INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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sabato 21 novembre 2020

Fratelli tutti Enciclica 3-10-20 Papa Francesco Sintesi Prima parte, capitoli 1°- 4°, paragrafi 1-154

 

Fratelli tutti

Enciclica

3-10-20

Papa Francesco

Sintesi

Prima parte, capitoli 1°- 4°, paragrafi 1-154

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Sabato 21 novembre, alle ore 17: riunione in Google Meet del gruppo AC Sanclemente!, aperta anche ai non soci residenti in Italia,  sui temi dell’enciclica Fratelli tutti (in fondo trovate la sintesi della parte proposta per il dialogo durante l’incontro).

Consiglio di accedere dalle ore 16:45 con il codice che vi è stato inviato.

 A questo indirizzo di YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=GorIYoaHGjk

 potrete vedere un video in cui si insegna, passo per passo, come partecipare. 

 Le persone che non sono socie e che abbiano piacere di partecipare, possono chiedere il codice di accesso con una email a

mario.ardigo@acsanclemente.net

indicando il  loro nome, i temi di interesse e la parrocchia di residenza. Questi dati saranno cancellati dopo ogni riunione e dovranno essere nuovamente inviati per partecipare ad una riunione successiva.

 

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Sintesi breve

Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. Restano in piedi unicamente il bisogno di consumare senza limiti e l’accentuarsi di molte forme di individualismo senza contenuti. Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno. Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio. Dare voce a tanti percorsi di speranza: Dio infatti continua a seminare nell’umanità semi di bene.

  All’amore non importa se il fratello ferito viene da qui o da là. Il modello del buon samaritano. Far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale

 La storia del Buon Samaritano si ripete.

 Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità. Alimentiamo ciò che è buono e mettiamoci al servizio del bene. Però non facciamolo da soli, individualmente. Farsi prossimi degli altri.

Il senso sociale dell’esistenza: nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. L’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo. Il pericolo più grande è non amare. L’amicizia sociale: nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi.

 Andare oltre i propri limiti: vale anche per le varie regioni e i vari Paesi. Bisogna avere il coraggio di dare voce a quanti sono discriminati per la condizione di disabilità. L’amore che si estende al di là delle frontiere ha come base ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese. Il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza.  La libertà, che è orientata soprattutto all’amore. L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità.

  Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente. Uno Stato presente e attivo, e istituzioni della società civile che vadano oltre la libertà dei meccanismi efficientisti di certi sistemi economici, politici o ideologici. Se la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza, la fraternità sarà tutt’al più un’espressione romantica.

  I diritti umani: se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.

  Il valore della solidarietà, una parola che non sempre piace. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari. Avere cura della casa comune che è il pianeta. Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati. Nessuno dunque può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato.  Lo sviluppo non dev’essere orientato all’accumulazione crescente di pochi. Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente.

Una nuova rete di relazioni internazionali: abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che, anche nei rapporti tra gli Stati,  oggi o ci salviamo tutti o nessuno si salva.

 La gratuità fraterna: Viverla nell’universale e nel particolare. Il bene del mondo richiede che ognuno protegga e ami la propria terra. Viceversa, le conseguenze del disastro di un Paese si ripercuoteranno su tutto il pianeta. Ogni cultura sana è per natura aperta e accogliente, così che «una cultura senza valori universali non è una vera cultura». La società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma piuttosto è la comunione stessa che esiste tra essi. Oggi nessuno Stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione.

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 Sintesi estesa

 0.1 L'enciclica Fratelli tutti, di Papa Francesco, è definita sociale e pertanto riguarda l'organizzazione e il governo della società. Rientra in un tipo di insegnamenti che viene fatto iniziare dall'enciclica Le novità, diffusa nel 1891 dal papa Leone 13° e che aveva ad oggetto il proletariato, il socialismo, la critica degli arbitrii dei datori di lavoro e di chi aveva più potere nei rapporti economici, i doveri dei poteri pubblici di temperarli e di soccorrere le fasce più deboli della popolazione.Il documento è dedicato alla fraternità e all'amicizia sociale. Il Papa usa l'espressione amicizia sociale nel senso in cui in politica si parla di democrazia. L’individuazione dell’amicizia  come base della politica è molto remota: ne scrisse in diversi libri il filosofo greco Aristotele, vissuto nel Quarto secolo antica. Si attaglia meglio alla democrazia  come oggi la intendiamo, piena di valori e, in particolare, quello dell’uguaglianza in dignità. Il suo contrario, l’autocrazia, è una politica basata sulla forza.


0.2 L'enciclica è datata 3 ottobre 2020, vigilia della festa di San Francesco d'Assisi, nell'ottavo anno del regno del Papa. Si compone di 287 paragrafi e di due preghiere finali, una "al Creatore" e l'altra "cristiana ecumenica", dunque pensata per essere usata anche insieme a cristiani di altre confessioni, superando le divisioni esistenti e comunque come via per riuscirci 

0.3 La Preghiera al Creatore parte dalla constatazione che gli esseri umani sono stati creati tutti con la stessa dignità. Questa affermazione riecheggia quella principale del documento fondativo della democrazia contemporanea, la Dichiarazione di indipendenza americana del 4 luglio 1776: «Noi consideriamo evidenti [vale a dire senza bisogno di fornirne la prova] queste verità: che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertá e il perseguimento della felicità». 

Nella preghiera si chiede al Creatore, definito Signore e Padre dell’umanità, di infondere uno spirito fraterno. 

La fraternità, insieme all’uguaglianza in dignità, è l’altro principio fondamentale delle democrazie contemporanee. 

Si chiede di ispirare il sogno di un nuovo incontro costruito sulle basi del dialogo, della giustizia, della pace, per creare società più sane, un mondo più degno, vale a dire, senza fame, senza povertà, senza guerra. 

L’accento è posto sulla necessità di aprirsi a tutti i popoli della Terra, riconoscendole le virtù positive, per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise. 

Non c’è, in questa preghiera, una richiesta sulla libertà («Signore, facci liberi!») che è il terzo grande valore fondativo della democrazia come oggi la si pratica in Occidente. Spesso in religione l’idea di libertà è legata al pregiudizio che consista essenzialmente in arbitrio e, per questo, se ne diffida come fonte di pensieri e azioni disordinati. D’altra parte essa è necessariamente implicata nel riconoscimento di una pari dignità tra le persone e nel metodo del dialogo. Quest’ultimo, che nella preghiera viene considerato la base per incontri e legami, non può che essere tra persone libere. E praticamente tutti i mali che affliggono le società umane e tendono a disgregarle comportano la mancanza di libertà per i più o, comunque, per larghi strati delle popolazioni. 

0.4 La Preghiera cristiane ecumenica è un’invocazione allo Spirito Santo perché ci conceda di vivere il Vangelo, in particolare nella misericordia verso gli abbandonati e i dimenticati del mondo e nel riconoscere in tutti i popoli della Terra la stessa nostra umanità, creata ad immagine del Creatore e dunque bella, pur manifestandosi con tanti volti differenti. 

Si propone come modello l’amore fraterno che traspare dai gesti di Gesù, di cui sappiamo dal Nuovo Testamento, dalla famiglia di Nazaret, di cui sappiamo pochissimo, e dalle prime comunità cristiane, che però fin dalle Scritture ci vengono presentante anche come travagliate da aspri contrasti per diversità di vedute su temi importanti. Una visione quindi che possiamo considerare dinamica, in quanto basata sul metodo di enucleare il bene espresso in quelle relazioni sociali, senza ritenersi obbligati a inscenare di nuovo il passato, vale a dire senza pretendere di vivere come nel Primo secolo. Oggi come allora possiamo però orientarci secondo il medesimo spirito di fraternità che è, detto con san Paolo, tra le cose che rimangono: «Queste sono dunque le cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte la più grande è la carità». 

Un mondo dipinto a tinte fosche. La condanna della modernità. “Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio. […] Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale.” Gli ideali illuministi della fraternità universale e della pace perpetua proiettati nel Medioevo europeo.

1. «Fratelli tutti» [Ammonizioni, 6, 1: Fonti Francescane 155] scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta. 

 Questo Santo dell’amore fraterno, della semplicità e della gioia, che mi ha ispirato a scrivere l’Enciclica Laudato si’, nuovamente mi motiva a dedicare questa nuova Enciclica alla fraternità e all’amicizia sociale.

  La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli e le sorelle. Senza ignorare le difficoltà e i pericoli, San Francesco andò a incontrare il Sultano Malik-al-Kamil in Egitto, col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi «tra i saraceni o altri infedeli […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio»..

 Egli non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio. Aveva compreso che «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4,16). In questo modo è stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di una società fraterna.

2. Le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le mie preoccupazioni. Negli ultimi anni ho fatto riferimento ad esse più volte e in diversi luoghi. Ho voluto raccogliere in questa Enciclica molti di tali interventi collocandoli in un contesto più ampio di riflessione.

  Se nella redazione della Laudato si’ ho avuto una fonte di ispirazione nel mio fratello Bartolomeo, il Patriarca ortodosso che ha proposto con molta forza la cura del creato, in questo caso mi sono sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale mi sono incontrato ad Abu Dhabi per ricordare che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro».

  Questa Enciclica raccoglie e sviluppa grandi temi esposti in quel Documento che abbiamo firmato insieme. E qui ho anche recepito, con il mio linguaggio, numerosi documenti e lettere che ho ricevuto da tante persone e gruppi di tutto il mondo.

  Le pagine che seguono non pretendono di riassumere la dottrina sull’amore fraterno, ma si soffermano sulla sua dimensione universale, sulla sua apertura a tutti. Ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà.

3. La pandemia del Covid-19, che ha messo in luce le nostre false sicurezze. Al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme.

  Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità.

4. Propongo soltanto di porre attenzione ad alcune tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale.

  Per decenni è sembrato che il mondo avesse imparato da tante guerre e fallimenti e si dirigesse lentamente verso varie forme di integrazione. Per esempio, si è sviluppato il sogno di un’Europa unita.

 Ugualmente ha preso forza l’aspirazione ad un’integrazione latinoamericana.

  In altri Paesi e regioni vi sono stati tentativi di pacificazione e avvicinamenti che hanno portato frutti e altri che apparivano promettenti.

  Ma la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità del popolo e della nazione crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali.

 Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno. Non è possibile accontentarsi di quello che si è già ottenuto nel passato.

  “Aprirsi al mondo” è un’espressione che oggi è stata fatta propria dall’economia e dalla finanza. Si riferisce esclusivamente all’apertura agli interessi stranieri o alla libertà dei poteri economici di investire senza vincoli né complicazioni in tutti i Paesi. I conflitti locali e il disinteresse per il bene comune vengono strumentalizzati dall’economia globale per imporre un modello culturale unico. Tale cultura unifica il mondo ma divide le persone e le nazioni.

 Aumentano piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori. L’avanzare di questo globalismo favorisce normalmente l’identità dei più forti che proteggono sé stessi,.

 Per questo stesso motivo si favorisce anche una perdita del senso della storia che provoca ulteriore disgregazione. Si avverte la penetrazione culturale di una sorta di “decostruzionismo”, per cui la libertà umana pretende di costruire tutto a partire da zero. Restano in piedi unicamente il bisogno di consumare senza limiti e l’accentuarsi di molte forme di individualismo senza contenuti.

 Sono le nuove forme di colonizzazione culturale.

  Un modo efficace di dissolvere la coscienza storica, il pensiero critico, l’impegno per la giustizia e i percorsi di integrazione è quello di svuotare di senso o alterare le grandi parole. Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione.

 Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. Con varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare, e a tale scopo si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro, di accerchiarli. Non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori, e in questo modo la società si impoverisce e si riduce alla prepotenza del più forte. La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace. In questo gioco meschino delle squalificazioni, il dibattito viene manipolato per mantenerlo allo stato di controversia e contrapposizione.

 Com’è possibile alzare la testa per riconoscere il vicino o mettersi accanto a chi è caduto lungo la strada?

  Prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi. Ma abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune.

  Certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti.

 In fondo, «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani. Siamo diventati insensibili ad ogni forma di spreco, a partire da quello alimentare, che è tra i più deprecabili».

 [Ci si convince] che tutto finisce con noi, che contano solo i nostri interessi individuali. Così, oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani.

  Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. È aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che nascono nuove povertà.

 Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale.

  Molte volte si constata che, di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti.

  Osservando con attenzione le nostre società contemporanee, si riscontrano numerose contraddizioni che inducono a chiederci se davvero l’eguale dignità di tutti gli esseri umani, solennemente proclamata 70 anni or sono, sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza. Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo.

 Che cosa dice questo riguardo all’uguaglianza di diritti fondata sulla medesima dignità umana?

 Analogamente, l’organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal rispecchiare con chiarezza che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini. A parole si affermano certe cose, ma le decisioni e la realtà gridano un altro messaggio.

 

 Ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.

 Oggi come ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto.

  La persona umana, viene privata della libertà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno; viene trattata come un mezzo e non come un fine.

Guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali o religiosi, e tanti soprusi contro la dignità umana vengono giudicati in modi diversi a seconda che convengano o meno a determinati interessi, essenzialmente economici. Ciò che è vero quando conviene a un potente, cessa di esserlo quando non è nel suo interesse. Tali situazioni di violenza vanno «moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni del mondo, tanto da assumere le fattezze di quella che si potrebbe chiamare una terza guerra mondiale a pezzi.

  Questo non stupisce se notiamo la mancanza di orizzonti in grado di farci convergere in unità.

   Paradossalmente, ci sono paure ancestrali che non sono state superate dal progresso tecnologico; anzi, hanno saputo nascondersi e potenziarsi dietro nuove tecnologie.

  Di conseguenza si creano nuove barriere di autodifesa, così che non esiste più il mondo ed esiste unicamente il “mio” mondo, fino al punto che molti non vengono più considerati esseri umani con una dignità inalienabile e diventano semplicemente “quelli”.   

 Non ignoriamo gli sviluppi positivi avvenuti nella scienza, nella tecnologia, nella medicina, nell’industria e nel benessere, soprattutto nei Paesi sviluppati. Ciò nonostante, sottolineiamo che, insieme a tali progressi storici, grandi e apprezzati, si verifica un deterioramento dell’etica, che condiziona l’agire internazionale, e un indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità.

 Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi. Vediamo come domina un’indifferenza di comodo, fredda e globalizzata, figlia di una profonda disillusione che si cela dietro l’inganno di una illusione: credere che possiamo essere onnipotenti e dimenticare che siamo tutti sulla stessa barca. Questo disinganno, che lascia indietro i grandi valori fraterni, conduce a una sorta di cinismo.

  Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme.

  Il colpo duro e inaspettato di questa pandemia fuori controllo ha obbligato per forza a pensare agli esseri umani, a tutti, più che al beneficio di alcuni.

  Se tutto è connesso, è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino. E neppure basterebbe affermare che il danno causato alla natura alla fine chiede il conto dei nostri soprusi.

  Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”.

 Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto.

 I migranti vengono considerati non abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro, e si dimentica che possiedono la stessa intrinseca dignità di qualunque persona. Pertanto, devono essere “protagonisti del proprio riscatto”. Non si dirà mai che non sono umani, però in pratica, con le decisioni e il modo di trattarli, si manifesta che li si considera di minor valore, meno importanti, meno umani. È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti.

  Comprendo che di fronte alle persone migranti alcuni nutrano dubbi o provino timori. Lo capisco come un aspetto dell’istinto naturale di autodifesa. Ma è anche vero che una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare creativamente dentro di sé l’apertura agli altri.

  Paradossalmente, mentre crescono atteggiamenti chiusi e intolleranti che ci isolano rispetto agli altri, si riducono o spariscono le distanze.

    C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana. I rapporti digitali non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli.

 L’aggressività sociale trova nei dispositivi mobili e nei computer uno spazio di diffusione senza uguali.

  Ciò ha permesso che le ideologie abbandonassero ogni pudore. Quello che fino a pochi anni fa non si poteva dire di nessuno senza il rischio di perdere il rispetto del mondo intero, oggi si può esprimere nella maniera più cruda anche per alcune autorità politiche e rimanere impuniti.

 Occorre riconoscere che i fanatismi che inducono a distruggere gli altri hanno per protagonisti anche persone religiose, non esclusi i cristiani.

  La vera saggezza presuppone l’incontro con la realtà. Ma oggi tutto si può produrre, dissimulare, modificare. Questo fa sì che l’incontro diretto con i limiti della realtà diventi insopportabile.

  Il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia.

San Francesco d’Assisi ha ascoltato la voce di Dio, ha ascoltato la voce del povero, ha ascoltato la voce del malato, ha ascoltato la voce della natura. E tutto questo lo trasforma in uno stile di vita. Spero che il seme di San Francesco cresca in tanti cuori.

   Possiamo cercare insieme la verità nel dialogo, nella conversazione pacata o nella discussione appassionata.

  La saggezza non si fabbrica con impazienti ricerche in internet, e non è una sommatoria di informazioni la cui veracità non è assicurata. In questo modo non si matura nell’incontro.  

  Alcuni Paesi forti dal punto di vista economico vengono presentati come modelli culturali per i Paesi poco sviluppati, invece di fare in modo che ognuno cresca con lo stile che gli è peculiare, sviluppando le proprie capacità di innovare a partire dai valori della propria cultura. [ciò] dà luogo a un’autostima nazionale molto bassa.

  Demolire l’autostima di qualcuno è un modo facile di dominarlo. Dietro le tendenze che mirano ad omogeneizzare il mondo, affiorano interessi di potere che beneficiano della scarsa stima di sé, nel momento stesso in cui, attraverso i media e le reti, si cerca di creare una nuova cultura al servizio dei più potenti.

  Si dimentica che non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici, di non appartenere a nessuno.   

 Malgrado queste dense ombre, che non vanno ignorate, nelle pagine seguenti desidero dare voce a tanti percorsi di speranza. Dio infatti continua a seminare nell’umanità semi di bene.

Invito alla speranza, che ci parla di una realtà che è radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vive.

 

 

All’amore non importa se il fratello ferito viene da qui o da là. Il modello del buon samaritano. Far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale

 

5.  La parabola del  Buon Samaritano à raccoglie uno sfondo di secoli.

Gesù racconta che c’era un uomo ferito, a terra lungo la strada, che era stato assalito. Passarono diverse persone accanto a lui ma se ne andarono, non si fermarono. Erano persone con funzioni importanti nella società, che non avevano nel cuore l’amore per il bene comune. Non sono state capaci di perdere alcuni minuti per assistere il ferito o almeno per cercare aiuto. Uno si è fermato, gli ha donato vicinanza, lo ha curato con le sue stesse mani, ha pagato di tasca propria e si è occupato di lui. Soprattutto gli ha dato una cosa su cui in questo mondo frettoloso lesiniamo tanto: gli ha dato il proprio tempo. Sicuramente egli aveva i suoi programmi per usare quella giornata secondo i suoi bisogni, impegni o desideri. Ma è stato capace di mettere tutto da parte davanti a quel ferito, e senza conoscerlo lo ha considerato degno di ricevere il dono del suo tempo.

  Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli? Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli.

  Poco dopo la narrazione della creazione del mondo e dell’essere umano, la Bibbia presenta la sfida delle relazioni tra di noi. Caino elimina suo fratello Abele, e risuona la domanda di Dio: «Dov’è Abele, tuo fratello?» (dal libro della Genesi 4,9). La risposta è la stessa che spesso diamo noi: «Sono forse io il custode di mio fratello?»  Con la sua domanda, Dio mette in discussione ogni tipo di determinismo o fatalismo che pretenda di giustificare l’indifferenza come unica risposta possibile. Ci abilita, al contrario, a creare una cultura diversa, che ci orienti a superare le inimicizie e a prenderci cura gli uni degli altri.

  Il libro di Giobbe ricorre al fatto di avere un medesimo Creatore come base per sostenere alcuni diritti comuni: «Chi ha fatto me nel ventre materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a formarci nel grembo?» (31,15). Molti secoli dopo, Sant’Ireneo si esprimerà in modo diverso con l’immagine della melodia: «Dunque chi ama la verità non deve lasciarsi trasportare dalla differenza di ciascun suono né immaginare che uno sia l’artefice e il creatore di questo suono e un altro l’artefice e il creatore dell’altro […], ma deve pensare che lo ha fatto uno solo».

  L’antico precetto [dell’ebraismo antico] «amerai il tuo prossimo come te stesso» (dal libro del Levitico 19,18) si intendeva ordinariamente riferito ai connazionali. Tuttavia, specialmente nel giudaismo sviluppatosi fuori dalla terra d’Israele, i confini si andarono ampliando. Comparve l’invito a non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te (come nel libro di Tobia 4,15. Il desiderio di imitare gli atteggiamenti divini condusse a superare quella tendenza a limitarsi ai più vicini: «La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente» (dal libro del Siracide  18,13).

 Nel Nuovo Testamento [troviamo questo precetto: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (dal Vangelo secondo Matto 7,12). Tale appello è universale, tende ad abbracciare tutti, solo per la loro condizione umana, perché l’Altissimo, il Padre celeste «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (dal Vangelo secondo Matteo 5,45). E di conseguenza si esige: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (dal Vangelo secondo Luca 6,36).

  C’è una motivazione per allargare il cuore in modo che non escluda lo straniero, e la si può trovare già nei testi più antichi della Bibbia. È dovuta al costante ricordo del popolo ebraico di aver vissuto come straniero in Egitto.

Nel Nuovo Testamento risuona con forza l’appello all’amore fraterno:

«Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati 5,14).

«Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione d’inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre» (dalla prima lettera di Giovanni 2,10-11).

«Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte» (dalla prima lettera di Giovanni 3,14).

«Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (dalla prima lettera di Giovanni 4,20).

 Davanti alla tentazione delle prime comunità cristiane di formare gruppi chiusi e isolati, San Paolo esortava i suoi discepoli ad avere carità tra di loro «e verso tutti» (dalla prima lettera ai Tessalonicesi 3,12); e nella comunità di Giovanni si chiedeva che fossero accolti bene i «fratelli, benché stranieri» (dalla terza lettera di Giovanni 1,5). Tale contesto aiuta a comprendere il valore della parabola del buon samaritano: all’amore non importa se il fratello ferito viene da qui o da là.

 

 

 

 

 

Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente. Meglio non cadere in questa miseria. Guardiamo il modello del buon samaritano. È un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano.  Siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita”.

 

La storia del Buon Samaritano si ripete.

 

6. Oggi, e sempre di più, ci sono persone ferite. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza. E se estendiamo lo sguardo alla totalità della nostra storia e al mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e qualcosa del buon samaritano.

  Ci sono due tipi di persone: quelle che si fanno carico del dolore e quelle che passano a distanza; quelle che si chinano riconoscendo l’uomo caduto e quelle che distolgono lo sguardo e affrettano il passo.

  La storia del buon samaritano si ripete: risulta sempre più evidente che l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada.

  Abbiamo visto avanzare nel mondo le dense ombre dell’abbandono, della violenza utilizzata per meschini interessi di potere, accumulazione e divisione.

  Ci sono tanti modi di passare a distanza, complementari tra loro. Uno è ripiegarsi su di sé, disinteressarsi degli altri, essere indifferenti. Un altro sarebbe guardare solamente al di fuori [al] progetto di [un] Paese importato.

 Il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace. Una persona di fede può non essere fedele a tutto ciò la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un’autentica apertura a Dio. San Giovanni Crisostomo [vissuto tra il 4° e il 5° secolo della nostra era] giunse ad esprimere con grande chiarezza tale sfida che si presenta ai cristiani: «Volete onorare veramente il corpo di Cristo? Non disprezzatelo quando è nudo. Non onoratelo nel tempio con paramenti di seta, mentre fuori lo lasciate a patire il freddo e la nudità». Il paradosso è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti.

  Si chiude il cerchio tra quelli che usano e ingannano la società per prosciugarla e quelli che pensano di mantenere la purezza nella loro funzione critica, ma nello stesso tempo vivono di quel sistema e delle sue risorse. C’è una triste ipocrisia.

[Al sostenere che “tutto va male” corrisponde un “nessuno può aggiustare le cose”, “che posso fare io?”. In tal modo, si alimenta il disincanto e la mancanza di speranza, e ciò non incoraggia uno spirito di solidarietà e di generosità. Far sprofondare un popolo nello scoraggiamento è la chiusura di un perfetto circolo vizioso: così opera la dittatura invisibile dei veri interessi occulti, che si sono impadroniti delle risorse e della capacità di avere opinioni e di pensare.

  A volte ci sentiamo [anche noi] gravemente feriti e a terra sul bordo della strada. Ci sentiamo anche abbandonati dalle nostre istituzioni sguarnite e carenti, o rivolte al servizio degli interessi di pochi, all’esterno e all’interno.  Sotto il rivestimento del politicamente corretto o delle mode ideologiche, si guarda alla persona che soffre senza toccarla.

 

Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità. Alimentiamo ciò che è buono e mettiamoci al servizio del bene. Però non facciamolo da soli, individualmente. Farsi prossimi degli altri.

 

7.  Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite. Oggi siamo di fronte alla grande occasione  di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti.

 Che altri continuino a pensare alla politica o all’economia per i loro giochi di potere. Alimentiamo ciò che è buono e mettiamoci al servizio del bene.

  È possibile cominciare dal basso e caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito. Cerchiamo gli altri e facciamoci carico della realtà che ci spetta, senza temere il dolore o l’impotenza, perché lì c’è tutto il bene che Dio ha seminato nel cuore dell’essere umano. Però non facciamolo da soli, individualmente.

 Rinunciamo alla meschinità e al risentimento dei particolarismi sterili, delle contrapposizioni senza fine.    

  Smettiamo di nascondere il dolore delle perdite e facciamoci carico dei nostri delitti, della nostra ignavia e delle nostre menzogne. La riconciliazione riparatrice ci farà risorgere e farà perdere la paura  a noi stessi e agli altri.

  Tutti abbiamo una responsabilità riguardo a quel ferito che è il popolo stesso e tutti i popoli della terra.

Gesù propose questa parabola per rispondere a una domanda: chi è il mio prossimo? La parola “prossimo” nella società dell’epoca di Gesù indicava di solito chi è più vicino, prossimo. Si intendeva che l’aiuto doveva rivolgersi anzitutto a chi appartiene al proprio gruppo, alla propria razza.

 Il giudeo Gesù rovescia completamente questa impostazione: non ci chiama a domandarci chi sono quelli vicini a noi, bensì a farci noi vicini, prossimi.

 La conclusione di Gesù è una richiesta: «Va’ e anche tu fa’ così» (dal Vangelo secondo Luca 10,37). Vale a dire, ci interpella perché mettiamo da parte ogni differenza e, davanti alla sofferenza, ci facciamo vicini a chiunque. Dunque, non dico più che ho dei “prossimi” da aiutare, ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri.

L’incontro misericordioso della parabola tra un samaritano e un giudeo è una potente provocazione, che smentisce ogni manipolazione ideologica, affinché allarghiamo la nostra cerchia, dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale, in grado di superare tutti i pregiudizi, tutte le barriere storiche o culturali, tutti gli interessi meschini.

 Ricordo che in un altro passo del Vangelo Gesù dice: «Ero straniero e mi avete accolto» (dal Vangelo secondo Matteo 25,35).  

Per i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione, trascendente. Implicano il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso (come nel Vangelo secondo Matteo 25,40.45). In realtà, la fede colma di motivazioni inaudite il riconoscimento dell’altro, perché chi crede può arrivare a riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e che «gli conferisce con ciò una dignità infinita».

 

Il senso sociale dell’esistenza. Nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. L’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo. Il pericolo più grande è non amare. L’amicizia sociale: nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi.

 

8. A volte mi rattrista il fatto che, pur dotata di tali motivazioni, la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza. Oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi. La fede, con l’umanesimo che ispira, deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi. Perciò è importante che la catechesi e la predicazione includano in modo più diretto e chiaro il senso sociale dell’esistenza, la dimensione fraterna della spiritualità, la convinzione sull’inalienabile dignità di ogni persona e le motivazioni per amare e accogliere tutti.

   Nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. Qui sta un segreto dell’autentica esistenza umana.

 L’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro. Siamo fatti per l’amore.

  D’altra parte, non posso ridurre la mia vita alla relazione con un piccolo gruppo e nemmeno alla mia famiglia, perché è impossibile capire me stesso senza un tessuto più ampio di relazioni: non solo quello attuale ma anche quello che mi precede e che è andato configurandomi nel corso della mia vita. La nostra relazione, se è sana e autentica, ci apre agli altri che ci fanno crescere e ci arricchiscono.

  I gruppi chiusi e le coppie autoreferenziali, che si costituiscono come un “noi” contrapposto al mondo intero, di solito sono forme idealizzate di egoismo e di mera autoprotezione.

 Benché potesse disturbare l’ordine e il silenzio dei monasteri, Benedetto esigeva che i poveri e i pellegrini fossero trattati con tutto il riguardo e la premura possibili». L’ospitalità è un modo concreto di non privarsi di questa sfida e di questo dono che è l’incontro con l’umanità al di là del proprio gruppo.

  Per orientare adeguatamente gli atti delle varie virtù morali, bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione verso altre persone. Tale dinamismo è la carità che Dio infonde. Altrimenti, avremo forse solo un’apparenza di virtù, e queste saranno incapaci di costruire la vita in comune.

  La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore, che in ultima analisi è il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana». Tuttavia, ci sono credenti che pensano che la loro grandezza consista nell’imporre le proprie ideologie agli altri, o nella difesa violenta della verità, o in grandi dimostrazioni di forza. Tutti noi credenti dobbiamo riconoscere questo: al primo posto c’è l’amore, ciò che mai dev’essere messo a rischio è l’amore, il pericolo più grande è non amare (si legga nella prima lettera di San paolo apostolo ai Corinzi 13,1-13).

 L’amore implica qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti.

 L’amore, infine, ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: «Voi siete tutti fratelli» (dal Vangelo secondo Matteo 23,8).

 

Andare oltre i propri limiti: vale anche per le varie regioni e i vari Paesi. Bisogna avere il coraggio di dare voce a quanti sono discriminati per la condizione di disabilità. L’amore che si estende al di là delle frontiere ha come base ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese. Il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza.  La libertà, che è orientata soprattutto all’amore. L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità.

 

 

9. Questo bisogno di andare oltre i propri limiti vale anche per le varie regioni e i vari Paesi. Di fatto, il numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri».

  Ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città, o nella propria famiglia. C’è anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografico ma esistenziale. È la capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non sento parte del mio mondo di interessi, benché siano vicino a me.

  Voglio ricordare quegli “esiliati occulti” che vengono trattati come corpi estranei della società. Tante persone con disabilità sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare. Ci sono ancora molte cose che impediscono loro una cittadinanza piena. L’obiettivo è non solo assisterli, ma la loro partecipazione attiva alla comunità civile ed ecclesiale.

  Ugualmente penso alle persone anziane che, anche a motivo della disabilità, sono sentite a volte come un peso. Mi permetto di insistere: bisogna avere il coraggio di dare voce a quanti sono discriminati per la condizione di disabilità, perché purtroppo in alcune Nazioni, ancora oggi, si stenta a riconoscerli come persone di pari dignità.

 L’amore che si estende al di là delle frontiere ha come base ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese. Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è condizione di possibilità di una vera apertura universale. Chi guarda il suo popolo con disprezzo, stabilisce nella propria società categorie di prima e di seconda classe, di persone con più o meno dignità e diritti. In tal modo nega che ci sia spazio per tutti.

 Neppure sto proponendo un universalismo autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare. C’è un modello di globalizzazione che mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. […] Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo». Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!».

  La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa ne derivi come risultato necessario. La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità. Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore.

  L’uguaglianza è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Coloro che sono capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi. L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali.

  C’è un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza. Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità». Questo è un principio elementare della vita sociale, che viene abitualmente e in vari modi ignorato da quanti vedono che non conviene alla loro visione del mondo o non serve ai loro fini.

 

Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente. Uno Stato presente e attivo, e istituzioni della società civile che vadano oltre la libertà dei meccanismi efficientisti di certi sistemi economici, politici o ideologici. Se la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza, la fraternità sarà tutt’al più un’espressione romantica.

 

 

10.  Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale. Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità.

  Vi sono società che accolgono questo principio parzialmente. Accettano che ci siano opportunità per tutti, però sostengono che, posto questo, tutto dipende da ciascuno. Investire a favore delle persone fragili può non essere redditizio, può comportare minore efficienza. Esige uno Stato presente e attivo, e istituzioni della società civile che vadano oltre la libertà dei meccanismi efficientisti di certi sistemi economici, politici o ideologici, perché veramente si orientano prima di tutto alle persone e al bene comune.

  Alcuni nascono in famiglie di buone condizioni economiche, ricevono una buona educazione, crescono ben nutriti, o possiedono naturalmente capacità notevoli. Essi sicuramente non avranno bisogno di uno Stato attivo e chiederanno solo libertà. Ma evidentemente non vale la stessa regola per una persona disabile, per chi è nato in una casa misera, per chi è cresciuto con un’educazione di bassa qualità e con scarse possibilità di curare come si deve le proprie malattie. Se la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza, non c’è posto per costoro, e la fraternità sarà tutt’al più un’espressione romantica.

  La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio».Una società umana e fraterna è in grado di adoperarsi per assicurare in modo efficiente e stabile che tutti siano accompagnati nel percorso della loro vita, non solo per provvedere ai bisogni primari, ma perché possano dare il meglio di sé, anche se il loro rendimento non sarà il migliore, anche se andranno lentamente, anche se lo loro efficienza sarà poco rilevante.

 

 

 

I diritti umani: se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.

 

11.  La persona umana, coi suoi diritti inalienabili, è naturalmente aperta ai legami. Nella sua stessa radice abita la chiamata a trascendere sé stessa nell’incontro con gli altri. Per questo occorre prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici –, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (monás), sempre più insensibile […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.

  Il desiderio e la ricerca del bene degli altri e di tutta l’umanità implicano anche di adoperarsi per una maturazione delle persone e delle società nei diversi valori morali che conducono ad uno sviluppo umano integrale. Nel Nuovo Testamento si menziona un frutto dello Spirito Santo (si legga nella lettera di san Paolo apostolo ai Galati 5,22) definito con il termine greco agathosyne. Indica l’attaccamento al bene, la ricerca del bene. Più ancora, è procurare ciò che vale di più, il meglio per gli altri: la loro maturazione, la loro crescita in una vita sana, l’esercizio dei valori e non solo il benessere materiale. C’è un’espressione latina simile: bene-volentia, cioè l’atteggiamento di volere il bene dell’altro. È un forte desiderio del bene, un’inclinazione verso tutto ciò che è buono ed eccellente, che ci spinge a colmare la vita degli altri di cose belle, sublimi, edificanti.

  In questa linea, torno a rilevare con dolore che già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi». Volgiamoci a promuovere il bene, per noi stessi e per tutta l’umanità, e così cammineremo insieme verso una crescita genuina e integrale. Ogni società ha bisogno di assicurare la trasmissione dei valori, perché se questo non succede si trasmettono l’egoismo, la violenza, la corruzione nelle sue varie forme, l’indifferenza e, in definitiva, una vita chiusa ad ogni trascendenza e trincerata negli interessi individuali.

 

Il valore della solidarietà, una parola che non sempre piace. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari. Avere cura della casa comune che è il pianeta. Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati. Nessuno dunque può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato.  Lo sviluppo non dev’essere orientato all’accumulazione crescente di pochi. Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente.

 

 

 

 12. Desidero mettere in risalto la solidarietà, che come virtù morale e atteggiamento sociale, frutto della conversione personale, esige un impegno da parte di una molteplicità di soggetti, che hanno responsabilità di carattere educativo e formativo.

  In questi momenti, nei quali tutto sembra dissolversi e perdere consistenza, ci fa bene appellarci alla solidità che deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune. La solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto diverse nel modo di farsi carico degli altri. I

  Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone».

  Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro.

   La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari.

 Quando parliamo di avere cura della casa comune che è il pianeta, ci appelliamo a quel minimo di coscienza universale e di preoccupazione per la cura reciproca che ancora può rimanere nelle persone. [Significa raggiungere]  un livello morale che permette di andare oltre sé stesso e il proprio gruppo di appartenenza. Questo stesso atteggiamento è quello che si richiede per riconoscere i diritti di ogni essere umano, benché sia nato al di là delle proprie frontiere.

  Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Di conseguenza, come comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale.

  Nei primi secoli della fede cristiana, diversi sapienti hanno sviluppato un senso universale nella loro riflessione sulla destinazione comune dei beni creati. Ciò conduceva a pensare che, se qualcuno non ha il necessario per vivere con dignità, è perché un altro se ne sta appropriando.

 Lo riassume San Giovanni Crisostomo dicendo che «non dare ai poveri parte dei propri beni è rubare ai poveri, è privarli della loro stessa vita; e quanto possediamo non è nostro, ma loro».Come pure queste parole di San Gregorio Magno: «Quando distribuiamo agli indigenti qualunque cosa, non elargiamo roba nostra ma restituiamo loro ciò che ad essi appartiene». In questa linea ricordo che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione. Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società.

  Nessuno dunque può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, e tanto meno a causa dei privilegi che altri possiedono per esser nati in luoghi con maggiori opportunità. I confini e le frontiere degli Stati non possono impedire che questo si realizzi. Così come è inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna, è altrettanto inaccettabile che il luogo di nascita o di residenza già di per sé determini minori opportunità di vita degna e di sviluppo.

  Lo sviluppo non dev’essere orientato all’accumulazione crescente di pochi.

  Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente.

  L’attività degli imprenditori [e le loro capacità che sono un dono di Dio] dovrebbero essere orientate chiaramente al progresso delle altre persone e al superamento della miseria, specialmente attraverso la creazione di opportunità di lavoro diversificate. Sempre, insieme al diritto di proprietà privata, c’è il prioritario e precedente diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra e, pertanto, il diritto di tutti al loro uso.

 Ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo. Infatti vi sono diritti fondamentali che precedono qualunque società perché derivano dalla dignità conferita ad ogni persona in quanto creata da Dio».

  Ciò inoltre presuppone un altro modo di intendere le relazioni e l’interscambio tra i Paesi. Se ogni persona ha una dignità inalienabile, se ogni essere umano è mio fratello o mia sorella, e se veramente il mondo è di tutti, non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese. Anche la mia Nazione è corresponsabile del suo sviluppo.

  Questo, che vale per le nazioni, si applica alle diverse regioni di ogni Paese, tra le quali si verificano spesso gravi sperequazioni. Ma l’incapacità di riconoscere l’uguale dignità umana a volte fa sì che le regioni più sviluppate di certi Paesi aspirino a liberarsi della “zavorra” delle regioni più povere per aumentare ancora di più il loro livello di consumo.

 

Una nuova rete di relazioni internazionali. Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o nessuno si salva.

 

13. Parliamo di una nuova rete nelle relazioni internazionali, perché non c’è modo di risolvere i gravi problemi del mondo ragionando solo in termini di aiuto reciproco tra individui o piccoli gruppi.

  Benché si mantenga il principio che ogni debito legittimamente contratto dev’essere saldato, il modo di adempiere questo dovere, che molti Paesi poveri hanno nei confronti dei Paesi ricchi, non deve portare a compromettere la loro sussistenza e la loro crescita.

 Senza dubbio, si tratta di un’altra logica. Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie parole suoneranno come fantasie.

  È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne. Perché la pace reale e duratura è possibile solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana.

  Al di là delle diverse azioni indispensabili, gli Stati non possono sviluppare per conto proprio soluzioni adeguate poiché le conseguenze delle scelte di ciascuno ricadono inevitabilmente sull’intera Comunità internazionale. Pertanto le risposte potranno essere frutto solo di un lavoro comune.

  L’aiuto reciproco tra Paesi in definitiva va a beneficio di tutti. Un Paese che progredisce sulla base del proprio originale substrato culturale è un tesoro per tutta l’umanità. Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o nessuno si salva.

 

 

  Abbiamo bisogno che un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico incrementi e orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti i popoli. Questo alla fine andrà a vantaggio di tutto il pianeta,.

 

La gratuità fraterna. Vivere l’universale e il particolare. Il bene del mondo richiede che ognuno protegga e ami la propria terra. Viceversa, le conseguenze del disastro di un Paese si ripercuoteranno su tutto il pianeta. Ogni cultura sana è per natura aperta e accogliente, così che «una cultura senza valori universali non è una vera cultura». La società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma piuttosto è la comunione stessa che esiste tra essi. Oggi nessuno Stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione.

 

 

14. Chi non vive la gratuità fraterna fa della propria esistenza un commercio affannoso, sempre misurando quello che dà e quello che riceve in cambio. Dio, invece, dà gratis, fino al punto che aiuta persino quelli che non sono fedeli, e fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni (dal Vangelo secondo Matteo 5,45).

  Abbiamo ricevuto la vita gratis, non abbiamo pagato per essa. Dunque tutti possiamo dare senza aspettare qualcosa, fare il bene senza pretendere altrettanto dalla persona che aiutiamo. È quello che Gesù diceva ai suoi discepoli: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (dal Vangelo secondo Matteo 10,8).

 . La vera qualità dei diversi Paesi del mondo si misura da questa capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, e questo si dimostra specialmente nei periodi critici. I nazionalismi chiusi manifestano in definitiva questa incapacità di gratuità, l’errata persuasione di potersi sviluppare a margine della rovina altrui e che chiudendosi agli altri saranno più protetti Solo una cultura sociale e politica che comprenda l’accoglienza gratuita potrà avere futuro.

Locale e universale

 Tra  la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra. Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi: l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, […]; l’altro, che diventino un museo folkloristico di "eremiti" localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini». Bisogna guardare al globale, che ci riscatta dalla meschinità casalinga. Quando la casa non è più famiglia, ma è recinto, cella, il globale ci riscatta perché è come la causa finale che ci attira verso la pienezza. Al tempo stesso, bisogna assumere cordialmente la dimensione locale, perché possiede qualcosa che il globale non ha: essere lievito, arricchire, avviare dispositivi di sussidiarietà. Pertanto, la fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali. Separarli conduce a una deformazione e a una polarizzazione dannosa.

  La soluzione non è un’apertura che rinuncia al proprio tesoro. Come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali. Non mi incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico.

  Anche il bene del mondo richiede che ognuno protegga e ami la propria terra. Viceversa, le conseguenze del disastro di un Paese si ripercuoteranno su tutto il pianeta. Ciò si fonda sul significato positivo del diritto di proprietà: custodisco e coltivo qualcosa che possiedo, in modo che possa essere un contributo al bene di tutti.

  L’universale non dev’essere il dominio omogeneo, uniforme e standardizzato di un’unica forma culturale imperante, che alla fine perderà i colori del poliedro e risulterà disgustosa.

  È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia.

  Ci sono narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura. Nascondono uno spirito chiuso che, per una certa insicurezza e un certo timore verso l’altro, preferisce creare mura difensive per preservare sé stesso. Ma non è possibile essere locali in maniera sana senza una sincera e cordiale apertura all’universale, senza lasciarsi interpellare da ciò che succede altrove, senza lasciarsi arricchire da altre culture e senza solidarizzare con i drammi degli altri popoli. Tale localismo si rinchiude ossessivamente tra poche idee, usanze e sicurezze, incapace di ammirazione davanti alle molteplici possibilità e bellezze che il mondo intero offre e privo di una solidarietà autentica e generosa. Così, la vita locale non è più veramente recettiva, non si lascia più completare dall’altro; pertanto, si limita nelle proprie possibilità di sviluppo, diventa statica e si ammala. Perché, in realtà, ogni cultura sana è per natura aperta e accogliente, così che «una cultura senza valori universali non è una vera cultura».

 

  Per stimolare un rapporto sano tra l’amore alla patria e la partecipazione cordiale all’umanità intera, conviene ricordare che la società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma piuttosto è la comunione stessa che esiste tra essi, è la reciproca inclusione, precedente rispetto al sorgere di ogni gruppo particolare. In tale intreccio della comunione universale si integra ciascun gruppo umano e lì trova la propria bellezza. Dunque, ogni persona che nasce in un determinato contesto sa di appartenere a una famiglia più grande, senza la quale non è possibile avere una piena comprensione di sé.

  Questo approccio, in definitiva, richiede di accettare con gioia che nessun popolo, nessuna cultura o persona può ottenere tutto da sé. Gli altri sono costitutivamente necessari per la costruzione di una vita piena.

  Grazie all’interscambio regionale, a partire dal quale i Paesi più deboli si aprono al mondo intero, è possibile che l’universalità non dissolva le particolarità. Un’adeguata e autentica apertura al mondo presuppone la capacità di aprirsi al vicino, in una famiglia di nazioni. L’integrazione culturale, economica e politica con i popoli circostanti dovrebbe essere accompagnata da un processo educativo che promuova il valore dell’amore per il vicino, primo esercizio indispensabile per ottenere una sana integrazione universale.

  Sarebbe auspicabile che ciò si potesse vivere anche tra Paesi vicini, con la capacità di costruire una vicinanza cordiale tra i loro popoli. Ma le visioni individualistiche si traducono nelle relazioni tra Paesi. Il rischio di vivere proteggendoci gli uni dagli altri, vedendo gli altri come concorrenti o nemici pericolosi, si trasferisce al rapporto con i popoli della regione. Forse siamo stati educati in questa paura e in questa diffidenza.

  Ci sono Paesi potenti e grandi imprese che traggono profitto da questo isolamento e preferiscono trattare con ciascun Paese separatamente. Al contrario, per i Paesi piccoli o poveri si apre la possibilità di raggiungere accordi regionali con i vicini, che permettano loro di trattare in blocco ed evitare di diventare segmenti marginali e dipendenti dalle grandi potenze. Oggi nessuno Stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione