Consiglio di lettura:
Pietro Scoppola, “Un cattolico a modo suo”, Brescia, Morcelliana, 2008, p.126,
€ 10,00.
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Reading tip: Pietro
Scoppola, "A Catholic in his own way", Brescia, published by
Morcelliana, 2008, pages 126, € 10.00.
Note: after the text in Italian, I insert the translation in English,
made with the help of Google Translate
Vi consiglio di leggere di Pietro
Scoppola, “Un cattolico a modo suo”, Brescia, Morcelliana, 2008, p.126, euro
10,00.
L’autore, morto il 25
ottobre 2007, è ben noto e caro a molte persone tra i cattolici italiani,
credo. Fu professore di Storia
contemporanea alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di
Roma. Uno dei maggiori maestri e ispiratori del cattolicesimo democratico
italiano. Ebbi modo di conoscerlo personalmente nel 1981 durante alcuni
incontri a casa di Paolo Giuntella, qui a Roma. Ho letto molte cose sue,
recependone gli insegnamenti. Ne condivisi gli orientamenti politici e le
aspirazioni, al tempo in cui operò la Lega Democratica, il movimento da lui
fondato, riprendendo il nome di quello di Romolo Murri, con Achille Ardigò,
Nino Andreatta, Ermanno Gorrieri, Paola Gaiotti, Paolo e Romano Prodi, Luigi
Pedrazzi, Paolo Giuntella, Leonardo Benevolo, Roberto Ruffilli, Luigi Bazoli, e
altri esponenti del mondo italiano dei cattolici democratici, dopo l’esperienza
del Convegno ecclesiale “Evangelizzazione e promozione umana” del 1976.
Il libro è stato
scritto nella particolare condizione della malattia grave, che mi accomuna all’autore,
e in quel tempo particolare, che mi è stato per ora risparmiato grazie al dono
di mio fratello Lucio, della resa, dell’avvicinarsi della fine.
Pubblico una sintesi del libro, con alcune citazioni letterali.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma,
Monte Sacro, Valli
Summary
by Mario Ardigò - Catholic Action group
in the Catholic parish named "Saint
Clemente pope" - Rome, Monte Sacro - Valli
district
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Riassunto da SCOPPOLA
Pietro, “Un cattolico a modo suo”, Brescia, Morcelliana, 2008, p.126, euro
10,00.
Alle pagine 46 e 47
l’autore ricorda come è nato il titolo del libro. Nel 1974 era stato chiamato a
far parte del Comitato promotore del convegno ecclesiale “Evangelizzazione e
Promozione Umana”, pensato dalla Conferenza Ecclesiale Italiana per porre
rimedio alla lacerazione prodottasi nel mondo cattolico al tempo del referendum
sul divorzio. “Coscienza”, la rivista dei Laureati Cattolici, pubblicò il testo
di una conferenza tenuta da Scoppola in Germania, a Warzburg, in cui aveva
criticato la posizione tenuta dalla Chiesa italiana in occasione del
referendum. L’Osservatore Romano lo attaccò duramente in un articolo dal titolo “Pluralismo senza
criterio”. Scoppola allora offrì le
proprie dimissioni a mons. Enrico Bartoletti, Segretario generale della
Conferenza Episcopale Italiana. Bartoletti sentì papa Montini, il quale rispose
che Scoppola era un cattolico “un po’ a modo suo”, ma che era bene che
rimanesse.
Lo scopo dichiarato
del libro è di descrivere l’itinerario che condusse l’autore, non ad
abbandonare la fede della giovinezza, ma a ripensarla in maniera molto
incisiva. L’autore ammette di non essere un maestro sui temi che affronta. Le
sue riflessioni non vogliono essere affermazioni definitive; in molti casi sono
domande più che certezze. E tuttavia sente il bisogno di scrivere, spinto
soprattutto dalla sensazione condivisa di molti cattolici di un riflusso
rispetto al Concilio Vaticano II.
La convinzione
dell’autore è che i cristiani non siano un realtà stabile e fissa: cambiano
anch’essi e il loro modo di sentire, vivere ed esprimere l’esperienza di fede.
Ai tempi del liceo
dei gesuiti “Massimo”, a Roma, la fede gli venne presentata come un ponte a tre
archi, solidissimo, fondato sulla dimostrazione razionale dell’esistenza di
Dio, sulla dimostrazione storica dell’esistenza e della divinità di Cristo,
sulla Chiesa indefettibile e dotata di pieni poteri. Per lui quel ponte crollò,
ma non crollò a fede. C’erano evidentemente altre ragioni per credere.
In particolare
ricorda l’importanza dell’esempio materno, con la sua forza emotiva. La propria
esperienza personale gli fa concludere che “la libertà vera è quella di
costruire sul dato reale del proprio vissuto, da considerare non un vincolo o una prigione ma un base per andare
avanti, un’occasione da valorizzare. Ciò, per lui, vale anche per la scelta
religiosa: “si costruisce nella libertà ma anche nella fedeltà al proprio
passato”. E tuttavia costruire sul dato di partenza che la vita ci offre è pur
sempre una grande fatica: “quello che è difficile e pienamente umano è essere
liberi nella piena coscienza dei condizionamenti cui siamo soggetti”,
rifiutando il cambiamento per il cambiamento.
