Problemi di
costruzione ecclesiale 3
1. All’inizio degli anni
’60 si parlava di aggiornamento ecclesiale per non dire riforma, termine che suonava minaccioso,
pensando al precedente del Cinquecento. Perché aggiornarsi? Ci si
aggiorna per non rimanere indietro rispetto alla cultura del proprio tempo.
All’epoca era quella europea nell’era della decolonizzazione, con progressi nel
campo delle scienze naturali e con più rispetto e meno pretese di dominio
diretto verso i popoli del mondo caduti in dominio degli europei o di loro
propaggini. Dal punto di vista sociale ci si divideva tra sistemi democratici
ad economia capitalista e sistemi basati su istituzioni ed economie socialiste,
formalmente democratici ma in realtà caduti in mano ad autocrazie organizzate
intorno a partiti fortemente gerarchizzati, i cui i comandi fluivano dall’alto
e che non potevano essere messi in questione dalla popolazione governata. I regimi comunisti proponevano libertà dal
bisogno per tutti, ma non giunsero mai a mantenere realmente in pieno questa
promessa piuttosto allettante per le masse, a fronte di poca libertà e
soprattutto vietando duramente la critica politica, i regimi capitalisti promettevano libertà e
opportunità per tutti, ma anche in questo caso rimasero pienamente soddisfatte
in questo solo delle minoranze sociali, sebbene in generale si assistette, fino
all’inizio degli anni ’80, a un esteso miglioramento delle condizioni di
benessere dei più. Negli anni ’80, nell’Occidente organizzato in democrazie
capitaliste, iniziarono ad essere rimossi i correttivi sociali ai problemi
creati dal mercato, e questo danneggiò chi aveva meno forza contrattuale, anzitutto
i ceti operai, da un lato sempre più sostituiti dall’automazione, dall’altro
allontanati dalla produzione per il trasferimento delle fabbriche in Oriente,
dove i salari si mantenevano bassi. La
Chiesa cattolica, dopo essersi compromessa con il fascismo mussoliniano, dagli
anni ’40 si schierò progressivamente con le potenze delle democrazie
capitaliste, innanzi tutto in funzione anticomunista. Ma come conciliare i
rigori delle economie capitaliste con i principi sociali insegnati fin dalla
fine Ottocento? Si sarebbe dovuto progettare una nuova società. La gerarchia del clero
prese consapevolezza di non avere la soluzione e di doverla trovare con la
collaborazione di chi viveva all’interno della società civile, in particolare i laici,
i fedeli che non erano né chierici (vescovi, preti ecc.), né religiosi (frati e
suore, monaci e monache). I laici, allora come ora, non contavano nulla, ma, in
particolare con la Costituzione Luce per le genti, deliberata durante il
Concilio Vaticano 2° (1962-1965) si posero le premesse teologiche per cambiare
quella situazione. Fin lì arrivò quell’aggiornamento. Siamo ancora agli inizi della
messa in pratica di quei principi. Per la verità in Europa, in particolare in
Italia, i fedeli laici avevano avuto un ruolo importantissimo nel ricostruire
le democrazie del Continente non cadute sotto il dominio dei regimi comunisti
egemonizzati dall’Unione sovietica, che aveva imposto con una rigida dogmatica
la propria interpretazione del socialismo di impronta marxista. Va aggiunto
che, in questa versione in particolare, quell’ideologia era attivamente ateistica,
considerando le religioni cristiane costituite un imbroglio dei capitalisti
contro la classe operaia. Ma lo stesso Karl Marx non era stato tenero con le
istituzioni religiose. La Costituzione Italiana fu scritta anche da
intellettuali cattolici e, come si è saputo, il controverso art.7, quello che
recepì i Patti Lateranensi conclusi dal Regno d’Italia con la Santa Sede nel
1929, ai quali dobbiamo la Città del Vaticano a Roma, direttamente da Giovanni
Battista Montini, all’epoca sostituto alla Segreteria di Stato Vaticana e poi
dal 1963 al 1978 regnante come papa Paolo 6°, e dal democristiano Giorgio La
Pira.
Di nuovo, ai tempi nostri, si parla di riforma, questa volta
esplicitamente e anche da parte di Papi: lo ha fatto il papa san Karol Wojtyla
– Giovanni Paolo 2° e ora lo fa il papa Jorge Mario Bergoglio – Francesco. Si
tratta di completare la riforma – aggiornamento degli anni ’60
o c’è dell’altro? Per quanto riguarda le idee di san Wojtyla era la
prima ipotesi, per quanto riguarda il Papa regnante si versa nella seconda. San
Wojtyla pensava a una riforma del Papato organizzata dalla stessa Santa Sede,
il Papa e gli uffici che con lui collaborano a Roma; papa Francesco propone una
riforma dal basso, che parta dalle periferie, geografiche ed esistenziali.
