INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

mercoledì 29 dicembre 2021

Sinodalità come processo di liberazione





 

Per informarsi sul WEB sui cammini sinodali

 

Sito del Sinodo 2021-2023 (generale)

https://www.synod.va/it.html

Siti del cammino sinodale delle Chiese italiane

https://camminosinodale.chiesacattolica.it/

https://www.chiesacattolica.it/cammino-sinodale-delle-chiese-che-sono-in-italia-i-testi-approvati-dal-consiglio-permanente/

Sito della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi

http://secretariat.synod.va/content/synod/it.html

 



Sinodalità come processo di  liberazione

 

  La sinodalità ecclesiale viene presentata come metodo e come processo. Nell’era antica fu metodo e divenne processo. 

  Un metodo è uno schema per organizzare un’attività. Ad esempio si può decidere di iniziare l’esame collettivo di una questione, per decidere o dichiarare qualcosa come collettività, nominando un ufficio di presidenza, poi di continuare dando la parola per un tempo determinato a chi voglia dire la sua e raccogliendo  proposte  di deliberazione, e, infine, di concludere con una votazione su di esse, il cui risultato sia proclamato dall’ufficio di presidenza. Se ogni persona che fa parte della collettività ha diritto di dire liberamente la propria, di contribuire a presentare proposte di deliberazione (può infatti essere deciso che una proposta sia validamente presentata solo se appoggiata da più di una persona) e di esprimere un proprio voto che valga come quello delle altre persone, allora la decisione collettiva potrà essere considerata democratica, a condizione che non limiti irragionevolmente i diritti di libertà e  partecipazione dei consociati in futuro. Adottare sistematicamente il metodo democratico nelle decisioni collettive contrasta il formarsi e il consolidarsi di oligarchie sociali, sempre organizzate intorno a interessi per privilegi, e questo progressivamente  cambia la collettività di riferimento: il metodo genera un processo democratico. In progresso di tempo, i principi sociali libertari ed egualitari si rafforzeranno e aumenterà la forza sociale di resistenza all’arbitrio. Analogamente, la pratica costante di metodi non democratici basati su principi oligarchici la deprimerà, rafforzando le oligarchie. Per resistere alla forza delle masse dominate, storicamente le oligarchie si sacralizzarono, presentandosi come espressione di un ordine sociale voluto dal Cielo. La gerarchia ecclesiale è manifestazione di un’oligarchia sacralizzata. Storicamente non se ne hanno testimonianze affidabili prima del Secondo secolo, dunque non risale certamente al Fondatore, il quale né nella sua vita terrena né nelle sue manifestazioni da Risorto la organizzò. Quando gli venne chiesto qualcosa in merito, in particolare perché stabilisse chi sarebbe stato il più grande nel suo Regno, argomento tipicamente connesso alla presenza di una gerarchia, sappiamo bene come rispose:

 

 Intanto arrivarono a Cafàrnao. Quando Gesù fu in casa domandò ai discepoli: «Di che cosa stavate discutendo per strada?». 
  Ma essi non rispondevano. Per strada infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande. 

  Allora Gesù, sedutosi, chiamò i dodici discepoli e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, deve essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 

  Poi prese un bambino, e lo portò in mezzo a loro, lo tenne in braccio e disse: «Chi accoglie uno di questi bambini per amor mio accoglie me. E chi accoglie me accoglie anche il Padre che mi ha mandato».

[Mc 18, 33-37 - versione italiana TILC]

 

  L’istituzione di una gerarchia ecclesiale, e in particolare di una gerarchia clericalizzata, trova argomento nella tradizione storica, e, in particolare, per i cattolici ed altre confessioni cristiane, di quella sua parte che viene considerata come Tradizione avendo a che fare con i fondamenti nella fede.

  Tra i cattolici, poi, dal Seicento l’ordinamento gerarchico sacralizzato è stato molto concentrato intorno al Papato romano, e lo è tuttora, pur con limitati temperamenti che si è riusciti a realizzare in applicazione dei principi deliberati durante il Concilio Vaticano 2º. Tra i cattolici, insomma, vi è un modo particolare di essere cristiani, nel senso di essere con il Papa regnante. In questa prospettiva il potere ministeriale del Papa romano è propriamente un regno, vale a dire quello di un sovrano assoluto che però governa anche sulle coscienze delle persone. I processi democratici avanzati che hanno caratterizzato le società organizzate su modello occidentale dal secondo dopoguerra ne hanno progressivamente emancipato le persone di fede che non vivono la religione inquadrate nella gerarchia del clero o in quelle degli ordini religiosi. Vale a dire che è quasi scomparso lo stigma sociale verso i dissenzienti, che fino agli anni Sessanta fu ancora piuttosto avvertibile. Ma, in base alle analisi sociologiche recenti, non può essere confermata l’idea che ciò si sia accompagnato ad un corrispondente distacco dall’affidamento nel soprannaturale secondo le concezioni cristiane. Vi è stata senz’altro una desacralizzazione sociale della gerarchia e delle sue decisioni, nel senso che non vengono ritenute, acriticamente, espressione di un ordinamento divino. La gente di fede, quindi, ha iniziato a vivere una teologia diversa da quella normativa predicata dalla gerarchia e questo è stato senz’altro espressione di una liberazione sociale della moltitudine dei credenti. La gerarchia ecclesiale, però, riconosce solo la propria, fondamentalmente ancora molto legata al metodo detto neoscolastico, che fa della fede unsistema di definizioni (è stato osservato che ciò fu alla base della triste imposizione ai teologi cattolici di un catechismo, nel 1992, concepito come legge della fede come in papa Pio 10°, non solo come ausilio nella formazione religiosa di base), e quindi ciclicamente sconfessa i fedeli, ma, d’altra parte, nel confronto con la modernità, è costretta, da almeno due secoli, a seguirne gli orientamenti, ad esempio nella considerazione della democrazia sociale. Questa credo sia la ragione fondamentale di ciò che viene indicato come crisi del clero e dei religiosi, per cui, almeno in Occidente, sempre meno persone accettano di assoggettarsi organicamente alla gerarchia ecclesiale. L’abbandono delle pratiche liturgiche formalizzate ne è un altro indicatore. Perché ci si dovrebbe andare a riunire intorno ad un potere che non ha più nulla da dire di veramente rilevante?

  Per il pesante centralismo gerarchico della nostra Chiesa, si poteva uscire da questa situazione solo con una decisione di un Papa regnante, che è venuta. Essa però, da sola, non poteva bastare, per la scontata resistenza della gerarchia ecclesiale, che attualmente ha il quasi completo dominio delle nostre comunità di fede e, questo è molto importante, di tutti i beni materiali che ne consentono l’effettività, al di fuori della cittadella vaticana e degli altri complessi romani controllati dal Papato in base al Trattato Lateranense. Occorreva istituire un metodo che consentisse di introdurre una reale partecipazione di tutta la gente di fede, in condizioni di libertà e di pari dignità. Il 2018 è stato l’anno cruciale, con la  pubblicazione, all’esito di tre anni di lavoro, del documento della Commissione teologica internazionale “La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa” [marzo 2018] e  del nuovo statuto del Sinodo dei vescovi [Costituzione apostolica La comunione episcopale, del settembre 2018], che prevede la partecipazione strutturata delle persone laiche alla procedura preparatoria. A ciò si è accompagnata, in Italia, l’esortazione del Papa alla CEI e alle organizzazioni ecclesiali, rivolta nel corso del convegno ecclesiale del 2015 a Firenze, a intraprendere un Sinodo nazionale, che è attività molto diversa da quella del Sinodo dei vescovi, e, che, in particolare, consente più  ampi margini di auto-organizzazione. Questa esortazione è stata disattesa fino al marzo di quest’anno, dopo il duro rimprovero per l’inerzia formulato dal Papa nel discorso rivolto, il 30 gennaio 2021, ai

partecipanti  ad un incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della CEI:

 

  Come nel dopo-Concilio la Chiesa italiana è stata pronta e capace nell’accogliere i segni e la sensibilità dei tempi, così anche oggi è chiamata ad offrire una catechesi rinnovata, che ispiri ogni ambito della pastorale: carità, liturgia, famiglia, cultura, vita sociale, economia... Dalla radice della Parola di Dio, attraverso il tronco della sapienza pastorale, fioriscono approcci fruttuosi ai vari aspetti della vita. La catechesi è così un’avventura straordinaria: come “avanguardia della Chiesa” ha il compito di leggere i segni dei tempi e di accogliere le sfide presenti e future. Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi. Di parlare il linguaggio fuori dalla Chiesa, sì, di questo dobbiamo avere paura. Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente. Non dobbiamo aver paura di ascoltarne le domande, quali che siano, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, le incertezze: di questo, non abbiamo paura. Non dobbiamo aver paura di elaborare strumenti nuovi: negli anni settanta il Catechismo della Chiesa Italiana fu originale e apprezzato; anche i tempi attuali richiedono intelligenza e coraggio per elaborare strumenti aggiornati, che trasmettano all’uomo d’oggi la ricchezza e la gioia del kerygma, e la ricchezza e la gioia dell’appartenenza alla Chiesa.

  Terzo punto: catechesi e comunità. In questo anno contrassegnato dall’isolamento e dal senso di solitudine causati dalla pandemia, più volte si è riflettuto sul senso di appartenenza che sta alla base di una comunità. Il virus ha scavato nel tessuto vivo dei nostri territori, soprattutto esistenziali, alimentando timori, sospetti, sfiducia e incertezza. Ha messo in scacco prassi e abitudini consolidate e così ci provoca a ripensare il nostro essere comunità. Abbiamo capito, infatti, che non possiamo fare da soli e che l’unica via per uscire meglio dalle crisi è uscirne insieme – nessuno si salva da solo, uscirne insieme –, riabbracciando con più convinzione la comunità in cui viviamo. Perché la comunità non è un agglomerato di singoli, ma la famiglia in cui integrarsi, il luogo dove prendersi cura gli uni degli altri, i giovani degli anziani e gli anziani dei giovani, noi di oggi di chi verrà domani. Solo ritrovando il senso di comunità, ciascuno potrà trovare in pienezza la propria dignità.

 La catechesi e l’annuncio non possono che porre al centro questa dimensione comunitaria. Non è il momento per strategie elitarie. La grande comunità: qual è la grande comunità? Il santo popolo fedele di Dio. Non si può andare avanti fuori del santo popolo fedele di Dio, il quale – come dice il Concilio – è infallibile in credendo. Sempre con il santo popolo di Dio. Invece, cercare appartenenze elitarie ti allontana dal popolo di Dio, forse con formule sofisticate, ma tu perdi quell’appartenenza alla Chiesa che è il santo popolo fedele di Dio.

  Questo è il tempo per essere artigiani di comunità aperte che sanno valorizzare i talenti di ciascuno. È il tempo di comunità missionarie, libere e disinteressate, che non cerchino rilevanza e tornaconti, ma percorrano i sentieri della gente del nostro tempo, chinandosi su chi è al margine. È il tempo di comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. È il tempo di comunità che dialoghino senza paura con chi ha idee diverse. È il tempo di comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione. Non dimenticatevi questa parola: compassione. Quante volte, nel Vangelo, di Gesù si dice: “Ed ebbe compassione”, “ne ebbe compassione”. Come ho detto al Convegno ecclesiale di Firenze, desidero una Chiesa «sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. […] Una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza». Quanto riferivo allora all’umanesimo cristiano vale anche per la catechesi: essa «afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria, l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura» (Discorso al 55º Convegno nazionale della Chiesa Italia, Firenze, 10 novembre 2015).

  Ho menzionato il Convegno di Firenze. Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno  di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare.

 

   Il Papa ha stabilito metodi nuovi e ha concepito questo come parte di un processo di riforma che prevede come elemento essenziale la partecipazione libera di tutti i fedeli.

  Da diversi decenni è proprio la libertà da catene gerarchiche il connotato fondamentale di quei fedeli cristiani che ancora si vuole indicare come laici, vale a dire parti del Popolo di Dio. Si tratta di un primo importante riconoscimento del ruolo che essi hanno conquistato in particolare nella costruzione delle democrazie avanzate, che inglobano anche la pace nelle loro ideologie, oltre che libertà, uguaglianza in dignità e solidarietà sociale. In questo lavoro le persone laiche hanno esercitato ed esercitano un importante e reale Magistero su valori, che la nostra gerarchia sta attualmente condividendo, partendo da posizioni che storicamente furono assai critiche, fino all’accusa di eresia rivolta ai democratici cristiani europei all’inizio del Novecento.

  Dobbiamo chiederci però se in Italia le persone laiche siano realmente nelle condizioni culturali necessarie per partecipare ai processi sinodali che si sono attivati, dopo decenni nei quali venne loro presentata come virtuosa la scelta di tacere per non manifestare divisioni, che tuttavia rimanevano, irrisolte.

  E qui, credo, sta un importante campo di azione nel quale il MEIC – Movimento culturale di impegno culturale, organizzazione che fu interna all’Azione Cattolica e che ora rimane ad essa fortemente coordinata, pur nell’attuale statuto di autonomia, può manifestarsi di grande utilità.  Credo che si debba mettere in secondo piano il ruolo di conferenzieri consulenti ad uso prevalentemente della gerarchia,  per assumere invece un ruolo di guida, a livello locale e in cooperazione con altre istituzioni di caratteristiche analoghe, del processo di  liberazione nella nostra Chiesa non solo dei cosiddetti laici, ma di tutti, in modo, in particolare, che l’effettività della partecipazione secondo il metodo sinodale, che, come detto dal prof. D’Andrea  nell’incontro organizzato dal MEIC Lazio lo scorso 10 dicembre, significa democrazia più esigente e completa nel campo dei valori, consenta l’attivazione del processo di riforma richiesto dai tempi che viviamo. Vincendo per questa via le resistenze irragionevoli che la gerarchia ecclesiale, fisiologicamente conservatrice per ciò che s’è detto, certamente eserciterà, ed anzi sta già esercitando.

  È necessario scendere in campo con una certa autonomia, senza attendere di essere arruolati dall’episcopato con assegnazione di temi da sviluppare. In particolare, chi ha competenza professionale nel campo delle discipline giuridiche, dovrebbe aiutare la gente ad organizzare concretamente, redigendo statuti e manuali pratici, e a  condurre a termine il metodo sinodale, per produrre decisioni in ambito locale, fondamentalmente sull’esempio delle comunità di base.  Queste ultime furono apprezzate in un documento importante come l’esortazione apostolica Dell’annunzio del vangelo, diffuso nel 1975 dal papa Paolo 6º, definendone anche le condizioni,  ritengo ancora attuali, di validità:

 

LE COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE

58. Il recente Sinodo si è molto occupato di queste piccole comunità o «comunità di base», perché nella Chiesa d'oggi sono spesso menzionate. Che cosa sono e per quale motivo queste sarebbero destinatarie speciali di evangelizzazione e, nello stesso tempo, evangelizzatrici? 

  Fiorendo un po' dappertutto nella Chiesa, secondo le differenti testimonianze sentite al Sinodo, esse differiscono molto fra di loro, in seno alla stessa regione e, più ancora, da una regione all'altra. 

In alcune regioni sorgono e si sviluppano, salvo eccezioni, all'interno della Chiesa, solidali con la sua vita, nutrite del suo insegnamento, unite ai suoi pastori. In questo caso, nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa; oppure dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente offrire, soprattutto nelle metropoli urbane contemporanee che favoriscono la vita di massa e insieme l'anonimato. Esse possono soltanto prolungare, a modo loro, a livello spirituale e religioso - culto, approfondimento della fede, carità fraterna, preghiera, comunione con i Pastori - la piccola comunità sociologica, villaggio o simili. 

  Oppure esse vogliono riunire per l'ascolto e la meditazione della Parola, per i Sacramenti e il vincolo dell'Agape, gruppi che l'età, la cultura, lo stato civile o la situazione sociale rendono omogenei, coppie, giovani, professionisti, eccetera; persone che la vita trova già riunite nella lotta per la giustizia, per l'aiuto fraterno ai poveri, per la promozione umana. Oppure, infine, esse radunano i cristiani là dove la penuria dei sacerdoti non favorisce la vita normale di una comunità parrocchiale. Tutto questo è supposto all'interno delle comunità costituite della Chiesa, soprattutto delle Chiese particolari e delle parrocchie. 

  In altre regioni, al contrario, comunità di base si radunano in uno spirito di critica acerba nei confronti della Chiesa, che esse stimmatizzano volentieri come «istituzionale» e alla quale si oppongono come comunità carismatiche, libere da strutture, ispirate soltanto al Vangelo. 

  Esse hanno dunque come caratteristica un evidente atteggiamento di biasimo e di rifiuto nei riguardi delle espressioni della Chiesa: la sua gerarchia, i suoi segni. Contestano radicalmente questa Chiesa. In tale linea, la loro ispirazione diviene molto presto ideologica, ed è raro che non diventino quindi preda di una opzione politica, di una corrente, quindi di un sistema, anzi di un partito, con tutto il rischio, che ciò comporta, di esserne strumentalizzate. 

  La differenza è già notevole: le comunità che per il loro spirito di contestazione si tagliano fuori dalla Chiesa, di cui d'altronde danneggiano l'unità, possono sì intitolarsi «comunità di base», ma è questa una designazione strettamente sociologica. Esse non potrebbero chiamarsi, senza abuso di linguaggio, comunità ecclesiali di base, anche se, rimanendo ostili alla Gerarchia, hanno la pretesa di perseverare nell'unità della Chiesa. Questa qualifica appartiene alle altre, a quelle che si radunano nella Chiesa per far crescere la Chiesa. 

  Queste ultime comunità saranno un luogo di evangelizzazione, a beneficio delle comunità più vaste, specialmente delle Chiese particolari, e saranno una speranza per la Chiesa universale, come abbiamo detto al termine del menzionato Sinodo, nella misura in cui: 
- cercano il loro alimento nella Parola di Dio e non si lasciano imprigionare dalla polarizzazione politica o dalle ideologie di moda, pronte sempre a sfruttare il loro immenso potenziale umano; 
- evitano la tentazione sempre minacciosa della contestazione sistematica e dello spirito ipercritico, col pretesto di autenticità e di spirito di collaborazione;

per esempio- restano fermamente attaccate alla Chiesa particolare, nella quale si inseriscono, e alla Chiesa universale, evitando così il pericolo - purtroppo reale! - di isolarsi in se stesse, di credersi poi l'unica autentica Chiesa di Cristo, e quindi di anatematizzare le altre comunità ecclesiali;

 - conservano una sincera comunione con i Pastori che e col Magistero, che lo Spirito del Cristo ha loro affidato; 
- non si considerano giammai come l'unico destinatario o l'unico artefice di evangelizzazione - anche l'unico depositario del Vangelo! -; ma, consapevoli che la Chiesa è molto più vasta e diversificata, accettano che questa Chiesa si incarni anche in modi diversi da quelli, che avvengono in esse; 

- crescono ogni giorno in consapevolezza, zelo, impegno, ed irradiazione missionari; 

- si mostrano in tutto universalistiche e non mai settarie.

  Alle suddette condizioni, certamente esigenti ma esaltanti, le comunità ecclesiali di base corrisponderanno alla loro fondamentale vocazione: ascoltatrici del Vangelo, che è ad esse annunziato, e destinatarie privilegiate dell'evangelizzazione, diverranno senza indugio annunciatrici del Vangelo.

 

  Nel discorso del Papa del gennaio di quest’anno all’Ufficio catechistico nazionale ho colto l’esplicito apprezzamento del  processo di rinnovamento della catechesi animato dai cattolici italiani negli scorsi anni Settanta, del quale l’esortazione apostolica citata fu un elemento centrale. Un’epoca difficile per l’Italia ma così viva nella nostra Chiesa, tanto diversa da ciò che c’è ora negli ambienti ecclesiali, che mi appaiono in genere invecchiati e demotivati, frustrati dal lungo inverno dal quale solo ora sembra di poter uscire.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.