La maturità liceale coincise
con la liberazione di Roma. Il suo disorientamento fu grande, anche per le
questioni di fede. Il suo era infatti un cristianesimo privo di spessore
storico, non incarnato culturalmente. Cominciò ad andare alla ricerca di una
nuova dimensione culturale della sua fede. Scrive (pag.29): “Mi pare sia
accaduta una cosa: logicamente avrei dovuto prima arrivare a sciogliere i miei
dubbi di fede per poi cercare di dare espressione a questa fede sul piano storico concreto in
relazione ai nuovi grandi problemi del momento. E’ accaduto il contrario: i
dubbi sono rimasti e sono divenuti parte del mio stesso modo di credere … sono
diventati la premessa e la via per la costruzione della mia stessa identità
culturale”. Anche l’impegno professionale nel campo della storia nasce come
ricerca di un’identità culturale, politica, religiosa di fronte ai problemi
creati dal confronto con la democrazia. Ricorda l’esperienza, dopo la laurea,
come funzionario del Senato, che gli permise la frequentazione di una vasta
biblioteca, dalla quale ricavò elementi utili per le ricerche su modernismo, e gli
detto l’occasione di di incontrare grandi figure di politici. Dall’opera “La
conoscenza storica” di Henri-Irénée Marrou trasse la prospettiva di uno
storicismo umanistico aperto alla trascendenza, “l’intuizione che nella storia
fossero da cercare elementi nuovi di identità e di orientamento, anche sui
problemi del presente”, alla quale rimase sempre legato. Ricorda la
collaborazione, negli anni ’50, alla rivista “Quaderni di storia e cultura
sociale” promossa da Ettore Passerin D’Etreves, Sergio Cotta, Gianfranco Merli,
la prima rivista storica di ispirazione cattolica “decisamente orientata sui
temi di storia contemporanea”. Ripropone brani di una dichiarazione d’intenti,
da lui scritta, che avrebbe dovuto aprire una nuova serie della rivista (di
fatto poi on ripresa) e in particolare questo: “Occorre da un lato salvare
l’integrità dei valori religiosi dalla contaminazione e dall’oscuramento che
subiscono ogni qualvolta vengono abbassati al ruolo, che ad essi non competono,
di ideologia politica; e, dall’altro, affermare e difendere la stessa integrità
e autonomia delle realtà umane e storiche da confusioni troppo facili anche se
generose. E questa è opera, a nostro avviso, che non può compiersi solo sul
terreno delle scelte politiche: nessun cambiamento di indirizzo basterà da solo
a garantire questi valori se prima un approfondito lavoro di cultura non abbia
reso i cattolici più consapevoli delle loro responsabilità religiose, ma perciò
anche capaci di un atteggiamento politico libero da ogni tutela”.
Scoppola ritenne necessario superare la
frattura storica tra Chiesa e libertà. Scrive l’autore: “Dunque la libertà era
il passaggio obbligato per quella ricerca di identità di cui dicevo all’inizio.
Di qui i temi affrontati: i rapporti tra Chiesa e Stato, la tradizione
cattolico liberale e i modernismo.” I
problemi che all’epoca erano molto vivi e controversi riguardavano la
possibilità per la Chiesa, che si riteneva depositaria della sola verità, di
accettare un regime politico in cui a tutti fosse garantita la professione
delle proprie idee e convinzioni religiose e in cui ciò che è giusto o ingiusto
sul piano dei comportamenti fosse definito sulla base di un consenso
liberamente espresso.
Con l’inizio
dell’attività di professore a Magistero, nell’Università La Sapienza di Roma, e
con l’assunzione della direzione della rivista “Il Mulino” di Bologna, iniziò
un più aperto ed esplicito impegno politico, intrapreso non come carriera, ma
come ricerca di un cattolicesimo pienamente incarnato nella storia e come
maturazione di una identità personale di cristiano e di cattolico. Ricorda di
aver vissuto senza traumi spirituali, come scelta doverosa, normale, il
sostegno al “no” al referendum sul divorzio. Inaccettabile per lui imporre a
tutti con la forza della maggioranza il modello del matrimonio cristiano, così
altro. Scrive: “Sì, la politica mi ha appassionato, non strumentalmente come
mezzo per un fine diverso dalla politica stessa, ma come politica in sé, come
disegno per il futuro, come valutazione razionale del possibile e come
sofferenza per l’impossibile come chiamata ideale dei cittadini a nuovi
traguardi, come aspirazione a un’uguaglianza irrealizzabile che è tuttavia
tormento della storia umana. Mi ha interessato la politica per quello che non
riesce ad essere molto più che per quello che è”.
Dal punto di vista
religioso questa feconda esperienza nella politica ha comportato per Scoppola prendere
atto degli spazi di responsabilità personale e svincolarsi “da un pesante
carico di scrupoli e di fissazioni religiose”. Ricorda, da una relazione di
Tommaso Gallarati Scotti ad un convegno della Lega Democratica Cristiana di
Romolo Murri l’affermazione tratta dal Concilio Lateranense IV del 1215: “Quidquid
fit contra conscentiam aedificat ad gehennam" (ciò che va contro coscienza
porta all’inferno). Scrive Scoppola: “La dottrina del primato della coscienza
vi era chiaramente formulata: a coscienza individuale non è fonte dei valori
morali, ma è lo strumento attraverso il quale i valori vengono percepiti e
diventano vincolanti.” L’affermazione sopra ricordata potrebbe risalire a Papa
Gelasio (492-496), nella “Epistula ad Anastasium Imperatorem”. La si ritrova
nel “Liber Extra” di Gregorio IX (1234), recepita da un precedente decretale di
Innocenzo III. Viene citata da San Tommaso D’Aquino e da San Bonaventura. La si
ritrova nella “Lettera al Duca di Norfolk” di John H. Newman, scritta per
replicare al liberale Gladstone, secondo il quale un cattolico non poteva
essere un fedele suddito della Regina a motivo della proclamazione del doma
dell’infallibilità pontificia.
Scrive Scoppola: “E’
paradossale che il primato della coscienza sia stato negato e calpestato dalla
Chiesa in innumerevoli circostanze storiche e comunque lasciato in ombra sul
piano dottrinale sicché il principio di libertà di coscienza finisce per
affermarsi in Europa non ad opera della Chiesa ma contro la Chiesa.
E costituisce un
problema “l’imponente costruzione concettuale accumulatasi nei secoli intorno
al messaggio cristiano”. Ricorda la lezione di Benedetto XVI tenuta a Ratisbona
nel settembre 2006 sul legame tra fede e filosofia. Vi è una distanza tra
l’aspetto teoretico e “il dato vitale della partecipazione ad una corrente di
fede che attraversa i millenni e che si è espressa informe variabili”. Scrive:
“Credo che questo sia il punto discriminante: la fede non è una dottrina, non è
riducibile ad una dottrina, non sta dentro una dottrina…”. Per la missione
della Chiesa è più importante la vita di fede che la custodia di una dottrina.
Dopo la lettura di
“L’action” di Maurice Blondel, Scoppola si pone in una prospettiva in cui non si
crede più in base a prove in senso scientifico, ma ad altri motivi “decisivi”,
“vitali”. Non pensa a Dio come ad un’astrazione filosofica, definita una volta
per tutto, ma come il Dio vivente di cui parla la Bibbia, “di cui un popolo
prende coscienza dentro una storia piena di conflitti e di contraddizioni”.
Scrive Scoppola: “Di fronte al Dio della Bibbia che senso ha più porsi l
problema delle ‘prove’ della sua esistenza? Il Dio della Bibbia è lì dentro una
storia plurimillenaria, è lui che sfida l’uomo a una scelta radicale. Non si
tratta di provare, ma di scegliere con tutta la responsabilità, il rischio che
ogni scelta vitale comporta perché in ogni scelta c’è un margine ineliminabile
di dubbio e quindi di scommessa…la scelta è libera perché non ci sono ‘prove’
definitive e incontrovertibili…gli spazi del credere e del non credere sono gli
spazi comuni a tutti gli uomini pensanti”.
Sulla Risurrezione
ricorda il discorso di Pietro in Atti,10, 39-41: “…Dio lo ha resuscitato al
terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni
prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua
risurrezione dai morti”. Il manifestarsi solo al gruppo particolare dei
credenti esclude la storicità dell’evento della risurrezione, nel senso inteso
oggi dagli storici. Eppure la fede degli apostoli che rinasce è un “evento
storico pienamente documentabile” e si fonda quell’evento “atipico”,
eccezionale, che è la risurrezione e che “rimane ignoto e indefinibile ai
nostri occhi”. La nostra fede dipende da una grande corrente che attraversa i
secoli, a partire dagli apostoli, ed è il frutto di una scelta motivata e
consapevole. Scrive Scoppola: “…la partecipazione all’esperienza umana di un
popolo credente diventava il punto di appoggio e la garanzia della mia
fede.Tutto restava valido ma perdeva rigidità..La mia fede oggi la sento legata
alla Bibbia…La scoperta del Libro è stato il grande dono che ci ha fatto il
Concilio Vaticano II. Questo dono non ci può essere tolto”.
La Chiesa rende
visibile lo stare insieme nella fede. Comporta un minimo di struttura,
un’autorità. Ma non è concepibile alcuna forma di sudditanza passiva. In ciò
bisogna essere fedeli al Concilio Vaticano II, anzi, di più, dobbiamo difendere
il Concilio Vaticano II. Esso è il punto di arrivo di una storia, di uno
sviluppo, che ha comportato il superamento di dichiarazioni precedenti, come il
“Sillabo”. E dobbiamo rimanere aperti ad ulteriori sviluppi, perché lo Spirito
continua a parlare.
Difesa, non
contestazione però. La contestazione si è rivelata dannosa. L’autore
ricorda “la bella immagine di Fonsegrive [George Pierre Lespinasse
Fonsegrive, 1852-1917 – filosofo moralista] ripresa tante volte da Mazzolari:
obbedire in piedi”. Scrive Scoppola: “Fonsegrive diceva ‘obbedire in piedi per
servire meglio’. Non obbedire passivamente, in ginocchio, con senso di
sudditanza. Non sudditi ma cittadini della Chiesa”…significa l’appartenenza
alla Chiesa come popolo di Dio, vuol dire partecipazione attiva”. Per Scoppola
c’è nella Chiesa qualcosa che deve morire, in particolare un certo modo di
intendere l’autorità. Eppure bisogna continuare a occuparsi anche della Chiesa
intesa come gerarchia, senza scoraggiarsi, perché essa rimane un elemento
portante della corrente di fede della quale siamo parte viva. E’ importante
anche per lo sviluppo della democrazia, che richiede un modo di intendere la
vita religiosa adeguato. Con il pontificato di Wojtyla è stata forte
l’identificazione della Chiesa cattolica col Papa. Ratzinger si sta staccando
da questo modello. E’ importante mantenere vivo il dialogo ecumenico, senza il
quale si arresterebbe il processo di rinnovamento. Bisogna ripensare la
collegialità e nella collegialità il primato petrino. Scrive Scoppola: “…non si
comprende perché nella Chiesa non possano valere alcuni diritti fondamentali
civili, primo fra tutti il diritto alla difesa quando si è soggetti a
provvedimenti inquisitori … come è possibile che il rispetto della dignità
dell’uomo sia…sacrificato a logiche istituzionali?”. L’autore lamenta
l’appiattimento culturale di oggi, la mancanza o povertà delle correnti di
opinione. Bisogna ricreare un clima di fiducia e di attenzione al laicato,
fornire “occasioni in cu il laicato possa autenticamente e liberamente
esprimersi”.
Per Ratzinger,
ispiratore dell’impianto dell’enciclica “Fides set Ratio” del 1998, la
filosofia deve tornare inevitabilmente serva della teologia e la Chiesa deve
tornare ad esercitare il suo diritto a intervenire nel campo della filosofia.
E’ la riproposizione di una concezione
passata, che “non riesce a coniugare quel passato di cui è alta espressione con
il presente e le sue sfide”. La fede ha assunto forme nuove e la ragione
diviene sempre più consapevole del limite delle proprie certezze. A che serve
allora ricercare “un’astratta coerenza di un’inesistente Ragione con una Fede
diventata dottrina e diritto naturale”? Occorrono libertà reciproca,
responsabilità e prudenza, “la valorizzazione di quella soggettività tanto
spessa sacrificata nel pensiero cattolico”. Di fatto, poi, nella prassi
pastorale la dottrina proclamata ufficialmente viene superata, lì prevalgono il
rispetto e la misericordia che sono alla base delle comunità cristiane.
Bisognerebbe superare il sistema della doppia verità, ma non nel senso
auspicato oggi dalla gerarchia.
Contro le previsioni,
la secolarizzazione non ha prodotto l’irrilevanza sociale della religione e, in
particolare, della Chiesa cattolica. Con il pontificato di Wojtyla, la Chiesa
cattolica ha avuto un ruolo determinante nella crisi del comunismo e ha
indicato “alle nuove generazioni la possibilità di guardare al futuro con
speranza, sulla base di una coraggiosa revisione critica degli errori del
passato e di una ‘purificazione della memoria’”. Ha svolto un ruolo
internazionale sempre più orientato sull’obiettivo primario della pace. Nella
crisi della Jugoslavia però le religioni sono state elementi di frattura e di
crisi della convivenza. Si diffondono contemporaneamente nuovi tipi di
religiosità, più intesi come fatti individuali, cresce l’interesse per
religioni estranee alle tradizioni dell’Occidente. Si manifestano nella Chiesa
cattolica forme di radicale rifiuto delle nuove realtà, come nel caso nel
movimento scismatico del vescovo Lefèbvre. La Chiesa cattolica non ha arrestato
tuttavia il suo processo di integrazione nella società secolarizzata, ha
risposto diversificando la sua offerta con forme quanto mai variegate e
inedite, affiancando movimenti alle tradizionali strutture territoriali
(ricorda il saggio “La religion à la carte” di Jean Louis Sclhlegel). Si è
prodotta una presenza rinnovata “-anche se segnata da notevoli tensioni
interne- nella società secolarizzata di fine millennio”. Anche nel confronto
con l’Islam, preda di concezioni fondamentaliste, la Chiesa cattolica non ha
seguito l’ottusa logica difensiva e identitaria suggerita da alcune forze
politiche. E ciò, contrariamente alle apparenze, anche in occasione del
dibattito sulle “radici cristiane dell’Europa” delle quali si discuteva se
convenisse fare menzione nella nuova Costituzione dell’Unione Europea. Scrive
Scoppola: “…si è trattato in realtà di una falsa contrapposizione,
nominalistica più che di sostanza: l’identità dell’Europa è legata a tutta la
sua storia e nella sua storia ci sono dominanti le radici cristiane ma
strettamente intrecciate con quelle ebraiche e con quelle islamiche, come vi
sono le radici illuministiche e laiche degli ultimi secoli; vi è nella sua storia
l’aspro conflitto fra questi fattori e vi è la faticosa conquista del principio
di tolleranza, di libertà religiosa e di laicità dello Stato. Riassumere tutto
questo in una formula giuridica è impresa tanto difficile quanto scarsamente
rilevante: in definitiva l’Europa sarà non quello che una definizione astratta
della sua identità esprimerà, ma quello che saranno le sue politiche e
soprattutto il suo ruolo nel mondo rispetto ai problemi della pace e del
rapporto con il mondo del sottosviluppo.”
Perché il ritorno del
fattore religioso non sia elemento di lacerazione occorrono la laicità degli
stati e un autentico dialogo tra le religioni.
Inizialmente lo
spirito laico si muoveva all’interno del mondo cristiano ed esprimeva la
volontà dello Stato di rivendicare i suoi diritti. Poi, più recentemente, il
termine “laico” è venuto a significare “esterno alla Chiesa”, a volte nel senso
di neutralità, a volte nel senso di ostilità. In Italia, con lo Statuto
Albertino, la progressiva laicizzazione delle istituzioni non originò da un’ideologia
anticattolica, non implicò ostilità alla religione cattolica che, anzi, venne
dichiarata religione di Stato. L’opposizione del movimento risorgimentale alla
Chiesa Cattolica era essenzialmente contro le sue pretese temporali. La
proclamazione del “Sillabo” e il diffondersi della cultura positivista
approfondirono la frattura. Tuttavia, anche con il diffondersi dei movimenti
socialisti, essa non raggiunse gli estremi che si ebbero in Francia, in cui ci
si richiamava all’ideologia rivoluzionaria dell’89. Essa tuttavia spinse i cattolici verso la
politica clerico moderata di Giovanni Giolitti. Successivamente verso la nuova
religione secolare del fascismo, del quale pochi fra i cattolici intesero la portata
anticristiana. Nel dopoguerra la Chiesa cattolica in Italia, almeno fino al
’56, guardò con favore al modello franchista. Poi viene recuperato il modello
cattolico liberale che implicava reciproca autonomia ma non ostilità tra Chiesa
e Stato, non indifferenza ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della
libertà di religione, in regime di pluralismo culturale e religioso, secondo le
espressioni usate nella sentenza n.203 del 1989 della Corte Costituzionale. E’
possibile per la religione cattolica svolgere un ruolo civile positivo, ma
accettando pienamente la dimensione della laicità e praticando l’ecumenismo e
il dialogo interreligioso. Scrive Scoppola: “Essere laici è un aspetto
essenziale di quel modo di credere di cui abbiamo parlato; essere laici
significa sentirsi partecipi di una comune umanità prima ancora di aderire [per
libera scelta] a un qualsiasi credo religioso”.
Difficoltà vengono
dalla rinnovata pretesa della Chiesa cattolica di essere depositaria e garante
del diritto naturale, immutabile, della quale essa vuole definire contenuti e
limiti. In realtà è impossibile tradurre in un codice definito e permanente le
esigenze e valori legati alla natura stessa dell’uomo: essi esistono ma sono
stati variamente interpretati ed espressi nelle diverse epoche storiche.
Condizione del dialogo è il rifiuto dell’integralismo, inteso come pretesa di
un possesso della verità come cosa propria, negando la trascendenza. La fede
rimane ricerca. L’autore cita Unamuno [Miguel de Unamuno, 1864-1936, filosofo
spagnolo]: “una fede che non dubita è una fede morta”.
L’autore si augura un’evoluzione
dottrinale sul ruolo della donna e sui
costumi sessuali e matrimoniali. I partecipanti all’Ultima Cena erano tutti
maschi, ma le donne non sono mai state escluse dall’Eucaristia. Il fatto che
gli apostoli fossero tutti maschi non è quindi un argomento convincente per
escluderle dall’ordinazione sacerdotale. Sulla sessualità bisognerebbe spostare
“l’accento dall’atto sessuale in sé al contesto umano in cui si colloca”. Per
quanto riguarda il matrimonio occorrerebbe ammettere la possibilità del suo fallimento,
così come accade per i sacerdoti e per i religiosi, che possono nondimeno
ricevere i sacramenti e sposarsi. Per i primi mille anni di storia cristiana è
mancata una disciplina canonica del matrimonio. Il cristiano che divorziava
commetteva peccato ma dopo un’adeguata penitenza veniva assolto, rientrava a
pieno titolo nella comunità e il nuovo matrimonio contratto era valido. Non
c’era peccato poi se il divorzio era stato motivato dall’adulterio del coniuge
e ciò sulla base dell’eccezione menzionata in Matteo 5,32 e 19,9. Successivamente gli esegeti traducono
il termine “porneia” con “concubinato” invece che con “adulterio”, per cui nel
brano evangelico si direbbe che il divorzio, cioè lo scioglimento del
matrimonio, sarebbe ammesso solo quando non c’è matrimonio. Per Scoppola è poco
fondato parlare di principi immutabili in questa materia e la disciplina
canonica, che prevede solo il caso della nullità originaria del vincolo, non
regge. La prassi pastorale infatti supera la norma intransigente sui
divorziati. Scrive Scoppola: “Ma è accettabile un regime di doppia verità nella
Chiesa di Cristo? Occorre certo il coraggio della coerenza, ma quale coerenza?
Anche quello che la pastorale chiede ha le sue esigenze di coerenza e deve
diventare in qualche modo norma riconosciuta”.
Nell’11° capitolo si
parla dei problemi che derivano dalla dottrina sull’Inferno, sulla possibilità
di una dannazione eterna, della possibilità che “un essere, l’uomo, creato
nella sua intima essenza per un rapporto con Dio” rimanga “sussistente fuori
del tempo a rappresentare il fallimento di questo rapporto”. Scrive Scoppola:
“L’inferno così concepito è la tragica
sconfitta dell’uomo ma è anche la tragica sconfitta del disegno di Dio”. E’
possibile pensare, con Maurice Nèdoncelle, della facoltà di teologia
dell’Università di Strasburgo, che il giudizio finale distrugga il male in ogni
uomo, mantenendo però, anche nel più malvagio, una scheggia minima che valga a
reggere la finalità intrinseca per cui l’uomo
è stato creato da Dio? Scoppola ritiene che la ricerca possa e debba
rimanere aperta, ma nelle sue attuali condizioni preferisce non tormentarsi con
problemi insolubili e si abbandona umilmente alla grande corrente della fede.
Nel 12° capitolo si
tratta della dottrina della “soddisfazione vicaria” spiegata così da Anselmo
d’Aosta:”Dio nella persona del Figlio aveva bisogno di farsi uomo per pagare nella
persona del Padre il peccato degli uomini”. Come si concilia questa idea con la
concezione di Dio come Padre infinitamente buono? Scoppola ritiene che ci si
debba liberare dalla “trappola giuridica del risarcimento”, “per approfondire
tutti i possibili significati e le implicazioni di questo eccezionale evento
nella storia umana che è stata la morte in croce di Cristo. Innanzi tutto
l’accettazione volontaria della morte come testimonianza di un “amore capace di
condividere fino alle estreme conseguenze la condizione umana” , per indicare
“una volta per tutte la via della non violenza come unico strumento efficace
per incidere stabilmente nella storia degli uomini”.
Negli ultimi capitoli
del libro si tratta di un tema molto presente ai malati gravi, quello della
teodicea e dell’apparente assurdità di quello che succede, che ad un certo
punto ci capita. Perché un Dio buono permette il male, quello volontario delle
collettività e dei singoli, ma anche quello della natura e, in particolare, la
malattia? Conclude Scoppola: “ Ci rendiamo conto che le categorie della nostra
razionalità sono del tutto inutilizzabili e che siamo di fronte alla
alternativa radicale: o accettare quel tanto (o poco) che la fede ci offre o
arrivare alla negazione radicale. In quello che la fede ci offre il dato
fondamentale è che il Dio incarnato partecipa al dolore e alla sofferenza del
mondo: partecipa al dolore umano fino al punto di accettare liberamente la
morte in croce. Dunque non siamo soli e
il fatto che Dio partecipa in maniera così intensa al dolore ha un
significato e un valore che non sappiamo definire ma che intuiamo grande e profondo…Quello
che è certo è che due cose dell’esperienza umana Dio ha mostrato di condividere
fino in fondo: il dolore e l’amore”.
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Reading tip: Pietro Scoppola, "A Catholic
in his own way", Brescia, published by Morcelliana, 2008, pages 126, €
10.00.
I recommend you read the book written by Pietro
Scoppola, "A Catholic in his own way", Brescia, published by
Morcelliana, 2008, pages 126, € 10.00.
The
author, who died on October 25, 2007, is well known and dear to many people
among Italian Catholics, I believe. He was professor of contemporary history at
the Faculty of Political Science of the La Sapienza University of Rome. One of
the greatest masters and inspirers of Italian democratic Catholicism. I got to
know him personally in 1981 during some meetings at the home of Paolo
Giuntella, here in Rome. I have read many of his things, including his teachings.
He shared the political orientations and aspirations, at the time when the
Democratic League operated, the movement he founded, taking up the name of that
of Romolo Murri, with Achille Ardigò, Nino Andreatta, Ermanno Gorrieri, Paola
Gaiotti, Paolo and Romano Prodi , Luigi Pedrazzi, Paolo Giuntella, Leonardo
Benevolo, Roberto Ruffilli, Luigi Bazoli, and other exponents of the Italian
world of democratic Catholics, after the experience of the Ecclesial Convention
"Evangelization and human promotion" of 1976.
The
book was written in the particular condition of serious illness, which unites
me to the author, and at that particular time, which for now has been spared
thanks to the gift of my brother Lucio, of surrender, of the approaching end.
I
publish a summary of the book, with some literal quotations.
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Book
summary the book written by Pietro Scoppola, "A Catholic in his own
way".
On pages 46 and 47 the author recalls how the title of
the book was born. In 1974 he was called to be a member of the organizing
committee of the ecclesial conference "Evangelization and Human
Promotion", conceived by the Italian Ecclesial Conference to remedy the
laceration in the Catholic world at the time of the referendum on divorce.
"Conscience", the magazine of Catholic graduates, published the text
of a lecture given by Scoppola in Germany, at Warzburg, in which he criticized
the position held by the Italian Church on the occasion of the referendum. The
Osservatore Romano attacked him harshly in an article entitled "Pluralism
without criterion". Scoppola then offered his resignation to Msgr. Enrico
Bartoletti, Secretary General of the Italian Episcopal Conference. Bartoletti
heard Pope Montini, who replied that Scoppola was a Catholic "in his own
way", but that it was good that he remained.
The declared purpose of the book is to describe
the itinerary that led the author, not to abandon the faith of youth, but to
rethink it in a very incisive way. The author admits that he is not a master on
the subjects he deals with. His reflections do not want to be definitive
statements; in many cases they are questions rather than certainties. And yet
he feels the need to write, driven above all by the shared feeling of many
Catholics of an ebb with respect to the Second Vatican Council.
The author's conviction is that Christians are
not a stable and fixed reality: they also change their way of feeling, living
and expressing the experience of faith.
At the time of the Jesuit high school "Massimo",
in Rome, faith was presented to him as a three-arch bridge, very solid, founded
on the rational demonstration of the existence of God, on the historical
demonstration of the existence and divinity of Christ, on the Church unfailing
and endowed with full powers. For him that bridge collapsed, but he did not
collapse in faith. There were obviously other reasons to believe.
In particular he remembers the importance of the
maternal example, with his emotional strength. His personal experience makes him
conclude that "true freedom is to build on the real datum of one's own
experience, to be considered not a constraint or a prison but a basis for
moving forward, an opportunity to be valued. This, for him, also applies to the
religious choice: "it is built in freedom but also in fidelity to one's
past". And yet building on the starting point that life offers us is still
a great effort: "what is difficult and fully human is to be free in the
full awareness of the conditioning we are subjected to", rejecting change
for change.
High school graduation coincided with the liberation
of Rome. His disorientation was great, even for questions of faith. His was in
fact a Christianity without historical depth, not culturally embodied. He began
to search for a new cultural dimension of his faith. He writes (page 29):
"It seems to me that one thing has happened: logically I should have first
come to dissolve my doubts of faith and then try to give expression to this
faith on the concrete historical level in relation to the great new problems of
the moment. The opposite has happened: doubts have remained and have become
part of my own way of believing ... they have become the premise and the way to
build my own cultural identity ". Even the professional commitment in the
field of history began as a search for a cultural, political and religious
identity in the face of the problems created by the confrontation with
democracy. He recalls the experience, after graduation, as a Senate official,
which allowed him to attend a large library, from which he obtained useful
elements for research on modernism, and told him the opportunity to meet great
figures of politicians. From the work "The historical knowledge" of
Henri-Irénée Marrou drew the perspective of a humanistic historicism open to
transcendence, "the intuition that in history new elements of identity and
orientation had to be sought, even on the problems of the present", to
which always remained tied. It recalls the collaboration, in the 1950s, to the
magazine "Quaderni di storia e cultura sociale" promoted by Ettore
Passerin D’Etreves, Sergio Cotta, Gianfranco Merli, the first historical
Catholic-inspired magazine "decidedly focused on contemporary
history". He reproposes excerpts from a declaration of intent, written by
him, which should have opened a new series of the magazine (in fact then
revived) and in particular this: "On the one hand it is necessary to save
the integrity of religious values from contamination and from the the
obscuration they undergo whenever they are lowered to the role, which does not
belong to them, of political ideology; and, on the other hand, to affirm and
defend the same integrity and autonomy of human and historical realities from
confusions that are too easy, even if generous. And this is, in our opinion, a
work that cannot be carried out only on the terrain of political choices: no
change of address alone will be enough to guarantee these values if an
in-depth cultural work has not made Catholics more aware of their religious
responsibilities, but therefore also capable of a political attitude free from
all protection ”.
Scoppola
thought it necessary to overcome the historical rift between the Church and
freedom. The author writes: "So freedom was the obligatory passage for
that search for identity I mentioned at the beginning. Hence the themes dealt
with: the relations between Church and State, the liberal Catholic tradition
and modernism. ”The problems that were very alive and controversial at the time
concerned the possibility for the Church, which considered itself the
repository of truth alone, to accept a political regime in which all were
guaranteed the profession of their own religious ideas and convictions and in
which what is right or wrong in terms of behavior was defined on the basis of a
freely expressed consent.
With the start of the teaching activity at the
Sapienza University of Rome, and with the assumption of the direction of the
magazine "Il Mulino" of Bologna, a more open and explicit political
commitment began, undertaken not as a career, but as a search for a Catholicism
fully embodied in history and as the maturation of a personal identity as a
Christian and a Catholic. He remembers having lived without spiritual trauma,
as a proper and normal choice, the support for the "no" to the
referendum on divorce. Unacceptable for him to impose on everyone with the
force of the majority the model of Christian marriage, and so on. He writes:
"Yes, politics has fascinated me, not instrumentally as a means to an end
different from politics itself, but as a politics in itself, as a design for
the future, as a rational evaluation of the possible and as suffering for the
impossible as an ideal call of citizens to new goals, as an aspiration to an
unattainable equality that is nevertheless a torment of human history. I was
interested in politics because of what it can't do much more than what it is ”.
From a
religious point of view this fruitful experience in politics has led for
Scoppola to take note of the spaces of personal responsibility and to disengage
"from a heavy load of scruples and religious fixations". Remember,
from a report by Tommaso Gallarati Scotti at a conference of the Christian
Democratic League of Romolo Murri the statement taken from the IV Lateran
Council of 1215: "Quidquid fit contra conscentiam aedificat ad
gehennam" (what goes against conscience leads to hell) Scoppola writes:
"The doctrine of the primacy of conscience was clearly formulated: an
individual conscience is not the source of moral values, but it is the
instrument through which values are perceived and become binding." Pope
Gelasius (492-496), in the "Epistula ad Anastasium Imperatore." It is
found in the "Liber Extra" by Gregory IX (1234), incorporated in a
previous decretal of Innocent III. It is mentioned by St. Thomas Aquinas and by
St. Bonaventure: it is found in the "Letter to the Duke of Norfolk"
by John H. Newman, written to reply to the liberal Gladstone, according to
which a Catholic could not be a faith the subject of the Queen because of the
proclamation of the taming of papal infallibility.
Scoppola
writes: "It is paradoxical that the primacy of conscience has been denied
and trampled by the Church in innumerable historical circumstances and in any
case left in the shade on the doctrinal level so that the principle of freedom
of conscience ends up affirming itself in Europe not by the Church but against
the church.
And "the imposing conceptual construction
accumulated over the centuries around the Christian message" constitutes a
problem. Remember the lesson of Benedict XVI held in Regensburg in September
2006 on the link between faith and philosophy. There is a distance between the
theoretical aspect and "the vital datum of participation in a current of
faith that spans millennia and which has expressed variable formlessness".
He writes: "I believe this is the discriminating point: faith is not a
doctrine, it is not reducible to a doctrine, it is not in a doctrine ...".
The life of faith is more important for the mission of the Church than the
keeping of a doctrine.
After reading "L'action" by Maurice
Blondel, Scoppola places itself in a perspective in which we no longer believe
based on evidence in a scientific sense, but on other "decisive",
"vital" reasons. He does not think of God as a philosophical
abstraction, defined once and for all, but as the living God of whom the Bible
speaks, "of which a people becomes aware within a history full of
conflicts and contradictions". Scoppola writes: "In the face of the
God of the Bible, what is the point in asking the question of the" proofs
"of his existence? The God of the Bible is there in a thousand-year
history, it is he who challenges man to a radical choice. It is not about
trying, but choosing with all the responsibility, the risk that every vital
choice entails because in every choice there is an unavoidable margin of doubt
and therefore of bet ... the choice is free because there are no definitive
'proofs' and incontrovertible ... the spaces of believing and not believing are
the spaces common to all thinking men ".
On Resurrection he recalls Peter's speech in
Acts, 10, 39-41: "... God raised him on the third day and wanted him to
appear, not to all the people, but to witnesses chosen by God, to us who ate
and drank with him after his resurrection from the dead ”. The manifestation
only to the particular group of believers excludes the historicity of the event
of the resurrection, in the sense understood today by historians. Yet the faith
of the reborn apostles is a "fully documentable historical event" and
is based on that "atypical", exceptional event, which is the
resurrection and which "remains unknown and indefinable to our eyes".
Our faith depends on a great current that runs through the centuries, starting
with the apostles, and is the fruit of a motivated and conscious choice.
Scoppola writes: "... the participation in the human experience of a
believing people became the point of support and guarantee of my faith.
Everything remained valid but lost rigidity .. My faith today I feel attached
to the Bible ... The discovery of the Book is it was the great gift that
the Second Vatican Council gave us. This gift cannot be taken from us ".
The Church makes visible togetherness in
faith. It involves a minimum of structure, an authority. But no form of passive
subjection is conceivable. In this we must be faithful to the Second Vatican
Council, indeed, moreover, we must defend the Second Vatican Council. It is the
point of arrival of a story, of a development, which led to the overcoming of
previous declarations, such as the "Syllabus". And we must remain
open to further developments, because the Spirit continues to speak.
Defense,
not contestation though. The protest turned out to be harmful. The author
recalls "the beautiful image of Fonsegrive [George Pierre Lespinasse
Fonsegrive, 1852-1917 - moralist philosopher] taken up many times by Mazzolari:
obey standing". Scoppola writes: "Fonsegrive said" obey standing
to better serve ". Do not obey passively, on your knees, with a sense of
subjection. Not subjects but citizens of the Church "... means belonging
to the Church as the people of God, it means active participation". For
Scoppola there is something in the Church that must die, in particular a
certain way of understanding authority. And yet we must continue to deal with
the Church as a hierarchy, without becoming discouraged, because it remains a
fundamental element of the current of faith of which we are a living part. It
is also important for the development of democracy, which requires a way of
understanding adequate religious life. With the pontificate of Wojtyla the
identification of the Catholic Church with the Pope was strong. Ratzinger is
breaking away from this model. It is important to keep ecumenical dialogue
alive, without which the renewal process would stop. We need to rethink
collegiality and collegiality the Petrine primacy. Scoppola writes: "...
it is not clear why some fundamental civil rights cannot be applied in the
Church, first of all the right to defense when subject to inquisitorial
measures ... how it is possible that respect for human dignity is sacrificed to
logic institutional? ". The author laments today's cultural flattening, lack or poverty of
opinion currents. We need to recreate a climate of trust and attention to the
laity, to provide "opportunities for the laity to authentically and freely
express themselves".
For Ratzinger,
who inspired the structure of the encyclical "Fides set Ratio" of
1998, philosophy must inevitably return to be the servant of theology and the
Church must return to exercising its right to intervene in the field of
philosophy. It is the re-proposal of a past conception, which "fails to
combine that past of which it is a high expression with the present and its
challenges". Faith has taken on new forms and reason becomes increasingly
aware of the limits of one's certainties. What then is the use of "an
abstract coherence of an inexistent Reason with a Faith that has become
doctrine and natural law"? We need reciprocal freedom, responsibility and
prudence, "the appreciation of that subjectivity so often sacrificed in
Catholic thought". In fact, then, in pastoral practice the doctrine
officially proclaimed is outdated, and the respect and mercy that are at the
base of Christian communities prevail. The system of double truth should be
overcome, but not in the sense hoped for today by the hierarchy.
Against the
odds, secularization has not produced the social irrelevance of religion and,
in particular, of the Catholic Church. With the pontificate of Wojtyla, the
Catholic Church played a decisive role in the crisis of communism and indicated
"to the new generations the possibility of looking to the future with
hope, based on a courageous critical review of the mistakes of the past and of
a purification of memory '". He played an international role increasingly
focused on the primary goal of peace. In the crisis of Yugoslavia, however,
religions have been elements of fracture and crisis of coexistence. New types
of religiosity are spreading simultaneously, more understood as individual
facts, interest in religions outside the traditions of the West is growing.
Forms of radical rejection of the new realities manifest themselves in the
Catholic Church, as in the case in the schismatic movement of Bishop Lefèbvre.
However, the Catholic Church has not stopped its integration process in
secularized society, has responded by diversifying its offer with extremely
varied and unpublished forms, combining movements with traditional territorial structures
(recalls the essay "La religion à la carte" by Jean Louis Sclhlegel).
A renewed presence was produced "-although marked by considerable internal
tensions - in the secularized society of the end of the millennium". Even
in the confrontation with Islam, prey to fundamentalist conceptions, the
Catholic Church has not followed the obtuse defensive and identity logic
suggested by some political forces. And this, contrary to appearances, also on
the occasion of the debate on the "Christian roots of Europe" which
was discussed if it were worth mentioning in the new Constitution of the
European Union. Scoppola writes: "... it was actually a false opposition,
nominal rather than substantive: the identity of Europe is linked to all its
history and in its history there are dominant Christian roots but closely
intertwined with those of the Jews and with the Islamic ones, as there are the
Enlightenment and secular roots of the last centuries; in its history there is
the bitter conflict between these factors and there is the laborious conquest
of the principle of tolerance, religious freedom and secularity of the State.
Summarizing all this in a juridical formula is as difficult as it is scarcely
relevant: ultimately Europe will not be what an abstract definition of its
identity will express, but what its policies will be and above all its role in
the world with respect to the problems of peace and relationship with the world
of underdevelopment. "
To ensure
that the return of the religious factor is not an element of laceration, the
secularity of states and an authentic dialogue between religions are needed.
Initially the secular spirit moved within the
Christian world and expressed the will of the State to claim its rights. Then,
more recently, the term "lay" has come to mean "outside the
Church", sometimes in the sense of neutrality, sometimes in the sense of
hostility. In Italy, with the Albertine Statute, the progressive secularization
of institutions did not originate from an anti-Catholic ideology, it did not
imply hostility to the Catholic religion which, on the contrary, was declared a
state religion. The opposition of the Risorgimento movement to the Catholic
Church was essentially against its temporal claims. The proclamation of the
"Syllabus" and the spread of positivist culture deepened the
fracture. However, even with the spread of socialist movements, it did not
reach the extremes that occurred in France, in which reference was made to the
revolutionary ideology of '89. However, it pushed Catholics towards the
moderate clerical policy of Giovanni Giolitti. Subsequently towards the new
secular religion of fascism, of which few among the Catholics understood the
anti-Christian reach. After the war the Catholic Church in Italy, at least
until 1956, looked favorably on the Franco model. Then the liberal Catholic
model was recovered which implied mutual autonomy but not hostility between
Church and State, not indifference but a guarantee of the State for the
safeguarding of religious freedom, in a regime of cultural and religious
pluralism, according to the expressions used in sentence n.203 of 1989 of the
Constitutional Court. It is possible for the Catholic religion to play a
positive civil role, but fully accepting the dimension of secularism and
practicing ecumenism and interreligious dialogue. Scoppola writes: “Being lay
is an essential aspect of that way of believing that we talked about; to be lay
means to feel part of a common humanity even before adhering [by free choice]
to any religious belief ".
Difficulties
come from the renewed claim of the Catholic Church to be the depository and
guarantor of natural, immutable law, of which it wants to define contents and
limits. In reality it is impossible to translate into a definite and permanent
code the needs and values linked to the very nature of man: they exist but have
been variously interpreted and expressed in different historical eras. The
condition of dialogue is the rejection of fundamentalism, understood as a claim
of possession of truth as a thing of its own, denying transcendence. Faith
remains research. The author cites Unamuno [Miguel de Unamuno, 1864-1936,
Spanish philosopher]: "a faith that does not doubt is a dead faith".
The author
hopes for a doctrinal evolution on the role of women and on sexual and marriage
customs. The participants in the Last Supper were all male, but women were
never excluded from the Eucharist. The fact that the apostles were all male is
therefore not a convincing argument to exclude them from priestly ordination. On
sexuality we should move "the accent from the sexual act itself to the
human context in which it is placed". As far as marriage is concerned, the
possibility of its failure should be admitted, as is the case for priests and
religious, who can nonetheless receive the sacraments and marry. For the first
thousand years of Christian history a canonical discipline of marriage was
lacking. The Christian who divorced committed sin but after adequate penance
was acquitted, returned fully to the community and the new contracted marriage
was valid. There was no sin then if the divorce had been motivated by the
adultery of the spouse and this on the basis of the exception mentioned in
Matthew 5.32 and 19.9. Subsequently the exegetes translate the term
"porneia" with "concubinage" instead of
"adultery", so in the Gospel passage it would be said that divorce,
ie the dissolution of marriage, would be admitted only when there is no
marriage. For Scoppola it is not well founded to speak of immutable principles
in this matter and the canonical discipline, which only provides for the case
of the original nullity of the bond, does not hold. Indeed, pastoral practice
exceeds the intransigent norm on divorcees. Scoppola writes: "But is a
regime of double truth acceptable in the Church of Christ? Certainly we need
the courage of consistency, but what coherence? Also what the pastoral care
demands has its demands of coherence and must somehow become a recognized
norm”.
In the 11th
chapter we talk about the problems that derive from the doctrine on Hell, on
the possibility of an eternal damnation, of the possibility that "a being,
man, created in his intimate essence for a relationship with God" remains
"subsisting outside of time to represent the failure of this relationship
". Scoppola writes: "The hell thus conceived is the tragic defeat of
man but it is also the tragic defeat of God's plan". It is possible to
think, with Maurice Nèdoncelle, of the faculty of theology of the University of
Strasbourg, that the final judgment destroys the evil in every man, while
maintaining, even in the most evil, a minimal splinter that holds the intrinsic
purpose for which Has man been created by God? Scoppola believes that research
can and should remain open, but in his current conditions he prefers not to
torment himself with insoluble problems and humbly abandons himself to the
great current of faith.
n the 12th
chapter it deals with the doctrine of "vicarious satisfaction"
explained thus by Anselm of Aosta: "God in the person of the Son needed to
make himself human in order to pay the sin of men in the person of the
Father". How can this idea be reconciled with the concept of God as an
infinitely good Father? Scoppola believes that we should free ourselves from
the "legal trap of compensation", "to deepen all the possible
meanings and implications of this exceptional event in human history which was
Christ's death on the cross. First of all, the voluntary acceptance of death as
a testimony of a "love capable of sharing the human condition to its
extreme consequences", to indicate "once and for all the path of
non-violence as the only effective instrument for making a lasting impact on
the history of men" .
In the last
chapters of the book it is a very present topic for the seriously ill, that of
theodicy and the apparent absurdity of what happens, which at some point
happens to us. Why does a good God allow evil, the voluntary one of
collectivities and individuals, but also that of nature and, in particular,
illness? Scoppola concludes: "We realize that the categories of our
rationality are completely useless and that we are faced with the radical
alternative: either to accept that (or little) faith that offers us or to reach
radical denial. In what faith offers us the fundamental fact is that the
incarnate God participates in the pain and suffering of the world: he
participates in human pain to the point of freely accepting death on the cross.
So we are not alone and the fact that God participates so intensely in pain has
a meaning and a value that we do not know how to define but which we perceive
as great and profound ... What
is certain is that two things about human experience God has shown to share to
the end: pain and love ".
Summary
by Mario Ardigò - Catholic Action group
in the Catholic parish named "Saint
Clemente pope" - Rome, Monte Sacro - Valli
district