Tuttavia san Wojtyla da Papa riuscì negli anni ‘80 a promuovere in varie parti
del mondo, ma soprattutto nella sua Polonia e un po’ in tutta l’Europa
orientale caduta nel dominio sovietico, moti popolari, dal basso, con spiccata
connotazione politica. Il magistero di papa Francesco, per ora, non ha avuto
analogo successo. San Wojtyla ebbe dalla sua parte gli Stati Uniti d’America –
rimarrà storica l’immagine del presidente in carica e di due ex presidenti degli Stati Uniti d’America
inginocchiati vicino alla sua bara, nel 1978 -, papa Francesco li ha contro. La Polonia di oggi manifesta chiaramente come
la riforma indotta da san Wojtyla fu essenzialmente politica, non religiosa. L’Italia di oggi dimostra,
invece, che l’effervescenza del mondo laicale degli anni ’70 e ’80, sedata
d’autorità da san Wojtyla e dall’episcopato che seguiva la sua linea, non è mai ripresa. Ad un certo punto il
pretendere di partecipare e di partecipare
discutendo venne presentato come indisciplina
e quindi ora si partecipa malvolentieri e, quando lo si fa, ci si adegua ad un
certo stile clericale che, spiegabile tra chierici e religiosi che sono nelle
mani di un’autocrazia, non lo è per dei laici, protetti dalla democrazia della
Repubblica, dai quali si pretende, almeno formalmente, altro, vale a dire una
certa capacità di autonomia e quella dote che anticamente veniva definita parrèsia,
che significa dire le cose come
stanno, senza tanti infingimenti, con franchezza.
2. I processi ai quali ho
accennato in genere riguardano oggi, in Italia, solo la gerarchia ecclesiale,
in particolare alti prelati, non la base dei fedeli, e questo a differenza che
negli anni ’70 /’80. Troppo a lungo si è scoraggiata l’autonoma capacità dei
laici di ragionare e dialogare su problemi sociali alla luce della loro fede, in
particolare invertendo il principio la verità nella carità (se faccio del bene sono nel giusto),
secondo il quale il loro discernimento aveva modo di espandersi, in quello,
opposto, la carità nella verità (sono
nel giusto se impongo come valore non negoziabile la mia interpretazione della
verità) , dove viene inquadrato e costretto nella dottrina impartita
dalla gerarchia. Dove carità consiste
nella costruzione dell’agápe, cioè in un modo sociale di vivere
benevolente, inclusivo, misericordioso, solidale, che non esclude nessuno. Una pratica
che precede la teoria, e quindi la dottrina, la quale, diretta a tracciare
i confini della verità, necessariamente ragiona sul passato, proprio
quel passato che i processi di riforma dovrebbero ora superare.
Certo, ora papa Francesco propone
di immergersi nelle dinamiche dei movimenti sociali per far pratica di
amicizia e carità sociali, ma una dottrina costruita per sopire e scoraggiare,
per porre limiti sulla base di dinamiche di potere del passato, non aiuta.
Manca la possibilità di imparare dall’esperienza che si va facendo e di
modificare i principi secondo ciò che si va imparando. I pesanti
condizionamenti al pensiero in genere, e a quello teologico in particolare, posti
dalla gerarchia, sterilizzano le pratiche virtuose. Chi non si adegua ad una
certa ipocrisia viene emarginato. I chierici e i religiosi rischiano di più.
Tale essendo la situazione generale, comunque
il nuovo corso aperto da papa Francesco nel 2013 può essere utilmente sfruttato
in una realtà periferica di prossimità come una parrocchia per sperimentare
forme di aggregazioni più partecipate e dialoganti che integrino chierici e
laici. Esse furono la caratteristica principale del cattolicesimo italiano da metà
Ottocento fino agli anni ’80 e questo spiega l’importanza politica avuta dai
chierici e religiosi italiani. Oggi ci ha lasciato uno dei più grandi di loro,
il gesuita padre Bartolomeo Sorge, il quale, su mandato di san Wojtyla e
organizzando in Sicilia scuole di pensiero e pratica sociale, contribuì
a produrre una vera e propria rivoluzione politica, sottraendo spazi di potere
ai gruppi mafiosi. L’attuale sindaco di Palermo, al suo quinto mandato (il
primo fu nel 1985) ne è ancora uno dei frutti.
L’intervento e la mediazione sociali si imparano, non sono scritti in
nessuna dottrina, sono un’arte, e, per essere appresi, richiedono un tirocinio.
Lo scopo non è la propaganda e il proselitismo, non il semplice portare la
gente in chiesa, per farne un gregge docile e muto nei confronti del
potere costituito, ma, direttamente l’agápe, il linguaggio universale
che ciascuno sa intendere anche se non sa di teologia. E non solo intendere,
ma anche parlare, anche se
ne è stato a lungo ostacolato.
Ci si incontra, tra laici, e sembra di non saper che dire se non c’è un
prete che spieghi che dire, e ancor prima che pensare. D’altra parte ai preti
sembra sempre di predicare a dei sordi. “Vi scivola tutto addosso!” soleva
ripetere sconsolato don Carlo, che fu a lungo parroco tra noi, ed era vero. Ma
se una persona capisce di non contare nulla, di non essere per nulla
apprezzata, se non si limita a pensare e dire ciò che gli si dice di pensare e
di dire, si disamora, comincia con il lasciarsi scivolare addosso le prediche
altrui, e poi pian piano si allontana e la si perde. A volte, poi, le si indica
addirittura la porta. Ma non si è veramente obbligati, per difendere
l’integrità ecclesiale, a seguire quella via. Proviamo a capire, dialogando
insieme se questa conclusione può essere condivisa. E, se decidiamo che può
esserlo, allora proviamo a cambiare.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli