Breve sintesi del saggio divulgativo Democrazia e valori – per un’etica della
politica del sociologo e storico Giorgio Campanini, disponibile il libreria
ad €8,00, pag.114, editrice AVE.
L’autore si propone di recuperare il profondo
collegamento tra etica e politica, che riguarda anche le relazioni tra il
Cristianesimo e il potere.
“Con il Cristianesimo, per la prima
volta nella storia, è stato chiaramente, e in un certo senso definitivamente affermato -con
diffusa risonanza anche fuori dell’Occidente- il principio della distinzione
tra politica e religione”.
E’
questo che si intende quando si parla di laicità della politica.
“…il potere diventa un compito affidato all’uomo,
un ambito nel quale Dio si astiene dall’operare direttamente ma che riserva
alla libertà degli uomini.”
E’ la
distinzione “fra Dio e Cesare [Mt 22,21]
e cioè tra autorità religiosa e politica”.
E tuttavia il Cristianesimo “inserisce nella storia una nuova e per certi
aspetti sconvolgente forma di unificazione, tutta spirituale”. Essa si basa
sull’affermazione di valori indisponibili.
Nel corso del Novecento declinarono le
ideologie assolutistiche: nazionalismo, socialismo, comunismo. Si affermarono
ideologie che rispettavano uno spazio di indisponibilità della persona umana: socialdemocrazia,
liberalismo, cattolicesimo sociale. Esse risultarono più realistiche e
praticabili. Si creò così un terreno
favorevole alla democrazia politica. E
tuttavia:
“Le stesse istituzioni democratiche, una
volta disancorate da un riferimento ai valori, finiscono per apparire come
svuotate di senso. E del resto, come giustificare il rispetto dell’uomo, la
solidarietà tra gli uomini e fra i popoli, il superamento dei razzismi e degli
esclusivismi regionali, facendo appello alla sola ‘ragione laica’?”
L’autore riassume le fasi storiche del
passaggio da una forma di potere ad un’altra: dalla famiglia alla città,
dall’autorità, intesa come forza di persuasione non basata sulla coazione, alla
politica, in cui la minaccia o l’uso della forza è elemento caratteristico. E
tuttavia una certa base di consenso è sempre necessaria, anche nei regimi
politici autoritari.
“Sul piano storico la tendenza del
potere è di passare da un’origine tradizionale a una consensuale e
dall’estraneità rispetto ai governanti al consenso popolare. La democrazia è,
in linea teorica, appunto il regime in cui il potere è esercitato – secondo la
nota formula di Abramo Lincoln ripresa da Maritain- dal popolo, con il
popolo, per il popolo”
L’ordinato funzionamento di una società
richiede l’esercizio di un potere politico: “la democrazia appare come un forma di governo fondata non sulla
negazione, ma sulla circoscrizione, limitazione del potere”. Il fondamento
ultimo del potere politico è stato individuato nell’attuazione di un’etica di
giustizia da parte del popolo o del sovrano o in un contratto sociale, per il
quale nell’interesse generale si accetta di obbedire ad altri. Nelle teorie
democratiche del Novecento le due visioni sono state conciliate, convenendo su
alcuni principi comuni: “…il
riconoscimento della sovranità popolare, la teoria della limitazione del
potere, il criterio della diretta partecipazione dei cittadini al suo esercizio
e controllo”. Nei regimi democratici l’attuazione della giustizia sociale e
il controllo del potere richiedono un’attiva partecipazione dei cittadini.
L’esercizio del potere politico si realizza in
una comunità politica. Una delle sue forme storiche di organizzazione è lo
Stato, teorizzata in particolare a partire dal diritto romano.
“Nella tradizione di pensiero cattolica
non è lo Stato che è al centro della vita politica, bensì la persona: la
persona che inventa, crea, realizza progressivamente una serie di ‘luoghi’ ne quali si esprime la
socialità e che hanno tutti un’alta dignità: la famiglia, le comunità locali,
le varie espressioni della società civile, la società economica (quale si
esprime nel mercato) e, alla fine – ma soltanto alla fine- anche lo Stato, come
punto di sintesi finale, ma non unica né esclusiva, delle forme in cui si
esprime la natura sociale dell’uomo”.
Si deve
obbedire al potere politico, ma non in
maniera incondizionata e assoluta.
Infatti “E’ meglio obbedire a Dio che agli uomini” [Atti 5,29]. La Chiesa considera certi valori di fondo
indisponibili, anche in un regime democratico. Questo orientamento, scrive
Campanini, è anche alla base delle più recenti dottrine costituzionalistiche in
materia di diritti umani. Stravolgimenti di questi ultimi sono “…sempre possibili se viene meno il consenso
dei cittadini sui valori essenziali della convivenza."
Pur accettando
la reciproca indipendenza e autonomia di Chiesa e Stato, che dipende
dalla distinzione tra religione e politica, la dottrina sociale della Chiesa,
il corpo degli insegnamenti impartiti dai papi e dai vescovi con l’autorità
loro propria, “mette in guardia da una
visione rigidamente separatista dei rapporti tra Stato e Chiesa, dal momento
che una collaborazione appare auspicabile in vista del bene comune”, inteso
anche come tutela di un sistema di valori fondamentali, non solo come benessere
materiale. Pertanto
“…il
cristiano è l’uomo di una ‘duplice obbedienza’; alle legittime autorità, ma
anche all’ordine morale e, conclusivamente, alla sua coscienza. Non
si tratta di ‘dipendere’ dall’istituzione ecclesiastica o dai vescovi, ma di
riconoscere il primato della coscienza morale. [Ciò] …non incrina il valore dello Stato democratico, ma, al contrario, lo
rafforza, perché fa di esso uno stato consapevole che vi è una soglia, quella della coscienza morale,
oltre la quale lo Stato non deve andare.”
Appartiene ormai al passato la diffidenza della
gerarchia cattolica verso la democrazia e le sue istituzioni. E parlare
dell’esistenza di “valori non negoziabili” non è una posizione antidemocratica,
perché “le moderne Costituzioni sono
appunto orientate nel senso di ipotizzare
una serie di valori ‘non negoziabili’, in qualche modo assoluti, non
assoggettati al gioco delle maggioranze,
o delle minoranze, parlamentari”.
Nella politica il concetto di valore è collegato a quello di “bene comune”.
Quest’ultimo venne esplicitato dal filosofo greco Aristotele (4° sec.a.C.) al
quale il filosofo e teologo Tommaso D’Aquino (13° sec.d.C.) si ispirò. E’ stata
una faticosa conquista culturale concepire il bene comune come riferito
all’intera umanità e non solo a una determinata collettività, più o meno ampia.
Il riconoscimento di una comune umanità trova un fondamento nei testi
evangelici. L’idea di bene comune universale fu particolarmente sviluppata
dagli anni ’60 del Novecento nel magistero sociale della Chiesa cattolica.
Campanini segnala in particolare le encicliche Pacem in terris (del papa Giovanni 23° - 1963), con l’affermazione
di diritti umani universali, e Populorum Progressio (del papa Paolo 6°
- 1967), con l’affermazione “dell’eguale
diritto ad usufruire dei beni della terra e a conseguire il minimo di benessere
necessario per la piena espansione della vita personale”, nonché
l’importanza data alla questione ambientale, che appare strutturalmente senza
frontiere (ciò che può essere bene per una comunità può diventare male per
un’altra). Dalla concezione universalistica del bene comune deriva una nuova
dimensione planetaria della cittadinanza, dove “cittadini non sono soltanto i titolari di una determinata nazionalità
ma tutti gli uomini del mondo”.
“Si tratta di coniugare valori
universali e particolaristici senza mortificare né gli uni né gli altri e
garantendo sempre e in ogni circostanza i diritti dell’uomo (non solo quelli
dei propri cittadini)”.
Nel magistero sociale si pone l’esigenza “di un’autorità politica supernazionale,
embrionalmente disegnata dall’attuale ONU, che si faccia carico del
perseguimento del bene comune, e della salvaguardia dei diritti dei cittadini,
nei confronti di tutti, al limite contro la volontà stessa dei responsabili di
una determinata comunità”.
Le democrazie contemporanee sono
pluralistiche.
“Pluralistica è … un’organizzazione
dello Stato caratterizzata da una articolata molteplicità di centri di potere organicamente collegati
fra loro, in una visione che pone al centro della società civile la persona
umana e non lo Stato, né come ordinamento giuridico o come monopolio della
forza, né tanto meno come espressione di un nazione, di una classe o di una
razza”.
La concezione pluralistica è
riconosciuta nell’art.2 della Costituzione Italiana: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,
sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità” formulato con l’importante contributo del cattolico Giorgio La
Pira. Perché la comunità politica pluralistica rimanga governabile occorre
realizzare una “minimale convergenza
verso il bene comune”, inteso anche come insieme di valori.
L’esperienza
storica dei modelli politici totalitari portò a una rivalutazione di quelli
democratici. E tuttavia la democrazia, che richiede impegno e fatica, consenso
sociale maturo, una sorta di “plebiscito quotidiano”, è sempre un regime a
rischio se si fonda solo su regole e non su altri valori condivisi.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa -
Roma, Monte Sacro, Valli