INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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lunedì 2 novembre 2020

Problemi di costruzione sociale - 2 -

 

Problemi di costruzione sociale  - 2 -

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Domani, con un email inviata alla mailing list del gruppo, sarà comunicato ai soci il codice di accesso per partecipare alla riunione del gruppo in Google Meet di sabato 14 novembre, ore 17.

Invito tutti i soci a fare subito pratica dell'accesso a Google Meet, utilizzando quel codice e seguendo le istruzioni che troveranno all'indirizzo You Tube:

https://www.youtube.com/watch?v=GorIYoaHGjk

Anche prima dell'attivazione della riunione, che avverrà alle 16:45 di sabato 14 novembre, inserendo il codice potranno arrivare fino alla fase delle procedura dell'attesa dell'ammissione alla riunione.

 I soci che non l'avessero già fatto sono pregati di comunicare con una email a

      mario.ardigo@acsanclemente.net

la email con cui si sono registrati su Google, mediante la quale verranno riconosciuti e quindi ammessi alla riunione in videoconferenza. 

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1.  Siamo certamente un prodotto della natura, vale a dire di un biologia: siamo infatti dei viventi. Ed è come se abitassimo nel nostro corpo, che si regola per conto suo, in un modo che le scienze contemporanee cercano di comprendere, ed ha una sua evoluzione che non dipende che solo in parte dalla nostra volontà. In  particolare, i processi fisiologici della nostra vita determinano invecchiamento e morte, come in ogni altro vivente che conosciamo sulla Terra. Finora i tentativi delle scienze di contrastarli per ritardare la fine hanno avuto limitati successi. Viviamo un po’ più a lungo che nei secoli passati, ma tuttavia invecchiamo e poi moriamo. Questa rimarrà la condizione della mia generazione e probabilmente anche delle altre generazioni più giovani viventi. Non è possibile fare previsioni affidabili per un futuro più lontano. Rimarremo quindi viventi condizionati dalla natura, dalla biologia che condividiamo con altri viventi, in particolare con i mammiferi.  Ma che cosa ci distingue da loro?

 La nostra fede ci dice che è una particolare relazione con il Creatore. Fummo fatti, a sua immagine, a sua somiglianza, affinché potessimo dominare sugli altri viventi, si legge nel Libro della Genesi, cap. 1, versetto 26. Al capitolo 2, versetto 15, si legge che il primo uomo fu posto nel giardino di Eden, perché lo custodisse. Naturalmente poi la teologia biblica ebraica e cristiana ha sviluppato molto questo argomento, ma, al dunque, l’idea religiosa della nostra diversità come umani sta in quella relazione soprannaturale.

   Per le scienze ci distinguono la struttura e conformazione dell’encefalo, che sostengono  una mente, un processo fisiologico  di elaborazione dei dati molto efficiente che è parte del nostro organismo biologico dal quale riceve importantissimi impulsi, che vengono definiti nel complesso emozioni. La nostra  è una mente emotiva. Mediante i collegamenti biologici con il resto dell’organismo, la nostra mente ci consente di sentirci vivere.  È un senso che si aggiunge ai cinque che ci collegano con l’ambiente esterno, e con gli altri viventi umani e non: vista, udito, tatto, gusto e odorato.

  Gli altri viventi non hanno delle menti? Le neuroscienze che studiano le facoltà cognitive degli animali non ne sono più tanto convinte, specie riguardo i viventi più simili a noi, i mammiferi.

  Creiamo società, come anche altri viventi non umani. Ci combattiamo come anche accade nelle altre specie sociali e più o meno per gli stessi motivi: il dominio sociale, la ripartizione delle risorse sociali.

