Problemi di costruzione
sociale 6
Negli ambienti ecclesiale ho notato che il
concetto di sinodalità, come criterio di organizzazione e di relazione
sociale adatto a comunità di fede, viene prevalentemente inteso come una
modalità per decidere collettivamente, anzi collegialmente, alternativo a
quello democratico, e caratterizzato dal venir meno delle contrapposizioni
dure.
Questo, però, non è realistico, a meno di confidare
che, alle lunghe, si finisca, per amore di pace, con il sottomettersi ad
autorità autocratiche, come tali indiscutibili, secondo il costume delle corti
del passato.
Un’autorità è autocratica quando non è previsto
che abbia una qualche legittimazione da parte della collettività
decidente, ma solo da un’autorità superiore,
dal Cielo, o addirittura da nessun altro che se stessa. Ne secondo caso si tratta di un centro di potere
sacralizzato.
In ogni società, anche in quelle in cui la
libertà di pensiero e di parola non è considerata un valore per tutti, è assolutamente
fisiologico che ci si divida sul da
farsi, e questo non è nemmeno un male. Nelle corti di autorità autocratiche il
conflitto è dissimulato, con ipocrisia più o meno marcata, a seconda delle
consuetudini di sottomissione correnti. In quel tipo di organizzazione si è nelle
mani dell’autorità e, per accattivarsene i favori e tirarla dalla propria parte, si va per vie
traverse, dissimulando. E’ questo, a sentire chi vi è coinvolto, è spesso anche l’umiliante
costume clericale.
Mantenere una certa tensione dialettica tra
gruppi portatori di divergenti, o semplicemente diversi, progetti d’azione, senza
che nessuno possa sovrastare gli altri, potendo invece la decisione collettiva sulle
questioni fondamentali solo essere condivisa, o altrimenti non essere,
impedisce che il corpo sociale cada nelle mani di autorità dispotiche, come
tipicamente sono quelle autocratiche.
Una autorità è dispotica quando non ha necessità
di motivare le sue decisioni e, anche quando accondiscende a farlo, non è
obbligata a ciò e le sue argomentazioni non possono essere messe in discussione.
La democrazia è appunto l’opposto di questa organizzazione di potere.
In una società democratica, benché la pace
sociale interna sia considerata un valore, non solo i gruppi che la compongono,
ma anche ogni centro di potere, vengono tenuti in una costante tensione
dialettica, organizzando procedure e garanzie formali. La risoluzione dei conflitti,
in modo che non si arrivi alla disgregazione sociale, viene raggiunta nel
dialogo ragionevole e proceduralizzato, quindi
ripudiando il metodo della violenza di sopraffazione, anche solo morale. Sulle questioni
fondamentali si preferisce lo stallo, che è quando non si raggiunge un accordo
e non si va avanti, in attesa del perfezionamento successivo di un equilibrio
soddisfacente per tutti. Sulle altre si conviene che prevalga, ma non
definitivamente, il principio di maggioranza, senza tuttavia che la minoranza
sia tacitata.
Comunque, anche in condizione di stallo, una
società democratica, essendo pluralista, continua sempre a funzionare, non necessitando
di essere regolata in tutto da un’autorità. Essa produce, nelle sue dinamiche,
un diritto, un’organizzazione che viene da intese particolari, le quali, estendendosi
e affermandosi come vantaggiose, aumentano il loro credito.
Una società democratica si regge, come anche avviene
nelle organizzazioni ispirate alla sinodalità, sulla condivisione molto ampia
che la disgregazione della collettività, quindi l’abbandono delle procedure e
dei principi che prevengono e ostacolano la sopraffazione, non convenga ai consociati,
aprendo inevitabilmente alla sopraffazione violenta della lotta di tutti contro
tutti. La differenza è che le divergenze in un’organizzazione democratica
vengono portate alla luce e se ne discute liberamente.
Non si tratta solo di adesione a certe formalità,
ma anzitutto ad un sistema di valori, quindi di orientamenti forti sull’azione
sociale, secondo i quali la pace sociale e il benessere diffuso sono preferibili
alla legge della violenza del più forte. Potrebbe sembrare naturale che questa
tendenza si inserisca bene in vite ispirate ai principi cristiani, ma non è
detto che sia così, e, anzi, storicamente in prevalenza non è stato così.
Fortunatamente non ci è dato di tornare indietro nella storia: quella dei
cristiani è stata terribile fin dalle origini e, in prevalenza, è stata preda
della sopraffazione. Ma non c’è da avvilirsi, perché così è stata l’umanità in
genere e oggi la brutalità dei tempi passati è di solito ripudiata nell'Occidente in cui viviamo (non
dovunque, non da tutti).
Nonostante il gran discorrere che in religione
si fa di agàpe, quindi di un forma idealizzata di convivenza pacifica e
solidale, caratterizzata da reciproca sollecitudine, nella quale si ritiene
consistere addirittura il fondamento della nostra fede, tanto che è scritto che
esso è agàpe, storicamente le prassi sociali nelle nostre Chiese, per quasi
duemila anni, e ciò fin dalle origini, si sono piuttosto discostate da quel
principio, e problemi di questo tipo si manifestarono anche nella prima ristrettissima cerchia degli
apostoli peregrinanti al seguito del Maestro, nella quale maturò un tradimento omicida,
che è tutto dire.
Se a quell’epoca e in quel gruppo, sotto la luce
della predicazione del Maestro non si riuscì ad essere veramente sinodali,
nel senso di come oggi si vorrebbe esserlo, si capisce chiaramente che quell’obiettivo
è fuori anche della nostra portata, tanto più che ai nostri tempi abbiamo
costruito culturalmente anche su quella
storia tragica a cui ho accennato e fatichiamo ad affrancarcene, nel faticoso
lavoro chiamato purificazione della
memoria.
E’ diverso
se, invece, si vuol essere sinodali nel senso di non rinunciare, per
nessun motivo ed anche nelle divergenze e nei contrasti accesi su varie questioni particolari, ad un atteggiamento sociale amicale di fondo, che comprende la
sollecitudine benevola verso gli altri e l'arrestarsi prima di far loro veramente male o di atterrarli moralmente , nonostante l’eventuale diversità di
opinioni.
Ma in religione, ancor oggi, i contrasti
spesso si radicalizzano, quando gli uni
ritengono di essere i veri portavoce del Cielo, e gli altri pure:
si tratta di ciò che viene chiamato sacralizzazione e che rende
irriducibili i conflitti e tenta al tutto per tutto. In quest’ordine di idee,
infatti, l’altro che diverge diventa un fattore sociale inquinante letale, da tagliare
come ai tempi nostri si fa con i tumori maligni. Questa violenza viene
concepita come una sorta di medicamento sociale o, come fu nell’ideologia nazista,
come una disinfestazione.
In democrazia, si evita quella degenerazione desacralizzando,
o altrimenti detto secolarizzando, le divergenze, riportandole
alla loro realtà profana, considerandone l’effettiva incidenza sociale, senza
inutilmente drammatizzare, e in tal modo, in genere, trovando anche modi di
convivenza nella diversità. La secolarizzazione è connaturata alla democrazia e significa rifiutare di strumentalizzare la religione.
Spesso, invece, nell’idea di sinodalità è compreso un rifiuto di una società che esprima
diversità e autonomie, per cui finisce per essere un modo attenuato di imporre
l’ubbidienza, che è l'osservanza per sottomissione. In democrazia, l’ubbidienza,
come sostenne Lorenzo Milani, non è più un virtù, ma la più subdola delle tentazioni.
La tragica storia della nostra Chiesa, che
dovrebbe rientrare anche nella formazione di base, in genere per quel poco ce si fa inquinata dall’apologetica, dall'agiografia (soprattutto dei Papi negli ultimi due secoli, e addirittura dalla franca propaganda autoritaria, dimostra chiaramente che
molte delle posizioni che vennero contrastate aspramente e sanguinosamente, con
inflizione di reciprochi anatemi (formule di maledizione) e di tanta sofferenza, una
consuetudine che risale ai primi agitati e intolleranti secoli della nostra
fede, sono poi risultate assolutamente
conciliabili in una convivenza rispettosa dell’altrui dignità e pretesa di sopravvivere
nella diversità, e, nel dialogo più intenso e costante consentito da questo
modo di relazionarsi che ha consentito di intendersi meglio, perfino apprezzabili.
Mario Ardigò – Azione Cattolica
in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli