Problemi di costruzione ecclesiale 4
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Mediante
la mailing list del gruppo, è stato inviato ai soci il codice di accesso
per la riunione in Meet del 14 novembre, alle ore 17
A questo indirizzo di You
Tube
https://www.youtube.com/watch?v=GorIYoaHGjk
abbiamo inserito un video
che spiega come accedere agli incontri.
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Il socialismo e
il cristianesimo contemporaneo ebbero, e tuttora hanno, problemi nel
confrontarsi con la libertà personale degli individui. Finiscono con il
pensarla come arbitrio, quindi svincolata da criteri etici.
Ritengono che sia fonte di conflittualità e che, quindi, finisca con il
disgregare la società. In genere, trattandone, iniziano con l’esporne le
necessarie limitazioni, vale a dire ciò che una persona non deve fare.
Preferirebbero
una società in cui tutti facessero l’interesse generale seguendo guide
illuminate, e questo anche se manifestano un’alta considerazione per il popolo.
I socialisti (ce ne
sono ancora? Penso di sì, anche se sono portati a tenere un profilo più basso
di un tempo. Idee del socialismo sono ancora piuttosto diffuse, anche se spesso non
si è consapevoli della loro origine) distinguono tra chi fa l’interesse
generale e chi si lascia guidare dal proprio. Il pensiero sociale cristiano la
mette più o meno nello stesso modo: distribuisce con una certa larghezza
patenti di egoismo.
Apro la discussione su
quel tema - non ritengo di possedere una qualche verità in merito,
ma cerco soluzioni ragionevoli basandomi sulla mia esperienza sociale –
proponendo questa tesi: non è possibile ottenere, e quindi pretendere,
l’uniformità sociale. E anche quest’altra: nelle decisioni
della vita nessuna persona è completamente libera, ma sceglie tra alternative
costruite dalla società in cui è immerso. Quindi, a quello che si
sperimenta, il libero arbitrio non esiste. In teologia, ma
anche nel diritto, lo si presuppone e lo si teorizza per poter
immaginare, giustificare e anche organizzare, un sistema di sanzioni per chi
decide male secondo un certo sistema di regole. Una volontà non libera non
potrebbe essere ritenuta colpevole e, se non completamente libera, sarebbe
anche meno colpevole. La possibilità di una libera scelta da parte delle
persone è, in quei campi, un assioma, un enunciato che non necessita di essere
sottoposto a verifica, salvo che in casi particolari, come per i malati di
mente, i bambini e per chi è sotto l'influsso di droghe o soggiogato
psicologicamente da altri.
La
questione è stata, insieme ad altre ad essa collegate, tra quelle che furono al
centro dell’aspra controversia, con enormi risvolti politici, che, dal
Cinquecento, divise il partito dei riformatori religiosi da quello
del Papa. Essa nel 1999 è stata risolta tra Luterani e Cattolici e molta parte
delle Chiese protestanti ha aderito: si tratta della Dichiarazione congiunta
sottoscritta ad Ausburg – Augusta, in Germania. La Chiesa cattolica era
rappresentata dal Cardinale E.I. Cassidy e dal Vescovo W. Kasper, rispettivamente Presidente e Segretario del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani. Si
concluse che la libertà che una persona possiede nei confronti delle
altre e delle cose del mondo non è una libertà dalla quale possa
derivare la sua salvezza soprannaturale. Occorre essere sorretti dalla Grazia
soprannaturale. Però la nostra libertà può dannarci: possiamo rifiutare la
salvezza che dal Cielo ci viene come dono. Questo ci viene spesso spiegato
nelle prediche che ci vengono fatte. Così c’è chi ha sostenuto che è meglio
rinunciare a quella libertà, e ci ha anche costruiti sopra delle preghiere
apposite. Ma nella catechesi ci viene anche spiegato che non si può veramente,
perché essa è una caratteristica profondamente umana. E tuttavia, rispetto alle
alternative che la società in cui viviamo ci propone nelle decisioni della
vita, non siamo nemmeno completamente liberi.
Di più, le
neuroscienze cominciano a spiegare che ogni nostra decisione scaturisce dal
nostro organismo, come la stessa nostra mente, per cui, anche sotto quel
profilo la nostra libertà è questione di punti di vista, e dal loro punto di
vista è un’illusione. Un bel problema, ad esempio nei ragionamenti giuridici,
nei quali la responsabilità personale è strettamente collegata
alla capacità naturale di scegliere con consapevolezza, quindi
di esprimere una volontà libera.
Lasciamo quei problemi
agli esperti, e esaminiamo, in base alla nostra sapienza pratica e per come
viviamo con gli altri, se possiamo essere d’accordo sul fatto che la
società ci condiziona, e certe alternative non ci vengono nemmeno in mente, e
forse in una società diversa andrebbe in un altro modo. Ma non ci condiziona
del tutto. A volte ci viene di desiderare di fare a modo nostro e, anche, di
fare così contro il parere altrui, addirittura nonostante l'ostilità altrui e contro ciò che viene ritenuto
conveniente e lecito in società, affrontando le critiche e le altre reazioni di chi ci circonda.
Sembra cosa
da niente, ma un grande filosofo tedesco del Settecento, Emanuele Kant, ci
ragionò sopra e concluse che, in definitiva, nel perseguimento
dell’interesse generale, basta che una sola persona si discosti
dalla linea comune per pregiudicarlo e trasformarlo in particolare. Insomma
prese realisticamente conto del carattere conflittuale delle società e osservò
che la convergenza totale poteva essere raggiunta non sulle proposte
particolari, ma su un metodo, costruendo istituzioni
pubbliche che consentissero il dispiegarsi delle libertà individuali
senza ledere gli altri. Ne scrisse come di una sorta di insocievolezza
sociale. Però poi i socialisti osservarono che, in quella
organizzazione istituzionale, chi non aveva da contrattare solo la propria
forza lavoro aveva la peggio anche se era maggioranza. Kant però aveva concluso
che costoro, non essendo veramente liberi, ma dovendo stare agli
ordini altrui, non potevano essere a pieno titolo cittadini. L’epopea
del socialismo europeo, dalla metà dell’Ottocento condusse a imporre una
soluzione diversa, in particolare il suffragio universale, senza
distinzione di censo o di istruzione. Volle che tutti gli adulti, anche chi era
scarsamente possidente o colto, potesse partecipare in qualche modo al governo
pubblico. Parte del pensiero sociale cattolico li seguì per quella
via, ma non il Papato e l’episcopato italiano, almeno fino all’inizio degli
scorsi anni ‘40, quando laici provenienti dall’Azione Cattolica dettero un
contributo importantissimo nella progettazione e istituzione della nostra
Repubblica popolare democratica, che nacque il 1 gennaio 1948. Una svolta
decisiva, sul lato politico, venne nel 1991, con l’enciclica Il
centenario - Centesimus Annus del papa san Karol Wotyla –
Giovanni Paolo 2°. Sul piano religioso siamo invece, più o meno, come
nell’Ottocento. I laici non contano nulla e la loro maggiore
libertà, rispetto ai limitati spazi concessi a chierici e religiosi, è vista
con molto sospetto. Nonostante gli indirizzi del Concilio Vaticano 2°, tenutosi
a Roma tra il 1962 e il 1965 a Roma, che ebbe tra i suoi principali fini una
riforma ecclesiale per consentire una partecipazione maggiore ai laici, si
ritiene in genere che la base si debba limitare a dare esecuzione alle
decisioni del Papa e dei vescovi, e questo anche su temi politici e sociali.
Tuttavia è un
controsenso che, come ci dice la teologia, ci sia stata data la libertà di
decidere, quel libero arbitrio di cui si diceva, e
poi scegliere prudenzialmente di rinunciarvi per non sbagliare, ma anche
ritenere questo un atto virtuoso, degno della nostra umanità. Eppure si sono
sviluppate spiritualità che vanno in questo senso.
Ogni discorso
sulla libertà dovrebbe iniziare con la descrizione di come si vorrebbe che
fosse la società, e questo partendo dalla propria personale esperienza. In
questo, naturalmente, si incontra il problema delle relazioni con le altre
persone: infatti, da un lato, trattandosi di un progetto collettivo, richiede
di essere largamente partecipato; dall’altro c’è di mezzo la libertà degli
altri, che hanno anch’essi i loro progetti. Bisogna quindi imparare a
intendersi, senza demonizzare, secondo i tremendi costumi dei secoli passati,
chi dissente.
Su questa via, si
potrebbe proseguire con il ragionare sui condizionamenti sociali che ci limitano,
compresi quelli che derivano dalla libertà altrui. Per arrivare a convincersi
che l’unanimità non solo non è alla portata degli esseri umani, ma
nemmeno è desiderabile, perché congelerebbe la società. E’ questo che, mi pare,
sia accaduto negli ambienti ecclesiali italiani, in cui, a fronte di una certa
effervescenza negli anni ‘70, al tempo del rinnovamento della
catechesi, si decise di fermare tutto d’autorità imponendo di
manifestarsi sinodali, sopendo le obiezioni, sotto pena di emarginazione. Dunque ora siamo la Chiesa che siamo, tanto diversa
dai tempi in cui i cattolici italiani furono fermenti vivi nella nostra società.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro,
Valli