  Possono essere individuati elementi che sicuramente appaiono distinguerci dagli altri viventi: la cultura sociale, intesa come il complesso di concezioni, costumi, istituzioni che si tramandano insegnandoli e apprendendoli di generazione in generazione, in essa compresi la scrittura e il mercato. I viventi non umani comunicano tra loro: alcuni, come ad esempio le balene, hanno sviluppato veri e propri linguaggi. Esperimenti condotti sulle scimmie antropomorfe sembrano aver dimostrato la capacità di quegli animali di apprendere  e utilizzare un sistema elementare di segni per comunicare con noi. Non esiste, però, che io sappia, un’altra specie che abbia mostrato di saper organizzare il mercato, come istituzione in cui si effettuano scambi per equivalenti, senza limitarsi a predare, a rapinare chi possiede quello che si desidera ma non si ha.

 A questo punto lascio ai filosofi e ai teologi i complicati problemi suscitati dalla nostra esistenza come viventi parte della natura ma anche dotati di spirito e sviluppo alcune considerazione sul mercato, che da molti è mitizzato e da molti altri demonizzato. Per i primi non guasta la nostra relazione soprannaturale, per gli altri sì. Ma, comunque, bisogna considerare che la nostra civiltà ne dipende. Chi ha tentato di farne a meno, cercando di rimediare ai suoi risultati ingiusti, non ha avuto un successo duraturo e ha prodotto molta sofferenza e un generale impoverimento sociale. Bisogna sempre lasciarsi ammaestrare dalla storia. Eppure, se in definitiva la nostra umanità consistesse proprio nel saper fare mercato, ne saremmo in fondo delusi, perché il nostro spirito, che riteniamo essere ciò che di noi è più prezioso,  non ne sarebbe sufficientemente appagato. Pensiamo infatti alle cose spirituali solo dopo aver provveduto alle altre per le quali il mercato serve. Ma, in effetti, nel mercato c’è più del mero interesse materiale che regola gli scambi. Dunque anche dal mercato possiamo trarre una lezione profondamente umana e insieme spirituale, che per di più ci distingue nettamente dalle altre specie viventi, alle quali di solito riserviamo l’appellativo di animali per intendere che noi, in quanto umani, siamo diversi.

2.  Spesso, a proposito di mercato, si ricorda l’episodio evangelico di quando il Maestro, entrato nel Tempio di Gerusalemme, interruppe un mercato che vi si teneva, rovesciando i banchi di cambiavalute e venditori. Viene ricordato da tutti e quattro i Vangeli.

  Eccola la narrazione del Vangelo secondo Marco, nel capitolo 11, versetti 15-18, nella versione TILC - Traduzione interconfessionale in lingua corrente:

 

«(15) Intanto erano arrivati a Gerusalemme. Gesù entrò nel cortile del Tempio e cominciò a cacciar via tutti quelli che stavano là a vendere e a comprare. Buttò all’aria i tavoli di quelli che cambiavano i soldi e rovesciò le sedie dei venditori di colombe. (16)  Non permetteva a nessuno di trasportare carichi di robe attraverso il Tempio. (17) Poi si mise a insegnare dicendo alla gente: -sta forse scritto nella Bibbia: La mia casa sarà casa di preghiera per tutti i popoli? Voi, invece, ne avete fatto un covo di briganti. (18) Quando i capi dei sacerdoti e i maestri della Legge vennero a conoscenza di questi fatti cercavano un modo per far morire Gesù. Però avevano paura di lui perché tutta la gente era molto impressionata del suo insegnamento.»

 

 In questo racconto, il Maestro sembra condannare il mercato in sé, non tanto perché si svolgeva nel Tempio, che doveva essere una  casa di preghiera. Non viene precisato se le contrattazioni che vi si svolgevano erano fraudolente o se i venditori abusassero delle condizioni di bisogno degli acquirenti per ottenere vantaggi sproporzionati. Nel Vangelo secondo Giovanni, però, si aggiungono particolari che hanno indotto di solito i commentatori e i predicatori a propendere per interpretare l’episodio come un’esigenza di tutela del carattere spirituale del Tempio.

 Ecco la narrazione che leggiamo nel Vangelo secondo Giovanni, sempre secondo la versione TILC:

 

«(13) La festa ebraica della *Pasqua si avvicinava, e Gesù salì a Gerusalemme. (14) Nel cortile del Tempio trovò i mercanti che vendevano buoi, pecore e colombe. C’erano anche i cambiamonete seduti dietro ai loro banchi. (15) Allora Gesù fece una frusta di cordicelle, scacciò tutti dal Tempio, con le pecore e i buoi, rovesciò i tavoli dei cambiamonete spargendo a terra i loro soldi. (16) Poi si rivolse ai venditori di colombe e disse: «Portate via di qua questa roba! Non riducete a un mercato la casa di mio Padre!». (17) Allora i suoi discepoli ricordarono la parola della Bibbia che dice: l’amore per la tua casa è come un fuoco che mi consuma.» 

 

 Su ogni parola dei Vangeli è stata scritta una sterminata letteratura  e nessuna persona è talmente sapiente da padroneggiarla tutta, figuriamoci io che non lo sono. Certo è nel Tempio che si svolse quell’azione talmente emozionante da rimanere ben impressa in chi vi assistette, nonostante sia accaduta in un contesto e con modalità ben diversi dalle altre scene nelle quali sono ambientati gli insegnamenti del Maestro, ma anche dalla sua vita quotidiana di predicazione errante insieme ai discepoli. Non è narrato che egli abbia fatto irruzione in altri mercati. Anzi: il mercato compare in due delle parabole evangeliche più importanti sul Regno, quella del tesoro nascosto e quella della perla rara, che troviamo nel Vangelo secondo Matteo, al capitolo 13, versetti 44-46. Ecco il brano nella versione TILC:

 

«(44) Il regno di Dio è simile a un tesoro nascosto in un campo. Un uomo lo trova, lo nasconde di nuovo, poi, pieno di gioia corre a vendere tutto quello che ha e compra quel campo. (45) «Il regno di Dio è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose. (46) Quando ha trovato una perla di grande valore, egli va, vende tutto quel che ha e compra quella perla.»

 

 Qui non viene citato il mercato, ma il comprare e vendere. Nel caso del tesoro prezioso è possibile pensare che il Maestro non abbia ritenuto necessariamente dire che l’uomo fortunato che lo aveva trovato si fosse rivolto a un mercato per vendere ciò che aveva e per procurarsi ciò che gli occorreva per comprare il terreno in qui aveva rinvenuto il tesoro. Nel caso del mercante è diverso, perché il protagonista è  una persona che di professione praticava i mercati. E poi dove i due uomini della parabola avrebbero potuto  vendere  tutto ciò che avevano, beni mobili e immobili come si dice giuridicamente, la casa, il bestiame, il mobilio, gli attrezzi da lavoro, eccetera, se non rivolgendosi a un mercato dove avrebbero potuto trovare acquirenti per i diversi tipi di cose offerte in vendita? E dove si deve pensare che, secondo l’ambientazione del racconto evangelico, il mercante abbia potuto trovare  la perla rara, in mani altrui evidentemente altrimenti non avrebbe avuto necessità di comprarla, se non sul banco o in un negozio di un mercato?  Ci si potrebbe scrivere un libro sopra, se si fosse passata la vita per procurarsi la sapienza necessaria a ragionarci sopra con competenza. Ma pensate che non sia accaduto? Io sarei pronto a scommettere di sì. Quando si accostano le Scritture bisogna sempre tener conto delle moltitudini che le hanno amate nei secoli passati e vi hanno la speso la vita sopra, dialogando e anche scontrandosi con grande sapienza: dunque conviene praticare l’umiltà e lasciare ogni questione aperta, soprattutto se, come me, si è, pur da anziani, ancora alle prime armi. Di tutto ciò che so in questo campo sono debitore alla predicazione di tanti maestri che in religione ho avuto, in particolare nella mia Chiesa. Questo tutti loro mi hanno spinto a diventare: un discepolo.

  Dicevo che nei Vangeli non si legge, mi pare di aver capito,  una condanna del mercato in sé, quanto del praticarlo in tempi e luoghi sconvenienti dal punto di vista spirituale, ma anche in modo da profittare della debolezza altrui, per procurarsi profitti ingiusti.  Mi sovviene l’episodio evangelico riguardante l’incontro del Maestro con Zaccheo narrato nel Vangelo secondo Luca, al capitolo 19, 1-10. Eccone la versione della TILC:

 

«(1) Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando. (2) Qui viveva un certo Zaccheo. Era un capo degli agenti delle tasse ed era molto ricco. (3) Desiderava però vedere chi fosse Gesù, ma non ci riusciva: c’era molta gente attorno a Gesù e lui era troppo piccolo. (4) Allora corse un po’ avanti e si arrampicò sopra un albero in un punto dove Gesù doveva passare: sperava così di poterlo vedere. (5)  Quando arrivò in quel punto, Gesù guardò in alto e gli disse: «Zaccheo, scendi in fretta, perché oggi devo fermarmi a casa tua!». (6) Zaccheo scese subito dall’albero e con grande gioia accolse Gesù in casa sua. (7) I presenti vedendo queste cose si misero a mormorare contro Gesù. Dicevano: «È andato ad alloggiare da uno strozzino». (8) Zaccheo invece, stando davanti al Signore, gli disse: — Signore, do ai poveri la metà dei miei beni e se ho rubato a qualcuno gli restituisco quattro volte tanto.» 

 

Dove TILC traduce con ho rubato, la versione CEI 2008 rendeva con se ho frodato qualcuno, richiamando un ingiusto profitto traendo in inganno in una contrattazione come quelle del mercato. Il testo greco ha καὶ εἴ τινός τι ἐσυκοφάντησα  [che si legge cai èi tinòs ti esukofàntesa] in cui il  termine esukofàntesa  e una forma passata del verbo συκοφαντέω [si legge sucofantèo], per il quale i dizionari riportano i significati di calunnio, denunzio, defraudo, estorco. Il Maestro non si esprimeva in greco, ma in aramaico, l’antica lingua semitica parlata correntemente nella parte del Vicino Oriente in cui egli viveva. Ma quella parola greca esukofàntesa  è ciò che abbiamo di più vicino alle sue parole. Essa, nel contesto del brano evangelico in cui venne usata, richiama l’idea di frode, estorsione, quindi di sopraffazione in una qualche transazione in cui la volontà di chi cede è ingiustamente piegata, profittando di una situazione di superiorità di chi riceve. Il semplice rubare  può farsi anche in un contesto in cui si sottrae  la cosa altrui senza che i proprietario se ne avveda. esukofàntesa.

  Ma che cosa caratterizza il mercato, per cui esso, a parte l’utilità pratica negli scambi, viene ad avere un’importanza addirittura spirituale?

  Il mercato è un’istituzione molto antica, ma anche molto evoluta quanto a civiltà.

  Nella legge di natura il più forte mangia il più debole o lo rapina. Nella spartizione delle risorse conquistata con un’azione sociale, come accade appunti nei viventi che si organizzano in quel modo, ha la meglio usando la violenza. E’ stato osservato, ad esempio, che nei gruppi di grandi felini sociali come i leoni (i nostri gatti domestici non lo sono) il maschio mangia per primo della preda catturata e ucciso. Tra i lupi e i primati non umani, che formano gruppi con più maschi, è il maschio dominante a mangiare per primo. Nelle società umane accade ancora più o meno così: chi comanda ha la parte migliore e più cospicua delle risorse prodotte collettivamente. Sotto questo profilo l’etica evangelica ci appare del tutto opposta.  Ma confrontiamo quella spietata legge di natura con quella che regola il mercato. Anch’essa  è un’etica, ma non di spoliazione altruistica come quella evangelica. Il mercato può esistere solo quando una collettività sociale riesce a bandire la violenza e la frode dalle contrattazioni per realizzare scambi di beni, in modo che chi ne produce un sovrappiù rispetto alle sue esigenze possa cederli acquistandone altri che gli necessitano e che sono in mani altrui. Questo scambio è regolato dal mercato, sulla base di consensi liberi che determinano un’equivalenza nel valore dei beni. In questo gli operatori del mercato sono sul piano di pari dignità, altrimenti non vi sarebbe libertà, e godono di una garanzia di sicurezza dalla violenza altrui, altrimenti al posto del mercato ci sarebbe una guerra di rapina.

  Il mercante pratica i mercati solo se vi può portare in sicurezza ciò che commercia, gli acquirenti li praticano solo se pensano di non esservi derubati o frodati.

  Spesso si ha una imprecisa idea del  mercato come di una giungla in cui prevale il più forte, ma questa è invece una sua degenerazione, contro la quale le istituzioni che reggono i mercati da millenni apprestano misure di prevenzione.

 Nei mercati globali di oggi, complesse istituzioni sono state costituite per impedire che un operatore, fattosi molto grosso, possa abusare  di posizioni dominanti e il diritto commerciale e la relativa giurisdizione sono preposti a rendere giustizia a chi lamenti di essere rimasto vittima, nelle transazioni commerciali di mercato dell’abuso, della frode  o dell’estorsione altrui.

  Storicamente l’idea di democrazia  come oggi lo intendiamo,  vale a dire di un governo largamente partecipato su basi di pari dignità delle persone, si sviluppò nell’antica Grecia anche a partire dalle esperienze di mercato. Le antiche civiltà mediterranee erano animate dai mercanti e dai mercati. Per il controllo dei mercati si facevano guerre. Ma nei mercati erano ammessi ad operare anche gli stranieri, altrimenti merci prodotte molto lontano non sarebbero potute giungere dove le si desiderava. Da qui poi lo sviluppo di una concezione di una comune umanità, derivata da tutto quel frequentarsi in condizioni di sicurezza e pari dignità.

  L’attuale problema del mercato, che poi è stato un problema di sempre, è quello di chi è escluso o sfavorito, per non avere beni da scambiare o per averne di quelli ai quali è attribuito poco valore, come oggi accade, ad esempio, al lavoro. Qui la logica dell’etica evangelica colpisce duro, perché esige di trattare gli altri, in particolare in quelle condizioni, come fratelli e, quindi, in certe condizioni di sospendere  l’etica del mercato. Da qui poi la dottrina sociale raccomanda dei  correttivi  alle logiche puramente commerciali che è compito di chi comanda, della politica dunque, istituire. E anche le scienze economiche li raccomandano, perché in questo modo, si è sperimentato,  si garantisce il benessere duraturo della società, prevenendo le fasi sfavorevoli dei cicli in cui si articolano le dinamiche di mercato lasciate a se stesse: un’estensione delle concezioni di dignità e sicurezza che sono implicate originariamente nell’idea di mercato. Qualcosa di simile è narrato nell’episodio biblico di Giuseppe e del Faraone che leggiamo nel capitolo 41 del Libro della Genesi, in cui troviamo esposte dinamiche di mercato e si racconta di  un re che cerca di dominarle con provvedimenti adeguati, anche mediante prelievi tributari e l’istituzione di un’apposita burocrazia statale.

Eccolo nella versione TILC:

 

«(1) Passarono due lunghi anni e anche il faraone ebbe un sogno:  (2) si trovava sulla riva del Nilo e vide uscire dal fiume sette vacche belle, molto grasse, che mangiavano l’erba della riva. (3) Improvvisamente dietro di loro uscirono dal fiume altre sette vacche, brutte e terribilmente magre, che si fermarono accanto alle prime sulla riva del Nilo. (4)  Le vacche magre divorarono le grasse. A questo punto il faraone si svegliò. (5) Poi si riaddormentò e sognò di nuovo: Sette spighe belle, gonfie di grano, crescevano su un unico stelo. (6) Dopo di loro spuntarono altre sette spighe, striminzite e rinsecchite a causa del vento del deserto. (7) Le spighe esili ingoiarono le sette spighe grosse e gonfie. A questo punto il faraone si svegliò e si rese conto che era stato un sogno. (8) Appena fu giorno il faraone, profondamente turbato, fece chiamare tutti gli indovini e i sapienti dell’Egitto e gli raccontò quello che aveva sognato. Ma nessuno fu in grado di dargliene una spiegazione. (9) Allora intervenne il capo dei coppieri, responsabile della cantina del re. Disse: «Oggi devo per forza ricordare i miei errori. (10) Un giorno Vostra Maestà era andato in collera contro i suoi servitori e mi aveva fatto rinchiudere nella casa del comandante delle guardie insieme al capo dei panettieri. (11) In una stessa notte abbiamo fatto tutti e due un sogno con un significato particolare. (12) In prigione con noi c’era un giovane schiavo ebreo, un servitore del capo delle guardie. Noi gli abbiamo raccontato i nostri sogni e lui ce li ha spiegati dando a ciascuno la giusta interpretazione. (13) Infatti è accaduto esattamente quel che egli aveva previsto: io sono stato ristabilito nel mio incarico e l’altro è stato impiccato». (14) Allora il faraone fece chiamare Giuseppe che fu immediatamente scarcerato. Si tagliò la barba, si cambiò i vestiti e si presentò al faraone (15) che gli disse: — Ho fatto un sogno, ma nessuno sa darmene la spiegazione. Ho sentito dire che tu sei capace di interpretare i sogni non appena te li raccontano. (16) Giuseppe rispose: — Non io, ma Dio stesso darà a Vostra Maestà una spiegazione favorevole. (17) Il faraone disse a Giuseppe: «Nel mio sogno stavo sulla riva del Nilo. (18) Vidi uscire dal fiume sette vacche belle, molto grasse, che mangiavano l’erba della riva. (19) Improvvisamente dal fiume salirono dietro di loro altre sette vacche, ma così magre e brutte che in Egitto non ne ho mai visto di uguali. (20) Queste ultime divorarono le prime sette, quelle belle e grasse. (21) Ma sebbene le avessero ingoiate non si vedeva affatto: il loro aspetto era brutto come prima. A questo punto mi sono svegliato. (22) «Poi sognai di nuovo: Vidi sette spighe belle, gonfie di grano, che crescevano su di un unico stelo. (23) Ma dietro di loro spuntarono altre sette spighe esili e striminzite, rinsecchite a causa del vento del deserto. (24) Queste ultime inghiottirono le sette spighe belle. Ho già raccontato tutti questi sogni agli indovini, ma nessuno è stato capace di spiegarmeli». (25) Giuseppe disse: «I due sogni hanno lo stesso significato. Con essi il Signore vi fa sapere quello che sta per fare. (26) Le sette vacche belle e le sette spighe belle rappresentano sette anni. Si tratta quindi di un unico sogno. (27) Le sette vacche brutte e malconce e le sette spighe esili e riarse dal vento del deserto rappresentano anch’esse sette anni: sette anni di carestia. (28)  Proprio come ho detto prima, il Signore vi fa sapere quel che sta per fare.(29) Nei prossimi sette anni vi sarà grande abbondanza in tutto l’Egitto. (30) Poi seguiranno sette anni di carestia che cancelleranno in Egitto ogni ricordo dell’abbondanza precedente. La fame consumerà il paese (31) e sarà così grande che non si saprà più che cos’è l’abbondanza.(32) Il fatto che Vostra Maestà ha avuto un solo sogno ripetutosi in due modi diversi, significa che Dio ha preso una decisione irrevocabile e che egli sta per realizzarla. (33) Perciò Vostra Maestà cerchi ora un uomo intelligente e saggio e gli conferisca autorità su tutto l’Egitto. (34) Stabilisca inoltre funzionari incaricati di prelevare un quinto dei raccolti della terra durante i sette anni di abbondanza. (35)  I funzionari dovranno accumulare molti viveri durante le prossime annate buone. Mettano e conservino il grano nei magazzini del re per l’approvvigionamento futuro delle città. (36) Così l’Egitto avrà provviste nei successivi sette anni di carestia e il paese non sarà distrutto dalla fame». (37) Il faraone e i suoi ministri apprezzarono il discorso di Giuseppe (38) e il faraone disse loro: «Quest’uomo ha in sé lo spirito di Dio. Potremmo forse trovare qualcuno migliore di lui?». (39) Allora si rivolse a Giuseppe: «Siccome Dio ti ha fatto conoscere tutte queste cose, nessuno può essere intelligente e saggio come te. (40)  Perciò tu stesso sarai l’amministratore del mio regno, e tutto il mio popolo ubbidirà ai tuoi ordini. Soltanto io, dato che sono il re, avrò un potere superiore al tuo». (41) E aggiunse: «Ti conferisco autorità su tutto l’Egitto». (42) Poi il faraone si tolse l’anello dal dito e lo mise a quello di Giuseppe, lo fece vestire di abiti di lino finissimo e gli pose attorno al collo la collana d’oro. (43) Lo fece salire sul suo secondo carro. Davanti a lui si gridava: «Largo! Largo!». Fu così che il faraone mise Giuseppe a capo di tutto l’Egitto. (44) Disse ancora a Giuseppe: «Io sono il faraone. Nessuno oserà muovere anche solo il dito mignolo senza il tuo permesso». (45) Il faraone diede a Giuseppe il nome egiziano di Safnat-Panèach e gli fece sposare Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di Eliòpoli. Poi Giuseppe cominciò a fare giri di ispezione nei territori dell’Egitto (46)  Aveva trent’anni quando fu condotto alla presenza del faraone, re d’Egitto. Giuseppe lasciò il faraone e si mise a viaggiare per tutta la regione. (47) Durante le sette annate di abbondanza la terra produsse ottimi raccolti, (48) e in quel periodo Giuseppe ammassò nel paese d’Egitto grandi riserve di viveri. In ogni città faceva conservare i raccolti della campagna circostante. (49) Accumulò tanto grano che smise di tenerne il conto perché era incalcolabile come la sabbia del mare. (50) Prima dell’inizio della carestia Asenat, moglie di Giuseppe, figlia di Potifera, sacerdote di Eliòpoli, ebbe due figli. (51) Al maggiore Giuseppe diede il nome di Manasse: «Perché — disse — Dio mi ha ricompensato di tutte le mie sofferenze e dell’allontanamento dalla casa di mio padre». (52) Il secondo lo chiamò Èfraim: «Perché — disse — Dio mi ha dato figli in questo paese nel quale sono stato infelice». (53) Terminati in Egitto i sette anni di abbondanza (54) cominciarono i sette anni di carestia. Come Giuseppe aveva previsto vi fu fame dappertutto, ma il pane non mancava nel territorio egiziano. (55) Poi anche in tutto l’Egitto si fece sentire la mancanza di viveri. Il popolo reclamò cibo dal faraone, che disse agli Egiziani: «Andate da Giuseppe e fate tutto quel che vi comanderà». (56) Quando la fame si estese ovunque, Giuseppe fece aprire i depositi e fece vendere grano agli Egiziani mentre la fame continuava ad aggravarsi in Egitto. (57)  Da tutti i paesi la gente andava in Egitto per comprare grano perché la carestia era grande.»

 

 Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli