c’è il deplorevole costume di dare del pagano con molta facilità a chi, per qualche motivo, si
mostra diverso e il sospetto di paganesimo si riversa su tutti coloro che non sono
stati visti in chiesa con regolarità, ad esempio sui genitori che ci portano
i figli per il catechismo, prova questa evidentissima di profonda loro fede perché ci affidano
ciò che hanno di più prezioso, i quali allora, non potrebbero partecipare al cammino
sinodale prima di essere in qualche
modo condizionati adeguatamente. Bisogna essere chiari: questo va
contro le esplicite indicazioni dei vescovi!
La seconda delle Dieci domande che i vescovi hanno posto a base del processo
di ascolto riguarda proprio quell’aspetto:
II. ASCOLTARE
L’ascolto è il primo passo, ma richiede
di avere mente e cuore aperti, senza pregiudizi. Verso chi la nostra Chiesa
particolare è “in debito di ascolto”? Come vengono ascoltati i Laici, in
particolare giovani e donne? Come integriamo il contributo di Consacrate
e Consacrati? Che spazio ha la voce delle minoranze, degli scartati
e degli esclusi? Riusciamo a identificare pregiudizi e stereotipi che
ostacolano il nostro ascolto? Come ascoltiamo il contesto sociale e culturale
in cui viviamo?
Dovremo quindi rispondere ai nostri vescovi che, a causa di persistenti
pregiudizi e stereotipi, non solo non abbiamo mai ascoltato minoranze,
scartati ed esclusi, ma anche che, in effetti, intendiamo continuare
così, perché da noi possono partecipare solo gruppi di eletti, non nel
senso di scelti dal popolo, ma di anime speciali vocate alla gloria? E questo perché immaginiamo di essere accerchiati
da pagani dai quali dobbiamo
difenderci. Una prospettiva che mi pare un po’ dissonante dall’ordine di idee
espresso dall’esortazione apostolica La gioia del vangelo, che è alla base
del processo sinodale in corso.
47. La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa
aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto
chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire una mozione
dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di
una porta chiusa. Ma ci sono altre porte che neppure si devono chiudere. Tutti
possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far
parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere
per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel
sacramento che è “la porta”, il Battesimo. L’Eucaristia, sebbene costituisca la
pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso
rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche
conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia.
Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come
facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto
per ciascuno con la sua vita faticosa.
Come ho osservato, siamo agli inizi, nulla è
pregiudicato: ci siamo presi un po’ più di tempo per cominciare e questo spazio
di riflessione può venire utile per non avviare male il processo di ascolto della fase diocesana del cammino sinodale.
Ora abbiamo anche diversi mesi in più.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli